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Himalaya: i ghiacciai non spariranno nel 2035

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NEW YORK, Usa — Contrordine compagni. I ghiacciai dell’Himalaya non si scioglieranno entro il 2035 come aveva invece previsto l’Ipcc (Gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico), premio Nobel per la pace nel 2007. E’ stato l’Ipcc stesso a fare retromarcia e a porgere le scuse all’India per l’improvvida previsione datata 2007.  

Una previsione che dava per certo, con l’attuale tendenza al riscaldamento climatico, lo scioglimento delle masse glaciali nei prossimi 25 anni, con conseguenze drammatiche sulla vita di circa 2 miliardi di persone che vivono con l’acqua che scende dalla catena montuosa più alta del mondo. La ricerca era stata fortemente criticata dal ministro dell’Ambiente indiano Jairam Ramesh, che attraverso il quotidiano Times of India aveva accusato lo studio di "mancanza di dati scientifici".
 
Ora, l’organismo delle Nazioni Unite, per voce del suo direttore Chris Field, riconosce l’errore e corre ai ripari. A breve renderà pubblico un nuovo studio che conterrà date diverse.
 
I ghiacciai himalayani, confermano diversi studi, stanno perdendo massa. Ma non al ritmo sostenuto dall’Ipcc. In una recente conferenza internazionale sul clima, è emerso che al passo attuale i ghiacciai himalayani si scioglieranno del 30 per cento entro il 2030, del 40 entro il 2050 e del 70 entro la fine del secolo. Cifre molto diverse da quelle rese note dall’Ipcc.
 
Lo scivolone dell’Ipcc è il secondo nel giro di pochi mesi. Segue a ruota lo scandalo dei dati "gonfiati" per evidenziare meglio il riscaldamento globale, finito su tutti i giornali del mondo.
 
Che il pianeta stia attraversando una fase di riscaldamento globale è fuori di dubbio. Ma sono le stime sul suo andamento ad essere messe in forte discussione. In uno studio che sarà prossimamente pubblicato dal Journal of Climate, rivista dell’American Meteorological Society, si evidenzia che, in base ai modelli attuali, dall’inizio dell’era industriale a oggi l’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica avrebbe dovuto provocare un aumento della temperatura ben più alto di quello effettivamente registrato.
 
Rispetto alla quantità di CO2 emessa, la temperatura sarebbe dovuta aumentare di 2,11 gradi Celsius, invece è aumentata di 0,78. Secondo gli autori dello studio, guidati da Stephen Schwartz del Brookhaven National Laboratory, ciò è dipeso dall’interazione di diversi fattori. Il primo è che la Terra sarebbe meno sensibile all’aumento dei gas serra di quanto ipotizzato. Il secondo è che la riflessione dei raggi solari dovuta al pulviscolo atmosferico starebbe facendo diminuire il riscaldamento. Il terzo, che l’inerzia del riscaldamento dovuto ai gas serra è maggiore del previsto, anche se gli ultimi studi hanno fatto calare il ruolo di questo ultimo fattore.
 
In sintesi, conosciamo ancora poco di questo fenomeno. Gli scienziati sanno che la rotta va cambiata, ma non sanno ancora di quanti gradi effettuare la virata e soprattutto quando girare il timone.
 
Per questo gli esperti italiani del Comitato EvK2Cnr stanno raccogliendo una quantità considerevole di dati attraverso la rete di monitoraggio ad alta quota Share. I dati, resi disponibili alla comunità internazionale, serviranno per eleborare modelli previsionali più precisi di quelli attuali.  
 
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