Alpinismo

Torneremo in Nepal?

Il 17 agosto riprendono i voli, ma il Covid in Asia c’è ancora

Torneremo a Kathmandu? E al campo-base dell’Everest? E sulle centinaia di magnifiche vette di sei, sette e ottomila metri che si alzano nell’Himalaya nepalese? Migliaia di trekker, viaggiatori e alpinisti si pongono questa domanda dallo scorso marzo, quando il lockdown causato dal Covid-19 ha trasformato la vita di tutti noi, e le spedizioni e i trekking previsti in Nepal per la primavera sono stati cancellati. 

Il colpo, ovviamente, non è stato doloroso solo per gli appassionati di montagna americani, europei e del resto del mondo. In Nepal, che è appena uscito da un lockdown più lungo e faticoso di quello italiano, hanno perso mesi di lavoro e migliaia di dollari sherpa da record come Kami Rita e Ngima Nuru, che hanno salito l’Everest 24 e 22 volte, e tutti i loro colleghi che lavorano con le spedizioni. 

Nel 2019, la montagna più alta della Terra è stata tentata (su entrambi i versanti) da 90 spedizioni, e sulla cima sono arrivati ben 876 alpinisti. Nel 2020, dal Tibet, sono salite fino agli 8848 metri della vetta solo alcune decine di alpinisti e topografi, tutti di nazionalità cinese. Sul versante nepalese, invece, ha regnato un silenzio assordante. Insieme agli sherpa, non hanno lavorato nemmeno per un giorno migliaia tra cuochi e addetti ai campi-base, guide e portatori di trekking, i proprietari dei lodge (i piccoli alberghi che sorgono accanto ai sentieri) e degli yak addetti al trasporto dei carichi. Se si aggiungono gli impiegati delle agenzie di viaggi e trekking, gli albergatori della capitale e di Pokhara, gli autisti dei bus e i piloti dei piccoli aerei che fanno la spola con Jomosom e Lukla, a perdere il lavoro e il reddito sono stati almeno 200.000 nepalesi, su un totale di quasi 29 milioni. Secondo lo Himalayan Times, quotidiano in lingua inglese di Kathmandu, il lockdown ha causato all’industria nepalese del turismo “una perdita di 10 miliardi di rupie (oltre 7 milioni di euro) per ogni mese di alta stagione perduto”.   

Ad attirare l’attenzione di viaggiatori, camminatori e alpinisti, qualche giorno fa, è stato il comunicato con cui il Ministero della Cultura, del Turismo e dell’Aviazione Civile nepalese ha annunciato la riapertura ai voli internazionali a partire dal 17 agosto, la fine dell’obbligo di quarantena dalla stessa data, e la possibilità di effettuare trekking e spedizioni a partire da settembre. 

Il Nepal riapre agli alpinisti, in autunno concederemo permessi alle spedizioni” ha spiegato alla Reuters Kedar Bahadur Adhikari, segretario del Ministero del Turismo. “Naturalmente gli alpinisti e i trekker dovranno seguire i protocolli sanitari decisi dal nostro governo”. 

Negli scorsi giorni l’aeroporto Tribhuvan di Kathmandu ha postato su YouTube un video che mostra le sue sale di check-in, di attesa e di imbarco attrezzate per il distanziamento. Basta fare una ricerca su Opodo, o su altre piattaforme, per vedere che compagnie come Emirates, Etihad e Qatar hanno già messo in vendita per l’autunno dei posti sui voli dagli aeroporti italiani a Kathmandu, con scalo a Doha, Abu Dhabi o Dubai. I prezzi dei biglietti, a causa della scarsa domanda, sono bassi. Dopo l’annuncio del governo di Kathmandu, anche gli organizzatori nepalesi di spedizioni e trekking hanno iniziato a promuovere le loro iniziative per l’autunno. Tashi Lakpa della Seven Summits Treks, leader nel mercato delle spedizioni commerciali all’Everest, ha annunciato partenze per la cima più alta della Terra, e poi anche per il Lhotse, il Manaslu, il Makalu e il Dhaulagiri. L’alpinista nepalese Nirmal Purja, che nel 2019 ha salito i 14 “ottomila” in 189 giorni e in questi giorni si trova a Chamonix, ha annunciato spedizioni commerciali guidate all’Everest, al Lhotse e al Manaslu. Altri operatori hanno un atteggiamento più attendista. 

E’ probabile che, una volta ripresi i voli, alcune agenzie organizzeranno spedizioni all’Ama Dablam e forse anche al Manaslu” spiega Iswari Poudel, vicepresidente della Expedition Operators Association of Nepal e titolare dell’agenzia Himalayan Guides. Siamo contenti che il Nepal dia un segno di ottimismo, ma il Paese è una goccia nell’oceano della pandemia. Consigliamo di attendere ancora qualche settimana per decidere” scrive sul suo sito Navyo Eller, meranese residente a Kathmandu e titolare dell’agenzia Navyo Nepal. Ha una posizione più netta Lukas Furtenbach, titolare della Furtenbach Adventures di Innsbruck. “Quest’anno ci concentreremo sulle Alpi” ha dichiarato l’alpinista austriaco ad Angela Benavides di ExplorersWeb. L’ambiente di un campo-base potrebbe essere ideale per la diffusione del Covid-19. Ad alta quota il corpo e il sistema immunitario sono già indeboliti dall’ipossia, dalla stanchezza e dal freddo, oltre alla febbre alta e alla polmonite, non voglio dover affrontare anche il virus”. 

Se dalle vette, dai campi-base e dai sentieri si allarga lo sguardo verso il Nepal e i Paesi vicini, si scopre che il Covid-19 si diffonde più rapidamente di prima. Quando il governo di Kathmandu ha decretato il lockdown, solo due cittadini nepalesi erano stati uccisi dalla pandemia. Tra marzo e aprile, la chiusura dei confini ha tenuto il virus lontano, poi il ritorno in patria di migliaia di nepalesi emigrati in India ha fatto crescere le cifre. Secondo il Ministero della Salute nepalese, fino al 10 agosto si sono contati 22.972 contagiati e 75 vittime. Nella confinante India, secondo i dati ufficiali, i casi di Covid-19 hanno superato i 2 milioni, e i morti sono più di 41.000. Nel vicinissimo Bangladesh, sempre al 10 agosto i casi sono 260.507, e i morti 3.484. In queste condizioni, per chi arriva dall’Europa, l’idea di tornare in Nepal può certamente sembrare prematura.

Non è giusto, però, discutere della riapertura delle valli dell’Himalaya solo per il rischio che potremmo correre noi andando lì. In realtà, in un Paese dove le strutture sanitarie sono deboli, il vero rischio è in senso opposto. Qualche viaggiatore o alpinista arrivato da lontano potrebbe contagiare la popolazione locale. 

Amerei poter tornare al normale, ma per ora non penso di mandare dei gruppi in Nepal dopo il monsone” spiega l’alpinista neozelandese Guy Cotter, che ha salito cinque volte l’Everest e dirige l’agenzia Adventure Consultants. “Il Khumbu è una “bolla” perfetta, dove la pandemia da Covid-19 non è mai arrivata. Introdurla accidentalmente lì sarebbe una responsabilità terribile”. 

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Un commento

  1. Buongiorno,
    come spesso, la pandemia forza cambi di politiche improvise. Appena confermato il prolungamento della chiusura delle frontiere e voli fino al 16 settembre. Noi sconsigliamo da tempo viaggiare nel 2020 ai nostri partner e clienti. Purtroppo si tornerà viaggiare nel 2021 serenamente.
    Saluti da Kathmandu,

    Navyo Eller

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