Pareti

Patagonia: tre spedizioni dei Ragni in partenza. “Cerchiamo le montagne più belle del mondo”

Quello tra i Ragni di Lecco e la Patagonia è amore senza compromessi, il loro terreno di gioco preferito. Da sempre la vivono appieno tracciando in quelle estreme difficoltà verticali una loro pennellata.

Come ogni estate australe, anche quest’anno molti Ragni si preparano alla partenza. In realtà Luca Moroni è già partito, insieme al compagno Leonardo Gheza, ed ha anche già messo mano sul granito rosso della Patagonia. Per Moroni si tratta della prima stagione in Sud America, l’obiettivo è quindi: scalare il più possibile per prendere confidenza con l’ambiente e carpire qualche segreto alle difficoltà estreme che offre questo territorio.

Il prossimo 28 gennaio prenderanno il volo i tre Matteo (Della Bordella, Bernasconi e Pasquetto) per continuare il lavoro, iniziato l’anno scorso da Della Bordella e Pasquetto, sul Diedro degli Inglesi. Infine, il 18 febbraio verrà il momento di Luca Schiera e Paolo Marazzi, con Giacomo Mauri, il cui obiettivo non è ancora noto.

“La Patagonia è un territorio unico, ci sono le montagne più belle del mondo” è il commento del presidente dei Ragni di Lecco, Matteo Della Bordella, quando gli si domanda cosa spinga i Ragni ad affollare questa piccola porzione di Sud America ogni estate. “Le pareti patagoniche sono bellissime da vedere e difficilissime da scalare. È un territorio che ti mette alla prova in tre modo: per le distanze, per le condizioni e per la pazienza”.

Matteo, cosa intendi con “pazienza”?

“Quando scali in Patagonia è necessario saper aspettare, saper pazientare, per trovare le condizioni giuste. È il bello della sfida: essere preparati per poter cogliere l’attimo, altrimenti il rischio è quello di tornare a casa a mani.”

Come mai?

“Perché servono tante qualità ed è necessario tener conto di tanti fattori diversi. Da un lato devi essere super preparato tecnicamente, sia per la roccia che per il ghiaccio. Dall’altra parte devi essere pronto ad affrontare il brutto tempo, a pazientare. A volte devi resistere e non cedere subito perché il solo potrebbe tornare da un momento all’altro. È la Patagonia.”

Quanto spazio esplorativo credi che esista ancora in questo territorio?

“Dipende. Quando parliamo di Patagonia spesso intendiamo la zona del Cerro Torre e del Fitz Roy dove spazio per esplorare e scoprire nuove pareti e montagne non ne esiste più da tempo. Ci sono invece delle grandissime opportunità per spingere più in là le difficoltà. Non parlo di gradi e difficoltà tecniche, ma di nuove salite in stile alpino e della possibilità di tracciare linee sulle grandi pareti. Lo spazio, in questo senso, è ancora tanto.”  

Allargando invece lo sguardo a tutta la Patagonia?

“Le opportunità di esplorare e scalare montagne e pareti inviolate sono tantissime. Per fare un esempio la spedizione di Luca e Paolo va verso questa filosofia più esplorativa, un po’ come lo sono stati anche il Cerro Murallón o il Cerro Riso Patron. Montagne già salite, ma immerse in un ambiente unico e non frequentato. Lì sei e la montagna, sei isolato nella tua avventura che diventa così totale.”  

A El Chaltén invece si vive un’avventura più “civilizzata”?

“La zona di El Chaltén è una via di mezzo. C’è chi dice che è come andare a Chamonix e chi invece parla di vera esplorazione, ma nessuna delle due affermazione è completamente vera. Ovviamente non siamo sulle Alpi, non esiste un servizio di soccorso alpino, le distanze sono enormi. Va però detto che non siamo nemmeno in una zona d’esplorazione totale. Quando rientri dalle salite hai tutte le comodità del caso, quando parti devi però aprire il gas a manetta entrando subito in modalità spedizione. Forse questo è l’aspetto che per me differenzia molto queste spedizioni dalle altre, come possono essere quelle in India o in Groenlandia. Negli altri casi sei sottoposto a uno sforzo costante, anche quando sei a campo base. Qui invece ti rilassi a El Chaltén, poi però devi dare tutto quello che hai in poco tempo.”

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