Sicurezza in montagna

Scout e sicurezza: le vostre opinioni

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BERGAMO — Chi è stato scout, chi lo è tuttora, chi semplicemente li incontra in montagna. Tantissime le opinioni che ci sono arrivate in questi giorni in Redazione sull’argomento, segno di quanto la questione sia viva e discussa tra i frequentatori dell’alta quota. Ecco tutti i vostri pareri.

Foto courtesy of scout.org
Ciao a tutti, sono Guida Ambientale Escursionistica da 7 anni e vado in montagna da oltre 20. Chi si ricorda più… Sono d’accordo che le associazioni scout siano e debbano essere primariamente a scopo educativo, anche attraverso la pratica dell’escursionismo, ma ciò non li esime ad avere la preparazione necessaria per affrontare l’ecosistema montagna. Inoltre, ma non meno importante, non si può partire dal presupposto che “solo perchè iscritto all’associazione” chiunque sia persona adatta a quell’attività ed in quei luoghi. Oltre a essere a conoscenza dei propri limiti, bisogna anche saper dire di no!
E’ indicativo che si incontrino oltre i 2000 metri ragazzi con abbigliamento inidoneo all’ambiente, magari con zaini dai 50 litri in sù. Personalmente ho avuto a che fare con scout almeno in un paio di volte e non sono state esperienze positive. Non posso certo dire che tutto l’ambiente sià così, ma sicuramente c’è differenza tra un campo dove hai il camion che ti scarica nel mezzo di un bosco lavandini, acqua, pali e attrezzature varie ed una escursione in alta montagna.
Fabio Beolchi Associato AIGAE La179

Ciao, ho 34 anni e da una quindicina vado in montagna seriamente. Ho fatto i Corsi Cai che mi interessavano: Escursionismo su neve, Alpinismo, Roccia, Scialpinismo base e anche il Corso Avanzato. Amo la montagna e ci vado appena posso, ho passato anni in cui partivo per la montagna il venerdì pomeriggio e tornavo il lunedì mattina appena in tempo per andare a lavorare, praticamente quando non lavoravo ero in montagna. Sono molto lontano da essere un esperto di montagna ma posso dire che “qualcosa l’ho fatto”. L’anno scorso ho avuto l’occasione di fare il “cuciniere” in un campo scout estivo in montagna. Sono rimasto spiazzato dalla maleducazione e dal menefreghismo dei ragazzi. I capi hanno un bel da dire e un bel da documentarsi per prevenire gli incidenti ma i ragazzi sono abituati a non obbedire. Giravano per il “campo” in ciabattine infradito e andavano al ruscello senza preoccuparsi del pericolo di scivolare. I capi con cui ho “collaborato” erano molto preparati e spesso la sera si parlava delle loro esperienze di montagna e non mi sembravano neofiti, anzi, alcuni avevano una discreta conoscenza dei luoghi e tutti sapevano i metodi di sicurezza e pronto soccorso base. Quello che ho riscontrato è che spesso i ragazzini non obbedivano alle richieste dei capi e quello che era peggio era che i genitori dei ragazzini non aiutavano per niente. Un esempio su tutti, più di un ragazzino aveva rifiutato di portare scarponcini da montagna adeguati e si erano presi un paio di scarpette da ginnastica firmate (da centinaia di €), e durante le passeggiate più volte non volevano fare alcuni passaggi perché si sarebbero sporcati!!! Le motivazioni dei ragazzi, sostenute dai genitori, si rifacevano alla moda e alla bellezza…I capi di fronte a questo possono fare veramente poco! I giovani oggi non ascoltano chi ha più esperienza e questo è un male, in montagna ha conseguenze a volte gravissime. La soluzione è il rispetto delle regole, in montagna non si scherza. Grazie
Piero

Cosa ne penso riguardo a questo argomento? Piu frequento la montagna e più mi accorgo di quanto si pericoloso emettere “sentenze di condanna” verso chichessia! Gli scout vengono additati come i più cialtroni e superficiali frequentatori della montagna?…d’accordo già il loro abbigliamento lascia presagire un certo sadomasochismo specialmente quando ci si trova in quota ma a volte ho visto e, devo ammettere ho fatto, anche di peggio! Poi ci sono “lorsignori” i detentori del saper andare in montagna, i più “fighi” e tra di loro ulteriori distinzioni… ma sempre all’insegna della patacca da mettersi sul pile per avere un ruolo, un autorità; l’istruttore del CAI spesso guarda dall’alto in basso i “comuni mortali” che vanno in montagna, li squadra e li analizza a raggi x pronto a “cazziarli” qualora trovi la minima irregolarità nel loro abbigiamento o nel loro modo di procedere…salvo poi imbattersi in comprtamenti di questi stessi istruttori ben rappresentati nelle mail precedenti, o anche di peggio! Se saliamo nella scala gerarchica troviamo le Guide Alpine e, in cima, Gli Istruttori Nazionali delle Guide alpine che considerano, spesso non a torto, gli istruttori nazionali del CAI come delle “guide fallite”, dei “vorrei ma non posso”. Qui siamo nel professionismo e per entrare nel “club” bisogna sottoporsi a selezioni e periodi di formazione sevrissimi, spesso e volentieri con connotazioni “militaresche”. Quindi la Guida alpina ha “potere di ramanzina” su chiunque; su gruppi parrocchiali, scout, semplici escursionisti, alpinisti e istruttori CAI! Adesso, non che sia errato se vedi uno che sbaglia riprenderlo anche e soprattutto per il suo bene e la sua incolumità, ma sono i giudizi, quelli netti e irrevocabili, insomma come ho già scritto sopra le “sentenze di condanna” che mi danno un po’ fastidio…la tal persona non doveva essere in quel posto in quel momento, ha sbagliato!…in molti casi sembra quasi che si sia meritato di morire! A mio avviso non c’è molta differenza tra chi ha sbagliato per ignoranza in materia alpinistica e chi ha sbagliato xchè ha rischiato troppo, consapevole del rischio che correva!! Mi riferisco in particolare alle cascate di ghiaccio e ai recenti gravi incidenti, anche mortali, che sono occorsi a guide alpine di fama e di comprovata capacità ed esperianza! In quel caso xò nessuno giudica, nessuno del “club” esprime pubblici “j’accuse” (magari in privato si…!) nessuno che dica ha sbagliato, ha rischiato troppo, non c’erano le condizioni ideali…etc e penso sia giusto così! Ma queso deve valere per TUTTI perchè DOPO (sempre dopo!) è troppo facile giudicare, emettere il verdetto, trovare la scusa! La realtà è che, ogni volta che ci troviamo su un terreno d’avventura, ogni volta che ci siamo in balia della natura, sia essa un oceano, o una cima di 8000 metri o una cascata di ghiaccio finanche un pendio innevato, siamo esposti ad un certo margine di rischio e spesso non siamo solo noi a decidere ma le circostanze spesso imprevedibili del momento, e questo vale per tutti! Per lo scuot come per l’istruttore delle Guide!…anzi…mi verrebbe da dire che spesso e volentieri la guida si va a cacciare in terreni oggettivmente più pericolosi rispetto a quelli fequentati dallo scout e quindi la sua grande perizia viene “compensata” dal fatto che è in un ambiente estremo e, al netto, il margine di rischio è come quello dello scout “ignorante” sul pendio innevato! Come diceva il vecchio montanaro…”Attento, che tu sei esperto…ma la montagna non lo sa!!”
Roberto
Voglio rispondere alla considerazione di Marco ex Scout di Torino. Mio caro Marco appoggio pienamente quel che hai sostenuto sul Cai, anch’io sono stato Scout per 20 anni ed è proprio in questi anni di scoutismo che ho cominciato ad andare in Montagna e mi hanno insegnato ad essere leale e rispettoso non solo della Montagna, ma soprattutto con gli altri e me stesso, quello che dal Cai in quei pochi anni che ne ho fatto parte non mi hanno insegnato di certo. Come ogni ambiente non facciamone di un erba un fascio però nell’ambito del Cai è meglio che si fermino un’attimo e discutano a tavolino dei loro incidenti e di cosa non funziona nei loro corsi, visto che otto su dieci dei loro allievi non continuano ad andare in Montagna, e quando si tratta di parlare su come bisogna comportarsi in Montagna loro sono sempre in prima linea facendo credere di saperne più di tutti. Ho 49 anni, e sono 37 anni che faccio alpinismo, ho fatto più di 800 vie e salite e ho compiuto almeno più di cento vie in solitaria, ho aperto almeno un centinaio di salite, ho fatto qualche spedizione EXTRAEUROPEA! Ho avuto la fortuna di essre diventato professionista della mia passione, e mi ritengo fortunato. Però non mi sono mai vantato di quello che ho fatto, non mi è mai interessato di raccontare le mie salite, continuo ad andare in Montagna e per fortuna non sono famoso, sono sempre stato fuori da ogni polemica, ho sempre ascoltato, sentito, e imparato. Ho le carte in regola per dire la mia, ma mi dispiace quando qualcuno parla male degli Scout permettetemi che allora entro a gamba tesa in loro difesa perchè conosco molto bene l’ambiente, saranno cambiati i tempi ma conosco bene i metodi educativi dello Scoutismo, e mi permetto difenderli. E quando qualcuno nelle mie conferenze o amico mi chiede cosa ne penso degli Alpinisti? Io rispondo sempre che se l’Alpinismo è quello di oggi, (allora io non sono mai stato un Alpinista). Invece uno che è stato  Scuout, rimane Scout per tutta la vita…
Ciao Salvo

