Alta quota

Kilian Jornet racconta la sua spedzione all’Everest

Kilian Jornet è tornato dalla sua spedizione all’Everest. Un’esperienza differente rispetto a quelle precedenti: “Sono cambiate molte cose da quando ho scalato l’Everest nel 2017 – scrive lo spagnolo-. La più importante è che ora abbiamo una figlia, Maj, che ci piacerebbe crescesse amando quello che amiamo noi. Per questo abbiamo programmato una vacanza molto diversa quest’anno”.

Vacanza di famiglia a parte, quello di Jornet era un viaggio che puntava alla vetta dell’Everest, purtroppo, come sappiamo, non raggiunta a causa delle condizioni nevose della montagna e conseguente pericolo valanghe.

Il Nepal – spiega Jornet – dal punto di vista della logistica offre una possibilità unica poiché i villaggi sono vicini alle montagne, così abbiamo soggiornato in una baita a Goraksherp trasportando di volta in volta tutto il necessario per scalare (e pernottare sulla montagna). Questa spedizione è stata più vicina all’esperienza e allo stile di arrampicata che vivo a casa in Norvegia o sulle Alpi non richiedendo la logistica di una spedizione complesso (tende, facchini, cuochi …)”.

Le difficoltà, come racconta Kilian, sono iniziate già nella fase di acclimatamento a causa delle piogge costanti che gli hanno permesso di salire solo alcuni 6000. Nelle rotazioni con lui i fratelli Bargiel.

La finestra di bel tempo è arrivata solo durante inizio ottobre, quando oramai tutte le spedizioni avevano lasciato il campo base dell’Everest a causa del pericolo di crollo del seracco che incombeva sull’Icefall. Il tentativo è cominciato il 30 settembre.

Io e Carlos Llerandi abbiamo lasciato Goraksherp e siamo saliti al C1 in condizioni di neve molto profonda e abbiamo dovuto aprire la pista con la neve fino alle ginocchia. Il giorno successivo siamo arrivati a C2 nelle stesse condizioni – racconto Kilian -. Il giorno dopo sono salito a 7.500 m lungo il canale a sinistra dello Sperone dei Ginevrini per acclimatarmi e sono poi sceso di nuovo a C2. Dopo alcune ore di riposo, a mezzanotte tra il 3 e il 4 ottobre, ho iniziato a salire. A 7.400 m, data la grande quantità di neve a strati dovuta a una valanga, ho deciso di andare verso lo sperone sud-est, più roccioso e meglio protetto dalle valanghe. Sono salito a 8.000 m ancora nella neve profonda e instabile, poi ho deciso di andare verso la via normale, traversando a destra, per vedere se le condizioni erano migliori, ma non lo erano, come ho notato arrivando tra Colle Sud e il Balcone dove c’era uno strato di neve molto instabile. Quindi, prima di raggiungere il Balcone, a circa 8.300 m, mi sono voltato e sono sceso”.

Quello di Kilian Jornet è stato l’unico tentativo sull’Everest (ma anche Lhotse) della stagione. “È stato speciale stare da soli sulla montagna. E fare il tentativo in un’unica spinta è stata un’esperienza molto potente per me. Mi sento molto come un animale che si arrampica. Mi sento estremamente connesso alla montagna e questa sensazione è molto difficile da ottenere con altri stili di scalata o adottando una logistica differente o in altre stagioni confessa l’alpinista.

Ora che è a casa, il focus torna sui 4000 delle Alpi e sulle montagne norvegesi dove ha già iniziato le prime gite di scialpinismo con la piccola Maj “con molte idee e motivazioni per il futuro”.

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