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Frana del Monviso, non si escludono nuovi crolli

Non pare ancora arrestarsi l’attività franosa sul Monviso, a tre settimane dal gigantesco distacco del 26 dicembre scorso dalla parete nord.

Un distacco ingente, avvenuto oltre i 3.000 metri di quota, interessando la porzione di parete in cui si sviluppano i Torrioni di Sucai, non lontano dal canalone Coolidge. Ad un primo sguardo gli esperti avevano ipotizzato un possibile danneggiamento del tracciato aperto negli anni Settanta dalla guida del Monviso e gestore del rifugio Quintino Sella al Monviso Hervè Tranchero,  insieme a Leonardo Caroni. Per avere una idea più chiara dell’entità del danno si è dovuto attendere l’8 gennaio, giornata in cui si è svolto il sopralluogo dei tecnici Arpa.

I risultati del sopralluogo

È stato così possibile perimetrare con precisione il bordo inferiore dell’accumulo e effettuare delle riprese fotografiche della parete interessata dal crollo. Ponendo le nuove immagini a confronto con quelle scattate in precedenza alla frana del 26 dicembre, è risultata facilmente identificabile e delimitabile la porzione rocciosa crollata.

Il distacco si sarebbe verificato alla sommità del Torrione del Sucai, indicativamente alla quota di 3.200 metri, sviluppandosi fino circa a quota 2.800 m. La fascia rocciosa coinvolta mostra una ampiezza di circa 45-55 metri. Il materiale crollato ha attraversato il canale sottostante il torrione, per poi distribuirsi sul cono detritico preesistente tra 2.650 e 2.520 m. Si stima una mobilizzazione di circa 200 mila metri cubi di roccia. I blocchi rocciosi di maggiori dimensioni, distribuiti sul bordo inferiore dell’accumulo, ammonterebbero a 150-250 metri cubi.

Non si tratta di un settore mai interessato in precedenza da fenomeni franosi. Segnali di attività erano già stati rilevati nel passato. Ne sono testimonianza i grandi blocchi presenti alla base, il cui numero sembrerebbe aumentato, stando a confronti fotografici aerei, a partire dal 2010. Gli esperti ritengono che ad innescare il processo franoso di dicembre non abbia contribuito soltanto la fratturazione della roccia ma anche la degradazione del permafrost.

Nei giorni successivi al sopralluogo è stato appurato che nella zona persistano crolli sebbene di dimensioni ridotte. L’ammasso roccioso risulta fortemente fratturato. La parete è probabile che ancora non abbia raggiunto pertanto il suo equilibrio e non possono escludersi ulteriori frane, anche significative.

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