Che valangate di parole, ognuno cerca appigli sempre più alti per vedere da sopra gli altri. Cosa ci sarà da vedere se non l’essere umano in tutta la sua fragilità? Non serve e non basta la formazione, l’abbigliamento, la conoscenza, la tecnica, l’allenamento…altrimenti non ci sarebbero tanti incidenti (in tutte le attività umane) dovuti alla sicurezza di aver scelto di fare ciò che in quel preciso momento non doveva essere scelto. Fatalità? No, è la possibilità che solo l’essere umano ha di poter scegliere con la ragione.
Fabio Miconi

Ciao a tutti. Sono un ex scout (19 anni in associazione anche con ruolo di educatore, perciò di accompagnatore in montagna). Nella mia vita ho avuto anche qualche esperienza sporadica di alpinismo (ho fatto qualche 4.000 tra i più facili) e conosco più o meno il CAI essendone stato socio per alcuni anni e perchè ho numerosi amici che ne fanno parte, anche come istruttori di scialpinismo. Ho letto un po’ di commenti alla triste vicenda dell’incidente in montagna che ha visto protagonista gli scout. Ho notato che si sprecano i pregiudizi nei confronit del movimento, soprattutto e ovviamente da parte di chi fa parte del CAI. La superficialità che ne emerge è disarmante. Io penso che il problema debba essere affrontato dall’associazione scout con serietà e molta attenzione, come penso stia avvenendo. Penso anche che la polemica che si tende ad innescare sia piuttosto sterile. Il problema delle morti in montagna (a quanto pare sempre più numerose negli ultimi anni) non è certo però un problema degli scout ma piuttosto del CAI e di quelle associazioni che si ritengono depositarie della summa conoscenza dell’andare in montagna e che dall’alto di questa sapienza e conoscenza sono prontissimi a giudicare quello che capita agli altri. A questo proposito voglio solo citare un episodio capitato a mia moglie qualche anno fa quando frequentava un prestigioso corso avanzato di alpinismo del CAI. In una delle gite del corso era stata affiancata (come sempre capitava, credo) da un istruttore (la regola era giustamente un istruttore o aiuto istruttore per ogni allievo) e avevano incominciato il percorso di avvicinamento alla via di roccia che avrebbero dovuto affrontare. Mia moglie quel giorno non si sentiva molto in forma e non riusciva a tenere il passo della sua guida. Il risultato è stato che la giuda l’ha letteralmente abbandonata lungo il percorso senza aspettarla, immagino per il puro gusto di non perdere l’occasione di fare una via e non “sprecare” la giornata. A lei non è restato altro da fare che fermarsi e, consigliata da altri istruttori, tornare indietro al pullman, dove a fine giornata ha poi rincontrato il suo “angelo custode” bello soddisfatto per la via affrontata in solitaria. A me gli scout mi hanno insegnato che in montagna non si lascia indietro nessuno, per i motivi che ben potete immaginare! L’
insegnamento venuto dal CAI in quell’occasione nella persona di una autorevole istruttore è stato piuttosto discutibile. Ho raccontato questo episodio perché penso che la montagna e l’alpinismo siano purtroppo ancora un mondo elitario frequentato da troppa gente che pensa sempre di avere la verità in tasca e sempre pronta a giudicare in maniera superficiale quello che capita a chi non fa parte del “giro”. Troppo spesso chi affronta la montagna lo fa per “fare la performance” e l’andare in montagna diventa una mera competizione ed una dimostrazione di bravura. Da questo atteggiamento derivano secondo me molti degli incidenti che capitano in montagna. Personalmente ho sempre preferito l’approccio meno tecnico e meno professionale degli scout che però in fondo vivono l’essenza della montagna e della natura molto di più dei presunti professionisti della montagna sempre pronti ad emettere sentenze.
Un saluto a tutti.
Marco da Torino

Sono stato scout e capo per un totale di 12 anni e sono certo che i capi e quindi gli scout non hanno un’adeguata preparazione ad affrontare le attività che svolgono normalmente. Questo perchè non c’è volontà da parte dell’associazione di fornire questa preparazione perchè si considera sopratutto l’aspetto ludico dello scoutismo e quasi nulla quello legato alla sicurezza. Tale assurda anomalia e carenza ha prodotto (solo che io conosco) almeno cento morti tra gli scout in meno di 50 anni che sono un n° incredibile se paragonati a quante attività rischiose svolgono. Insomma, in media almeno una volta su 5 che gli scout affrontano un’attività rischiosa, subisono un incidente. E ci sono pure genitori che hanno avuto figli traumatizzati o peggio che, invece di far sanzionare i capi responsabili di questi incidenti, dicono che è il destino così che i casi si ripetono e lo scautismo perde invece di vincere. Certo và considerato che gli incidenti capitano sopratutto nelle attività montane perchè proprio in queste, la maggiore associazione del settore che lo influenza enormemente, a differenza di quelle degli altri settori, non svolge corsi propedeutici alle attività. Infatti per svolgere attività speleo o subacque o veliche o ippiche o sciistiche, ecc, occore frequentare un corso di formazione!! E in più il cai mette pure in giro il falso -più volte querelato- che per essere soccorsi gratuitamente, occorre avere la tessera del cai!!! e pensare che fino al I° gennaio 2009 solo il cai trra tutte le associazioni del setore montagna non aveva neppure l’assicurazione per danni evadendo la legge nazionale che la impone dal 1994 a tutte le associazioni, vergogna!!
Rosa Mario

