Battaglia legale sull’Everest. Niente vetta, il cliente accusa di frode l’agenzia
L’agenzia americana Madison Mountaineering, guidata dall’alpinista Garrett Madison, sta affrontando una seria battaglia legale a seguito di una denuncia sporta da un cliente partecipante alla spedizione autunnale sull’Everest del 2019. L’accusa mossa nei confronti dell’agenzia è di non aver condotto il team oltre il campo base.
Le condizioni dell’Everest nell’autunno 2019
Ricorderete che nell’autunno del 2019 l’Everest si sia mostrato particolarmente ostile, anche per spedizioni non commerciali. Al CB nel settembre 2019 erano infatti presenti, accanto alle spedizioni commerciali, alpinisti del calibro di Kilian Jornet e Andrzej Bargiel. Il primo con l’intento di salire in velocità, il secondo di scendere con gli sci. A creare problemi uno spaventoso seracco che incombeva sull’Ice Fall, esattamente nella zona in cui vi era stato il crollo del 2014 che causò la morte di 16 sherpa.
Il timore del crollo, nonostante le ottime finestre meteo, aveva portato Bargiel a chiudere la spedizione sull’Everest. Kilian aveva deciso di sfidare il seracco arrivando a 8300 metri. Di fronte al rischio elevato per i clienti, Garrett Madison aveva pertanto deciso di interrompere a sua volta la spedizione commerciale, in cui figuravano anche il CEO del brand Mountain Hardwear, l’alpinista britannico Tim Emmett e due dirigenti di due società tecnologiche americane, Kristin Bennett, di Boston e Zac Bookman, della Silicon Valley.
“Per tutta la mia vita ho navigato nel rischio. Ho provato a prendere buone decisioni in ambienti potenzialmente pericolosi utilizzando le mie conoscenze e l’istinto – raccontava Emmett lo scorso anno – . Ho perso troppi amici per chiudere un occhio. Ieri gli Sherpa hanno raggiunto il campo, molto bene. Ma al ritorno ci hanno mostrato delle immagini di un seracco enorme, pericolante a circa 800 metri sopra la via che dovremmo percorrere”.
“Mi sono messo a letto la scorsa notte ragionando sulla faccenda, svegliandomi più volte col pensiero di cosa fare, sapendo bene di non poter assolutamente mettere a rischio me e il nostro team”. Inevitabile la decisione di abbandonare il tentativo di salita. “L’alpinismo ha i suoi rischi che vanno accettati per andare avanti, ma questa situazione sfugge alla norma”, concludeva Emmett.
La denuncia di Bookman
Una filosofia, quella seguita da Emmett e Madison, che non deve essere piaciuta a Zac Bookman. Tornato dall’Everest, il dirigente ha intentato ben due cause contro Garrett Madison, accusandolo di frode per non aver condotto il team oltre campo base. Secondo Bookman gli Sherpa non erano ben addestrati a fare il loro lavoro, seconda cosa l’Everest si sa che sia pericoloso, dunque il seracco pericolante sarebbe risultato solo una scusa. Ironicamente ha tenuto a definire la spedizione, costata 60.000 euro a persona, una settimana in campeggio al campo base.
Nella prima di queste cause, intentata lo scorso gennaio, Bookman ha chiesto 50.000 dollari che Madison avrebbe promesso di restituirgli al momento dell’annullamento della spedizione. Madison ha negato di aver promesso una simile somma come compenso. Nella seconda causa, intentata nel mese di marzo, ha richiesto 100.000 dollari a compensazione dell’aver infranto al presunta promessa dei 50.000.
In una dichiarazione rilasciata a GeekWire.com, Garrett Madison osserva che Zac fosse molto convinto di voler proseguire. “E non aveva paura del rischio. Se fosse stato in una spedizione personale, avrebbe potuto continuare l’ascesa da solo. Il motivo per cui le persone mi assumono, credo, non è solo per il supporto logistico, ma anche per prendere decisioni in montagna. Grazie a tutta la mia esperienza e al mio record di sicurezza” .
Parliamo di una delle guide più esperte dell’Everest. Garrett ha iniziato a lavorare come guida professionale nel 1999 sul Monte Rainier e ad operare sull’Everest nel 2009. Da allora ha condotto oltre 60 clienti sul Tetto del Mondo, che ha personalmente scalato 10 volte.
Per ora, Madison ha vinto un primo round legale ma si prospetta una battaglia lunga. “Spero di vincere questa causa – ha dichiarato la guida – e che costituisca un precedente per l’intero mondo dell’alpinismo. Le guide e i leader delle spedizioni dovrebbero essere fiduciosi di poter prendere la decisione giusta senza temere che, se la loro squadra non raggiunge il massimo, si possa incorrere in ripercussioni legali o finanziarie”.
Sul fatto che la guida abbia deciso di interrompere l’ascensione non c’è nulla da discutere. E’ pagata proprio per prendere questo tipo di decisioni.
Il fatto che non siano stati restituiti i soldi al netto delle spese sostenute, considerando che sono 50.000 euro, mi sembra un tantino più discutibile. In fondo la prestazione non è stata effettuata.
Io non so cosa prevedeva l’accordo stipulato tra agenzia e cliente o se siano state proposte altre forme di compensazione, ma sembra abbastanza logico che l’onere non debba pesare solo sul cliente non essendo dipeso dalla sua volontà o dalle sue mancanze.
Qui da noi cosa succederebbe se guida e cliente si mettessero d’accordo per effettuare un’uscita e poi non la potessero nemmeno cominciare perchè il tempo è brutto? Credo, o meglio mi auguro che, al netto delle spese di viaggio sostenute e dell’eventuale pranzo offerto, non ci sia alcun compenso se non è possibile effettuare neanche una gita alternativa.