Un ragazzo morto è sicuramente un evento molto grave che non dovrebbe mai succe
dere, bisogna comunque considerare che in Italia ci sono più di 200000 scout e di incidenti mortali (non solo in montagna) l’anno scorso ne è capitato uno soltanto (circa un morto all’anno è la media storica). Dai dati del CNSAS del 2006 si legge che, in quell’anno, ci sono stati
405 morti recuperati dal Soccorso Alpino, sempre dalle stesse statistiche risulta che il 5.5% degli interventi effettuati sono stati fatti per soccorrere un socio CAI, se questa percentuale si applica al numero di morti totale risulta che ci sono stati una ventina di soci CAI deceduti in quell’anno. I soci CAI sono 314.969 nel 2009, risulta quindi essere più di 10 volte più pericoloso essere socio CAI che non scout. Con questa provocazione vorrei far notare che bisogna stare attenti ai facili allarmismi. Mi sembra più importante che una persona sia giudiziosa piuttosto che preparata: in questo caso infatti uno eviterà di finire in situazioni troppo difficili per lui scegliendo un percorso più semplice o affidandosi a degli esperti (ho notizia di gruppi scout che si sono fatti seguire da alcune guide alpine per raggiungere la loro meta). Io sono un capo scout e socio CAI di 26 anni che porto i miei ragazzi in montagna abbastanza spesso, personalmente mi ritengo sufficientemente preparato all’ambiente montano frequentandolo in ogni sua forma quasi ogni weekend libero ed avendo frequentato 3 corsi del CAI, quindi non ho problemi ad accompagnare i ragazzi nelle uscite tra i monti (in ogni caso prima di scegliere un sentiero lo percorro da solo per vedere se è adatto ai miei ragazzi), se però volessi fare un’uscita in grotta non esiterei a chiamare degli speleologi non sentendomi sufficientemente sicuro in quell’ambiente. Vorrei poi chiarire parte delle critiche che vengono mosse agli scout:
– I capi dovrebbero essere preparati all’ambiente montano: sarebbe certamente una bella cosa se non fosse che facciamo anche attività su fiumi, mari, grotte, città, sulla neve, in zone arse dal sole, in bici, ecc…vista la grande varietà di ambienti che andiamo ad affrontare è impossibile raggiungere buoni livelli di esperienza in tutte le discipline quindi ognuno porterà i suoi ragazzi sui terreni dove si sente più preparato e chiederà aiuto ad esperti negli altri casi, niente di meno di ciò che farebbe un genitore portando la sua famiglia.
– Lo scautismo è un movimento educativo ed i capi vengono formati per operare in questo campo. Sono stati visti gruppi perdersi su sentieri grandi come autostrade: sicuramente potrebbe essersi trattato di un caso nel quale il capo si è spinto in un terreno per lui troppo impegnativo, però vorrei chiarire che, a differenza del CAI, nello scautismo per insegnare qualcosa ad un ragazzo spesso gli si lascia fare anche degli errori evidenti per poi fargli capire che ha sbagliato e che le cose vanno fatte in altro modo (di solito quello proposto dal capo anche se senza forzare), l’abilità del capo scout sta nel riuscire a far sbagliare i suoi ragazzi senza che nessuno si faccia male, ovviamente se il rischio è grande il discorso cambia ma se per insegnare ad un ragazzo l’uso della cartina dovrò perdermi in una zona che so non essere pericolosa ben venga.
– Scout sulla neve in pantaloni corti e scarpe da ginnastica e zaini enormi: quanto scritto sopra vale in parte anche per
l’equipaggiamento: si fa anche sbagliare i ragazzi in modo che capiscano cosa è corretto e cosa è sbagliato portare, una volta ho organizzato un’uscita su un terreno particolarmente fangoso proprio per insegnare che in montagna si va con gli scarponi, chi aveva le scarpe da ginnastica ha dovuto farsi aiutare per non finire per terra; per quanto riguarda i pantaloni corti invece devo dire che in buona parte ha ragione chi dice che non sono l’indumento corretto per andare in montagna specialmente d’inverno, sono però una tradizione che molti (me compreso) portano avanti.
In conclusione tutto dipende da cosa si vuole per il proprio figlio: se si vuole che impari ad andare in montagna vi consiglio di iscriverlo all’Alpinismo Giovanile del CAI, se invece si vuole che cresca soprattutto caratterialmente lo si iscriverà agli Scout ma se non vi fidate dei capi, per favore, non iscrivetelo neanche.
Giacomo Zoccatelli
capo scout del gruppo AGESCI Valpolicella1 (VR)

E’ un malcostume tutto italiano quello di sparare a zero in certe situazioni, essendo forti del non aver vissuto l’esperienza in questione e dell’essere ignoranti per il 50 % sull’oggetto del dibattito. Ho letto: “io non manderei i miei figli negli scout”..giustissimo, sono i tuoi figli…”un anno è poco”…dov’è Bruno Vespa con il plastico del sentiero??…oppure teorizzare sull’inadeguatezza dei pantolincini corti come “crimine” del quale tutti i gruppi scout si macchiano nelle loro attività ed in ultimo il voler approvato un “disegno di legge” restrittivo, relegando gli scout nelle loro aree gioco attrezzate, magari con body scanner per evitare che l’incauto lupetto possa andare a farsi la pisciatina poco lontano dal ranch. Che gli alpinisti parlino di alpinismo e gli scout di scoutismo laddove non sia comprovata la conoscenza della montagna da parte degli scout e la conoscenza dello scoutismo da parte dei frequentatori della montagna (ecco il riferimento al 50% di cui sopra). Accompagnare in montagna ragazzini, bambini o adulti richiede due cose, buon senso e preparazione (tecniche, equipaggiamento ed esperienza). I capi che sono stati condannati hanno peccato forse di entrambe le cose. La tragedia si è consumata, la giustizia ha fatto il suo corso (la giustizia lasciamola ai giudici) e quantomeno tre vite sono andate distrutte: quella del povero ragazzo e quella dei capi condannati. Stop. La faccenda per me è chiusa. Tristemente ma è chiusa. Colpa = Condanna, (che poi ci sarebbe anche tutto un discorso sulla misericordia divina ed il perdono che lascio affrontare ad altri). Veniamo agli SCOUTS (al plurale).  Da quello che so gli scout non sono una setta (se ci sono dei cerimoniali e delle tradizioni è giusto che sia così…io non credo che gli alpinisti abbiano tutti le guancette rosse e siano degli alcolizzati), sono dei liberi cittadini pensanti ed agenti (ognuno è responsabile delle proprie azioni ) non sono automi (ved. setta) non si infettano gli uni gli altri (se uno scout è grasso, non tutti gli scout sono grassi e se uno commette un errore non tutti gli scout faranno lo stesso!!!). GLI SCOUT NON VANNO IN MONTAGNA COME ASSOCIAZIONE DI AVVIAMENTO ALPINISITICO…..SONO UN’ASSOCIZIONE CHE SI OCCUPA DI EDUCAZIONE, capita che gli scout decidano di andare in montagna perché l’ambiente montano è fortemente “educativo”,. La strada, la condivisione della fatica, la via, la meta….tutto perfetto per gli scout. Anche per una volta l’anno che gli scout vanno in montagna occorre dunque essere preparati ed in questo sono d’accordissimo, quindi o i capi scout si preparano a dovere o si fanno accompagnare, oppure forti della loro esperienza (che assolutamente deve esserci come requisito) portano i ragazzi in montagna lungo sentieri (T o E) dove il rischio è limitato ma il buon senso e l’occhio lungo del capo sono invece sconfinati. D’altronde  quasi tutti i gruppi (non legati al CAI) fanno regolarmente escursioni in montagna, ed ogni volta invece si sta a discutere sempre solo degli scout.   Vorrei porre l’attenzione su un fatto già accennato da altri circa il protocollo firmato da due delle maggiori associazioni scout italiane ed il CAI, segno di un’apertura ed un interesse tutto spinto verso la sicurezza in primis e verso una corretta fruizione dell’ambiente montano. In conclusione io odio le speculazioni che si fanno intorno alle tragedie, ho odiato la stampa che si accaniva  contro l’alpinismo nelle vicende n
ote di Karl Unterkircher e di Confortola. Per gli alpinisti e per me creo siano per lo più degli eroi. E invece il mondo dell’alpinismo, che sono sicuro  come me ha odiato chi si accaniva in speculazioni mediatiche nelle vicende del nanga parbat e del K2, adesso che fa?? Sta qui sornione e pontifica dall’alto di un paio di scarponi consunti dall’esperienza e tronfi di moralismo.
Bernardo

ciao a tutti. Sono stato scout da ragazzo, e ora sono accompagnatore nazionale di alpinismo giovanile in una sezione CAI di Genova. Leggo con tristezza i tanti commenti inopportuni a seguito dell’incidente accaduto a inizio 2009 al povero ragazzo in Cadore. Mi domando come sia possibile, di fronte a disgrazie così grandi, che ci sia sempre qualche scienziato pronto a giudicare “a priori e a prescindere”! Se vogliamo farne un discorso di cruda statistica, credo che i numeri ci diano addosso in maniera inclemente: estate e inverno i media riportano con enfasi le tragedie che accadono in montagna ad escursionisti impreparati, a scialpinisti che non si curano dei bollettini neve, a rocciatori incoscienti che si avventurano su vie non alla loro portata, e si tratta quasi sempre di soci CAI…Siamo pronti a criticare, vantando di aver frequentato un corso CAI ma dimenticando opportunamente che molti dei nostri allievi vengono da noi “perché fa figo”, “perché c’è un istruttore/istruttrice che è troppo carino/carina”, “perché così ho la tessera e quindi il soccorso in caso di necessità ” o altre stronzate del genere. Non vogliamo proprio toglierci questa veste elitaria, crediamo di essere i depositari di una cultura che neanche conosciamo un poco. Chi vive la montagna, a prescindere, ha rispetto per le disgrazie altrui e si attiva per aiutare chi si trova in difficoltà (mai sentito parlare del CNSAS???) ci dimentichiamo anche che la stragrande maggioranza dei nostri soci cammina per monti occasionalmente, e preferibilmente in gite sociali; su oltre 300.000 iscritti, quelli attivi sono una percentuale minima, che diventa ridicola non appena ci spostiamo in quota…il movimento scout muove un numero di ragazzi enorme, che vivono l’ambiente dalla spiaggia fino al rifugio a 3600 metri; avessimo noi la capacità di trasmettere ai giovani i valori che loro portano avanti da sempre! Però come siamo pronti a notare quei ridicoli pantaloncini corti, quell’inutile fazzolettone al collo, quello zaino da 80 litri con tutta la roba appesa fuori per una gita di un giorno …com’è che qualcuno li definisce? ah, si, ora ricordo: “un gruppo di bambini, vestiti da cretini, guidati da un cretino, vestito da bambino” …spettacolo! In questi casi apprezzo sempre di più il settore gite della Coop, che porta in montagna tante persone senza squilli di trombe né sentenze a posteriori. Casualmente, chi ha la vista un po’ più lunga (e intelligenza e sensibilità non comuni), da anni ha messo la propria faccia per realizzare quello che definisce “lo stato generale dei giovani”; non l’ho mai sentito polemizzare sulla preparazione tecnica degli Scout, piuttosto ci ha sempre detto di essere (noi istruttori CAI) all’altezza della situazione! Mi ricorda un po’ “l’estote parati” …informatevi su cosa significa, su quando è stato detto e da chi, su quanto sottintende…ora chiudo, per evitare di diventare polemico.
buona montagna a tutti,
Enrico

A seguito dell’intervista a B.Calvi  la quale ribadisce il concetto che in montegna non si può imporre a nessuno il giusto comportamento ed equipaggiamento, ritengo che tutte quelle che si costituiscono come associazioni o organizzazioni dovrebbero essere obbligate ad avere persone adeguatamente formate e patentate in modo da avere la responsabilità di accompagnare soprattutto minorenni in montagna. Il concetto della Calvi è giusto se riferito a tutti coloro che in modo autonomo fanno montagna ma al contrario se partecipano ad uscite organizzate con gruppi riconosciuti con nomi e simboli allora occorre necessariamente la figura di responsabili addestrati a svolgere tali funzioni.
Cordiali saluti,
Daniele, C.N.S.A.S.

Parlo da scout e da appassionato di montagna. Quando leggo articoli di giornale sugli scout colgo spesso piccole o grandi imprecisioni dovute a scarsa conoscenza di tale associazione. Una pecca dello scoutismo è senz’altro quella di non essere bravo a portare la sua immagine e i suoi contenuti all’esterno del movimento. Altre volte però i pregiudizi si sprecano. Fare scoutismo non vuol dire necessariamente andare in montagna. Vero è però che alcune esperienze e valori che lo scoutismo si propone di trasmettere si intrecciano bene con quelli che la montagna può offrire. Detto questo, credo di poter contare sulle dita delle mani le volte che sono andato in montagna da scout. Ricordo in particolare una bella e lunga escursione con la “squadriglia” all’età di 13 anni (il più grande ne aveva 16). Il percorso era stato precedentemente deciso e testato dagli “educatori”. Gran divertimento, fatica, un pizzico di avventura. Ricordo alcune camminate con i ragazzi più piccoli, niente di impegnativo naturalmente. Ricordo infine 5 giorni di “route” estiva tra le Dolomiti nel gruppo del Civetta all’età di 20 anni. Sentieri escursionistici (difficoltà E) percorsi con zaini giganteschi completi di tenda, cibo, fornelletto, vestiario adeguato ma non certo tecnico, quindi più pesante. Tutto materiale deciso prima di partire dopo una ricerca accurata sull’equipaggiamento idoneo per l’escursione che andavamo ad affrontare. Naturalmente se io avessi voluto portarmi dietro 8 magliette di ricambio, piuttosto che 2 chili di mele o la chitarra nessuno me l’avrebbe impedito (data la mia età). Credo però che dopo la prima ora di cammino avrei capito da solo che forse sarebbe stato meglio lasciare tutto quanto a casa. Altra cosa sarebbe stata se io fossi arrivato in scarpe da ginnastica: senza scarponi non si parte! Durante questi 5 giorni ci siamo spinti anche un po’ oltre le nostre capacità facendo la ferrata che dal rifugio Coldai arriva in cima al Civetta (4h per la salita e 4h per la discesa). E’ stata la gita più lunga della mia carriera montanara: ci abbiamo messo 15 ore. Per me non è stata difficile, ma per alcuni miei coetanei era troppo. Prima di partire abbiamo “studiato” come affrontare una ferrata, ma una cosa è la teoria e un’altra la pratica.  Pur non avendo mai avuto la sensazione di essere in pericolo, probabilmente, noi e i nostri “educatori” abbiamo esagerato a porci un obiettivo fuori dalla portata di alcuni componenti del gruppo. Al di fuori di questi ricordi che vogliono essere un esempio minimo ma concreto della mia esperienza di scout in montagna, mi chiedo: quanti incidenti sono accaduti a scout? Con le dovute proporzioni sono più di quelli accaduti a “normali” escursionisti? Non saprei, magari la redazione è meglio informata. Vero è che un conto è prendersi dei rischi in un’escursione tra amici, altro è assumersene quando “educatori” scout si prendono la responsabilità di portarsi dietro dei ragazzi. In tale circostanza il rischio va il più possibile azzerato. Non so se nel caso avvenuto in Cadore questo sia stato fatto o meno, non ho elementi per giudicare. Quel che sicuramente andrebbe fatto e mi pare di capire che si stia facendo, con tutte le difficoltà che possono esistere nei rapporti tra due associazioni di volontariato (mancanza di tempo, soldi, conoscenza reciproca…), è costruire un canale privilegiato tra gruppi scout e CAI.
Luca

Un po’ superficiale. se uno va in montagna per gli affari suoi libero di fare ciò che crede; se uno va in montagna accompagnando altri, a magg
ior ragione se ragazzi, deve avere le competenze per poterlo fare re quindi i corsi dovrebbero essere obbligatori.
Maurizio Cusinato

Io penso che se un giovane vuole fare il capo-scout debba essere preparato-formato avendo svolto diversi corsi inerenti la frequentazione della montagna cosa che il cai fa regolarmente in tutte le sue sezioni. Penso anche che le varie associazioni di scoutismo debbano rendere tali corsi obbligatori . Detti corsi farebbero crescere il bagaglio tecnico e di esperienza diminuendo i rischi che i ragazzi potrebbero correre se portati in montagna da inesperti. Oltretutto mi risulta che il cai sarebbe disponibilissimo a tale collaborazione. Saluti da un socio CAI
Claudio Corrente

Ciao! Sono alpinista e capo scout allo stesso tempo, la montagna è pericolosa, e piu la frequenti piu impari, spesso a tue spese o dai racconti dei tuoi amici che è cosi.. Volevo fare una semplice domanda: Quanti scout ci sono in Italia? e quante uscite, campi fanno ogni anno? Qualcuno si è mai posto il problema? Oltre alle mie due grandi passioni sono laureato in economia, e per 3 anni ho fatto l’assistente di analisi dei dati in università. Vi ssicuro che se qualcuno si fosse posto questa domanda non ci sarebbero tutte queste polemiche! Quando si parla di vite umane nessuna percentuale è accettabile (per quasto non le calcolerò), ma se consideriamo che in italia tra AGESCI, CNGEI, FSE e federazioni autonome ci sono oltre 220.000 scout e in media i nostri ragazzi passano 20 giorni l’anno in montagna mentre tutti i sabati fanno “attività” nelle loro sedi, forse ci rendiamo conto della portata reale del fenomeno!!! Un altro dato dovrebbe far riflettere: nel periodo estivo dello scorso anno 2009 che va dal 6 giugno al 23 agosto hanno perso la vita sulle alpi italiane 33 persone  (VARESE NEWS: http://www3.varesenews.it/italia/articolo.php?id=149367) di queste 2 erano guide alpine e 8 “escursionisti esperti”, nessuno scout. Mi viene da chiedere: il problema sono gli scout? Quante guide alpine ci sono? Non dovrebbero essere super comprovati professionisti??? Beh, lo sono (nella maggior parte dei casi!) il problema è la Montagna, che va temuta e rispettata! La “Formazione” dei capi scout è fantastica e fenomenale da un punto di vista educativo e sociale, ma da un punto di vista alpinistico lascia spesso a desiderare, questo è il motivo per cui è importante la capacità di valutazione individuale, che ci porta a dire certe cose si possono fare, altre no! L’ostinazione in montagna è pericolosa. I cercatori di funghi e i turisti penso poi siano le persone veramente piu a rischio. La tragedia avvenuta in Val Bona deve essere di stimolo per tutti noi Capi ed Educatori ad aggiornarci e specializzarci nelle tecniche alpinistiche, ma soprattutto a guardare in faccia i nostri ragazzi, ad ammettere onestamente i nostri limiti e a confrontarsi realmente con condizioni della montagna e dei sentieri che ci apprestiamo a seguire.
Molto si è gia fatto e si sta facendo a diversi livelli, in primis la forte sensibilizzazione all’interno degli eventi formativi (parlo per l’AGESCI) e gli accordi di collaborazione con il CAI a livello nazionale sempre promossi dall’AGESCI. Credo la Montagna sia un ambiente educativo formidabile, e gli scout fanno un servizio eccellente. Invece di fare processi mediatici a presone moralmente distrutte e gia condannate da processi reali, penso sia quantomai importante riportare l’attenzione a quelli che sono i rischi che tutti corrono quando vanno in montagna, indipendentemente dalla lunghezza dei pantaloni che indossano o dal colore della maglia, e perchè no, parlare di come dei giovani (tanto criticati oggi) siano in grado e abbiano voglia di impegnarsi per “lasciare il mondo un po migliore di come lo hanno trovato” per davvero, dando testimonianza di valori alti!
Federico, 23 anni, Capo AGESCI, membro del CAI, appassionato di montagna e Alpinista certificato.

Buongiorno, io sono stato scout e successivamente capo-scout nell’Agesci per un totale di 20 anni circa. Ho seguito tutto l’iter formativo e sono diventato capo brevettato. Sono anche un grande appassionato di montagna, con esperienze alpinistiche di medio livello sia su roccia che su ghiaccio. Nella mia esperienza scout ho fatto il capo reparto (con ragazzi in età
12-16 anni circa) portando, ad esempio, come conclusione di un cantiere di Alpinismo che avevamo fatto in un campo a Bagolino (BS) un gruppo di una dozzina di ragazzi in vetta al Cornone di Blumone ad una quota di 2800 mt circa, però non fidandomi a fare ciò da solo ho fatto salire ad aiutarmi nell’ascensione i due miei abituali compagni di cordata  per mettere in sicurezza con corde fisse i punti più pericolosi della salita; ho poi fatto il capo clan (ragazzi età 17-21 anni circa )  affrontando ad esempio una route in Val  d’Aosta  da Cervinia a Gressoney salendo su sentieri a Passo Cima Bianche e al rifugio Mezzalama ambedue a 3000 mt circa di quota, ma anche in questo caso ero con un mio abituale compagno di cordata scout anch’esso. Non mi sono però mai avventurato su ferrate o su percorsi che prevedavano passaggi su roccia in maniera improvvisata e da solo accompagnando i ragazzi e conoscendo l’ambiente alpino in inverno durante questa stagione non programmavo mai escursioni in quota, ma mi limitavo all’alta collina; qualche rischio in più c’era quando mandavamo i ragazzi in uscita da soli (anche minorenni come nel caso delle uscite di squadriglia) si cercava di prevedere il più possibile con nostre preventive ispezioni nelle zone in cui si mandavano i ragazzi però se sbagliavano sentiero quando erano soli erano rischi. Però anche in questo caso reputo che la mia esperienza era fondamentale nella scelta degli itinerari, infatti frequentando io l’ambiente alpino e collinare della mia provincia praticamente tutto l’anno in forma privata, sapevo scegliere su quali percorsi portare i ragazzi e quali era meglio evitare. Per quel che riguarda la formazione che offre l’Associazione essa è molto competente a livello educativo, ma per quanto riguarda certe tecniche di progressione in montagna essa è principalmente lasciata all’iniziativa del singolo gruppo locale o personale reputando, a mio modesto parere giustamente, che essa non sia parte integrante dell’offerta formativa offerta ai giovani; infatti secondo me si può fare dell’ottimo scoutismo senza fare alpinismo che invece va delegato al Cai con le sue scuole di alpinismo giovanile. Quello che vedo manca ai giovani capi-scout che incontro ogni tanto nelle mie escursioni è quella esperienza che viene solo e solamente dal frequentare l’ambiente alpino (nessun corso può dartela), e l’umiltà di capire che si può fare dell’ottimo scoutismo anche senza portare i ragazzi sul Monte Bianco ma proponendo ai ragazzi avventure “speciali” in cui si è competenti o nel caso di propria inesperienza chiedendo aiuto ad esperti come facevo io quando mi inoltravo in imprese (es.teatro) in cui mi sentivo completamente impreparato.
Buona Strada a tutti
Paolo Posenato ex capo scout del S. Martino 1° (VR)

Gli impreparati e male equipaggiati che frequentano le montagne purtroppo sono molti, ma i gruppi di Scout sono un caso a parte. Non e` tanto la totale inadeguatezza con cui affrontano la montagna a stupire quanto l’entusiastica convinzione a volerla affrontare in quel modo, inquadrati in greggi numerose, in divisa e con tutti gli altri anacronistici simboli associazionistici che li contraddistinguono. E` come se volessero dirti: noi siamo Scout, non abbiamo bisogno di materiali moderni e di una specifica preparazione, c’e` qualcuno lassu` che ci protegge, e questo basta. L`impreparazione non e` dovuta a negligenza, e` conseguenza  dell’ideologia che ispira l`associazione. Benvenga la ca
mpagna di MontagnaTV, speriamo che serva.
Andrea

E rieccoci a rivangar il pugnale nella piaga! Mi riferisco ovviamente alle polemiche di Scout e affini. Gli anni della mia gioventù sono stati caratterizzati dalla passione dei miei genitori di andar per monti, non avevano tempo certamente per praticare quello che ai tempi poteva essere …da pazzi! Sta di fatto che dentro me stava covando il tarlo di “Natura e monti!” Dalle prime esperienze da ragazzino (non c’erano dalle mie parti gli scout, e null’altro!) per boschi e su pendii vertiginosi, arrivai all’alpinismo attraverso la scuola di alpinismo, raggiungendo infine il titolo di Istruttore Nazionale di Alpinismo. Se un incidente non mi ha permesso grandi conquiste, il cuore è sempre stato la’ e man mano che crescevo e diventavo padre, lo scoutismo prendeva piede dalle mie parti. Aderiscono prima un figlio, poi l’altro e poi l’ultimo ma, un bel di…“Ma sai che tu saresti un bel capo Clan!?” (ricordo che il Clan è la “Branca” di ragazzi più grandi che compiono il cammino scout). Quanto questa frase, sussurratami da un angelo, è risuonata dentro me! E dopo un po’ di tempo eccomi a frequentare un corso per capi di provenienza extra associativa. Credo sia stata la mia più grande esperienza di vita! Ci fu una conversione di fede e un ritrovarmi a far qualcosa di utile per i ragazzi. Dopo quell’esperienza e l’inizio d’esperienza in “Comunità capi” in un gruppo vicino, sono stato invitato a frequentare un corso nazionale per capi clan. Devo dire che anche questa è stata una gratificante esperienza. Al ritorno, di solito si effettua una verifica in Comunità Capi per portare la propria esperienza e a domanda del mio capo Co.Ca. per manifestare la mia prima impressione risposi: “Che imbranati questi Scout!” Scandalo! Ho visto facce con tutte le espressioni possibili! Storcersi in malo modo per non dovermi dire che ero quantomeno un pirla che si permetteva di sparare simili giudizi! “…eravamo al caldo in rifugio e con tempo incerto, i capi nazionali cincischiavano un po’, tra giochini, riflessioni e preghiere. Mentre la mia esperienza mi diceva che tra poco fuori sarebbe diluviato, decidono di partire per una meta intermedia. Dopo pochi metri infatti: diluvio! Ne ho viste in quel contesto, di tutti i colori! Ed erano Capi Nazionali! Gente che non sapeva se andare, tornare, piantare tende sotto il diluvio, andare sottovento o sopravento, insomma un casino! Io mi ero già premunito, tranquillamente equipaggiato al riparo di un rudere a poche centinaia di metri dal rifugio. Quando fummo ben inzuppati (loro) decisero di ripartire che ancora pioveva a dirotto.” Ma lo scoutismo non è solo, andar per monti, cosa che pochi scout sanno fare, è un grande contenitore dove si imparano tante cose e si sperimentano valori spesso oggi dimenticati e si ha modo di mettersi alla prova con esperienze forti ed uniche! Il nostro Clan negli anni successivi al mio “insediamento” è stato “Chiamato” dal nostro Padre Celeste, utilizzando Suo figlio Giovanni Paolo II a Parigi per la Giornata Mondiale della Gioventù. Naturalmente si doveva arrivare a piedi da strade diverse e uniti a gruppi diversi. Anche in quel caso ne ho viste di ogni…! Anche da parte dei Capi Nazionali che mi hanno riferito che io, “Facevo impressione”! non so come mai, forse perché difficilmente perdevo la strada, difficilmente sbagliavo tempi e difficilmente mi facevo prendere dal panico…? Fu anche quella comunque un esperienza eccezionale. Dalla mia permanenza sono usciti tantissimi capi (quasi tutti i miei ragazzi lo sono diventati) e se le cose buone si vedono dai risultati, devo dire che è stato positivo. Purtroppo non sempre si riesce a trasmettere un’esperienza importante a chi resta in quel campo per pochi anni e si preoccupa troppo di altri problemi e troppo poco della sicurezza in montagna. La gioia, l’allegria e la spensieratezza dei ragazzi li proietta nella vita con spirito positivo e sereno ma spesso i rischi che, la voglia di mettersi in gioco, spesso fraintesa, gli capitano, li mettono in grosse difficoltà. Ci sarebbe si bisogno di una formazione più approfondita, più capillare ma, lo spirito del gruppo stesso chiude un po’ gli accessi a queste possibilità. Loro stessi non vogliono…Ecco quindi che ci ritroveremo ancora, nonostante le arrabbiature e gli sforzi di qualcuno, a vedere in pericolo gruppi guidati da capi poco avveduti e preparati. Così come capita spesso anche in altre situazioni, pensate ai Preti… o agli a accompagnatori improvvisati, magari genitori di mostrare quanto ancora sanno fare!!! Dobbiamo comunque dire che i ragazzi sono nelle mani di Dio, ho sperimentato quanto questo sia efficace ma, credo che il perseverare nel rischio ed approssimazione sia un po’ come sfidare la provvidenza e prima o poi qualcosa sfugge al controllo con le conseguenze che conosciamo bene. Purtroppo noi possiamo fare ben poco dall’esterno. Una certa riflessione dovrebbe venire dall’interno dell’Associazione stessa a partire dall’apice ed effettuando delle scelte precise supportate da chiari e specifici regolamenti (regole). Il fondatore Baden Powel ha dato molti suggerimenti in merito ma vedo che spesso sono disattesi a beneficio del “Tempi moderni”, meglio fare quello che risulta più comodo! Perché imparare ad affrontare le difficoltà quando ci si può accontentare delle comodità date dalla tecnologia e dai mezzi!??
Fiorenzo

certo che davanti al RISARCIMENTO nulla ritiene, nemmeno a continuare ad usufruire della facile educazione della prole!!!!
Zoninf

Ciao, mi chiamo Giovanni Zanettin e sono una Guida Alpina, membro del Soccorso Alpino e vivo a Pieve di Cadore. Partendo dal presupposto che a tutti possono capitare incidenti anche mortali in montagna, credo che per accompagnare delle persone e tanto più dei ragazzi sia necessaria una preparazione “certificata”e non ci si possa improvvisare. Per diventare istruttore CAI ci vuole un curriculum alpinistico  e successivamente frequentare un corso, per diventere Guida Alpina è necessario superare una selezione, previa presentazione di un curriculum, e seguire un iter che dura 120 giorni circa e dura 4 anni, per accompagnare un gruppo di scout basta la passione….Il fatto che questi gruppi di scout propongano gite anche invernali con a capo degli accompagnatori che potrebbero, ma anche non aver avuto una formazione è vergognoso (stando a quanto riportato nella vostra intervista alla sig.ra Barbara Calvi). La buona volontà e la dedizione che questi accompagnatori dedicano allo scautismo nulla toglie al fatto che quando si accompagna una persona o un gruppo, in un’escursione, ci sia una responsabilità civile, penale e soprattutto morale.
Scusate lo sfogo.
Giovanni Zanettin

Per praticare l’attivita’ escursionistica in montagna è necessario avere un’esperienza notevole, che non si guadagna certo in poco tempo e con poca fatica. A mio parere un ragazzo di vent’anni non puo’ avere nemmeno lontanamente le capacita’ e l’esperienza necessaria per condurre in sicurezza dei gruppi piu’ o meno grandi di persone in un ambiente ostile e oggettivamente pericoloso. Gli scout sottovalutano la necessita’ di avere una conoscenza in senso lato della montagna che solo anni di pratica escursionistica “sul campo” possono dare, non certo un corso di pochi giorni/mesi, per quanto quest’ultimo possa essere certamente un aiuto non è condizione sufficiente per qualificare gli accompagnatori. Ripeto, solo l’esperienza pluriennale e le centinaia di ore trascorse a battere tracce e sentieri danno quel bagaglio di conoscenze indispe
nsabile per condurre in sicurezza delle persone in montagna. La sottovalutazione del rischio è sempre dietro l’angolo: gia’ un sentiero segnato e frequentato puo’ risultare pericoloso in determinate circostanze, figuriamoci se un gruppo scout si avventura in luoghi impervi per tracce di sentiero poco frequentate magari durante la stagione invernale! Io personalmente non affiderei i miei figli a nessuno che non abbia piu’ di trent’anni e una pluriennale e comprovata esperienza di montagna in generale ed escursionistica in particolare. Un corso di qualche settimana non risolverebbe nulla, anzi darebbe forse una sensazione di falsa sicurezza, solo gli anni di esperienza e i chilometri di dislivello percorsi danno le conoscenze necessarie.
Federico Maset

Sono stato iscritto ad un gruppo scout abruzzese durante gli anni ottanta, la mia esperienza si è consumata in pochi mesi poiché non condividevo il legame inscindibile tra l’attività scoutistica e quella parrocchiale. Seppure fu una breve esperienza, ricordo ancora bene uno dei miei compagni che rotolava giù da un pendio ripido insieme al suo enorme zaino. Fu solo la prontezza di un capo che si trovava più in basso che valse a bloccarlo solo dopo qualche metro e a salvarlo da un volo che poteva finire in tragedia o comunque ridurlo molto male. Eravamo finiti fuori dal sentiero, ci eravamo persi durante l’attraversamento di una zona non particolarmente difficile ed impervia! Fu per mancanza di preparazione degli organizzatori (che forse non conoscevano il percorso e non lo avevano mai affrontato prima) o fu una fatalità? All’epoca avevo undici anni e non seppi farmi un’idea precisa!
Fabrizio Pelino

Sono sempre più diffidente dei metodi degli Scout, ancor più quando un rappresentante così importante (Presidente Federazione Scout Italia) ancora sostiene che è colpa degli adolescenti che non vogliono essere equipaggiati a dovere(vedi pantaloni
corti, sandali ecc… anche in’inverno). Lei sostiene che lo farebbero anche coi genitori…chi non vuole stare alle regole del giusto equipaggiamento, può rimanere a casa, come succede se si viene accompagnati dal CAI o da una Guida Alpina.Non è un obbligo portare gente e soprattutto minorenni in montagna!!! Ancor meno se non sono per loro scelta, equipaggiati a dovere. Io mi arrabbio se un’amico si dimentica gli occhiali d’inverno con la neve…figuriamoci se mi si presenta a pantaloni corti o con un vestiario non appropriato, si torna a casa!!! Gli SCOUT secondo me o cambiano registro, cioè se ne stanno all’interno della loro sfera del rischio che gli compete (escursionista inesperto) oppure..altro che un anno di reclusione come accaduto a quei due giovani accompagnatori.
Giancarlo

Buongiorno, io sono stato scout per 27 anni. Ho seguito tutto l’iter formativo e sono diventato capo brevettato. E’ indiscussa la formazione a livello educativo, per quanto riguarda certe tecniche di progressione in montagna invece spesso è  lasciata all’iniziativa del singolo gruppo locale o personale. Esistono campi di formazione specifici per capi, ma quello che a volte manca è l’attrezzatura per tutti. La domanda se sia o meno accettabile l’enorme responsabilità che ci si assume accompagnando ragazzi minorenni, anche senza simili incidenti, si è comunque responsabili di quello che fanno; credo se la sia fatta qualunque capo, anche non alle prime armi; la risposta è spesso dettata dall’entusiasmo e dal voler fare, a volte anche prendendo tutte le precauzioni del caso gli incidenti capitano lo stesso. Potremmo discutere sul fatto che in casi del genere forse era meglio tornare indietro, in quanto non è sicuro progredire su neve ghiacciata senza le adeguate attrezzature, soprattutto con un gruppo molto numeroso, ma non mi sento di giudicare, certe decisioni si prendono sul momento ed è difficile valutare i margini di sicurezza a mente fredda a posteriori. E’ anche vero però che non stavano scalando il Monte Bianco, per cui sarebbe evidente l’irresponsabilità dei capi, erano per quanto ho potuto capire su un sentiero ad una quota non estremamente alta, per cui forse l’incidente poteva capitare anche in condizioni meno ghiacciate, effettivamente basta poco per perdere l’equilibrio. Purtroppo è successo quello che ci si aspetta non succeda mai, un ragazzo ha perso la vita. Nonostante tutto, per la mia esperienza personale, credo valga comunque la pena di accettare queste responsabilità.
Un solo ultimo commento all’ultima domanda del giornalista. Non solo i pantaloni corti anche in inverno fanno parte di una tradizione, per camminare e in caso di tempo molto umido le gambe restano sicurmente più asciutte che con i pantaloni lunghi.
Quando ci si ferma ci si cambia per stare fermi. Il VERO problema sono le calzature e gli indumenti termici ed impermeabili; che spesso vengono sottovalutati non solo dai ragazzi, ma anche da tantissime persone anche adulte che frequentano la montagna senza conoscerne gli effettivi pericoli.
Bi

E’ un limite molto evanescente quello della responsabilità (non professionale) di chi accompagna in montagna. E’ un discorso fondamentale di “affidamento”. Chi si affida a qualcuno che ritiene più esperto è come se automaticamente trasferisse la responsabilità della propria incolumità a chi, ritenendosi a torto o a ragione “più esperto”, si fa seguire e fa fare ad altri cose che non farebbero da soli. Purtroppo non sfuggono a questa regola di base neppure i gruppi scout, come non sfugge nessuno di noi; vale anche se dico ad un amico che non è mai stato in montagna di seguirmi per fare un percorso escursionistico impegnativo che altrimenti non farebbe. Se poi di mezzo c’è un minorenne questo principio vale ancora di più. Andare in montagna, in certe condizioni, è un’attività pericolosa, né più né meno che guidare, e come tale richiede di adottare ogni precauzione o cautela possibile per evitare il peggio; diversamente si cade nelle ipotesi della negligenza, della imprudenza o della imperizia, come ritengo che possa essere accaduto nel caso in questione. Può sembrare una valutazione “impietosa”, ma è impietosa anche la piccola disattenzione che ti fa passare dalla gioia al dolore. Penso in conclusione che non sarebbe male se anche nel mondo scout si facesse strada l’idea che chi assume responsabilità di accompagnamento si sottoponga ad una formazione anche solo mirata ad impartire i rudimenti della sicurezza in montagna, da parte di chi per mestiere insegna come godere della montagna senza rischiare più del dovuto.
Paolo Carta
E’ facile dare la colpa a i capi scout: finchè va tutto bene sono bravi quando succede una disgrazia allora è facile puntare il dito. Meno male che ci sono persone che si dedicano ai giovani, allora bisogna assicurare tutto il gruppo.
Gavino
A 50 metri i distanza in linea d’aria dal rifugio del Laus (raggiungibile da una comoda strada sterrata), sopra Bagni di Vinadio (CN), c’è una lapide che ricorda il decesso di un ragazzo morto assiderato mentre il gruppo di cui faceva parte era già arrivato nel rifugio e lo aveva “dimenticato”; probabilmente lui era rimasto un po’ indietro.  Il gruppo era guidato da
uno o più religiosi. Era il mese di novembre o dicembre di una ventina di anni fa e c’era già abbastanza neve. Purtroppo non ricordo altri particolari essendo passato tanto tempo.
Ugo Bottari
Ciao a tutti sono un alpinista modesto ma credo che i cosiddetti, capi scout debbano avere una formazione di base tipo quella degli accompagnatori di media montagna ( che fanno parte delle guide alpine).
Luigi Invernizzi
Buongiorno, ho letto con attenzione l’articolo relativo alla condanna dei due capi scout, in quanto anche io ho fatto parte del movimento Scout per alcuni anni. Attualmente svolgo la professione di Guida Alpina. Più volte, dopo aver conseguito questo titolo, ho riflettuto sugli anni in cui sono stato “Educato” ed “Educatore” e a quante volte i miei capi ed io abbiamo
affrontato situazioni simili a questa, fortunatamente per noi è sempre andata bene! Il percorso formativo che riceve un ragazzo per diventare “Educatore” è sostanzialmente basato sull’aspetto sociale e non su quello tecnico alpinistico. Diventare esperti di montagna è un percorso lungo e difficile, fatto di situazioni a rischio che ti permettono di conoscere i
tuoi limiti, imparando a mettere in sicurezza te stesso e i compagni. Non è necessario, a mio avviso, che i capi Scout abbiamo una formazione alpinistica, ma sicuramente devono essere in grado di valutare la difficoltà dei percorsi escursionistici sui quali vogliono far muovere i propri ragazzi e sapere a quali persone professionalmente preparate chiedere informazioni o appoggiarsi.
Marco Spazzini Guida Alpina
Ho 46 anni, vado in montagna da 40 e da 25 faccio alpinismo, sono tecnico di soccorso alpino e, nonostante tutto ciò, non me la sentirei di portare un gruppo di minorenni in montagna specialmente con quelle condizioni climatiche. Per quello che ho potuto vedere (ho incontrato parecchi scout in montagna) non esiste una preparazione per i capo-gruppo. Pensiamo agli accompagnatori del CAI che fanno corsi di formazione sempre più impegnativi e che non possono accompagnare persone se queste devono mettere una mano sulla corda per tenersi. Pensiamo alle guide alpine che con anni di corsi e frequentazioni portano i
clienti sulle vette, anche loro non porterebbero minorenni su certi tracciati. Ho due nipotini a cui piace la montagna, la tenda, il trekking, a cui ho assolutamente vietato di entrare negli scout e mio fratello ha accettato di buon grado il divieto iscrivendoli al CAI e mandandoli nei gruppi dell’alpinismo giovanile che ritiene, e ritengo, l’organizzazione migliore per avvicinare in sicurezza i giovani alla montagna. Potevo essere più cattivo nei confronti degli scout per quanto riguarda la loro preparazione ma devo riconoscere il loro impegno nel portare avanti un progetto.
Fiorenzo
Ciao a tutti, da ex scout e ex capo scout mi sento di dire la mia sull’argomento. All’epoca ho fatto con i miei ragazzi  numerosissime attività in montagna e, grazie a Dio, siamo sempre tutti tornati sani, più o meno, come eravamo partiti. Ho sempre pianificato le attività con molta scrupolosità in modo da, per quanto si possa fare, ridurre al minimo gli imprevisti.Sono peraltro convinto che i ragazzi che sono venuti con me, certe esperienze se le ricorderanno per sempre sia perchè la Montagna è difficile da dimentare sia perchè vivere la Montagana attraverso una esperienza scoutistica penso sia veramente una avventura che tutti i ragazzi dovrebbero un giorno provare. Ma detto questo mi sono reso sempre più conto, sia durante la
mia attività scoutistica sia durante la mia vita alpinistica, che la formazione di un capo scout non prevede certe tipologie di attività e nemmeno prevede attività “normali” ma in ambiente di montagna (una cosa è fare una route – semplificando molto: trek di più giorni – in un comodo sentiero o attraverso i paesi, un conto è fare la stessa attività sopra i 2000m). Penso anche che l’offerta che la società offre ai ragazzi sia tanto varia per cui il mondo scout in qualche modo non può essere da meno (20 anni fa chi voleva vivere una esperienza di più giorni in montagna o aveva i genitori appassionati, o partecipava tramite il CAI a qualche attività giovanile oppure si iscriveva ad un gruppo scout) oggi le “offerte”  sono tra le più varie e tra le più tecniche. Quindi in conclusione mi sento di dire che forse sia ora che all’interno della formazione capi scout si pensi anche a certi tipi di attività, a valutare  se un capo abbia l’esperienza adatta per far vivere certi tipi di esperienze ai propi ragazzi e di conseguenza valutare se rinunciare a quel tipo di attività o appoggiarsi a gente pù esperta (ovviamente non parlo solo di guide alpine, ma anche del CAI, accompagnatori di montagna, o semplici amanti della montagna ma con alle spalle un certo tipo di conoscenza). In merito al fatto se sia giusto o meno che dei ragazzi si carichino addosso le responsabilità morale, civile e penale di accompagnare dei minorenni nel loro cammino scout penso che, come in tutte le cose, ci vorrebbe grano salis da parte di tutti. Non si può decidere di fare delle attività pericolose senza una conoscenza adeguata ed una esperienza personale specifica, ma non si può nemmeno caricare di troppe responsabilità  persone che, per chi ci crede, sono coloro che contribuiscono alla crescita dei nostri figli con enormi sacrifici, quantomeno di tempo.
Domenico
Salve, sono stato scout per molti anni, prima come ragazzo e poi come capo. Credo che in questa tragedia i capi abbiano commesso un grave errore di valutazione del pericolo. Non conosco la storia ma sicuramente non dovevano affrontare quel tratto. Mi chiedo se avevano reperito informazioni prima di partire, se conoscevano la zona e sopratutto se si sono avvalsi
dell’aiuto di qualche professionista. Se così non fosse è chiaro che hanno “peccato di superbia”. Il problema non è nel giudicare giusto o meno l’assunzione di responsabilità nel portare i ragazzi in montagna da parte di un capo scout ma è in come lo si fa. Credo che un capo saggio sia quello che si muove sul terreno da lui conosciuto e che se vuole ampliare il suo orizzonte lo deve fare con l’aiuto di un professionista. Credo che se i capi in questione prima di avventurarsi su quella montagna avessero preso contatti con delle guide esperte la tragedia si sarebbe potuta evitare: magari li avrebbero sconsigliati o anche si sarebbero potuti far accompagnare così da evitare tratti pericolosi. Un capo scout credo che, a meno
di interessi personali, non possa avere una preparazione approfondita in tutti i campi ma credo che sia indispensabile, essenziale capire che prima di affrontare un’esperienza la si debba progettare al meglio, sopratutto con l’aiuto di chi ha una preparazione ed una conoscenza tali da poter essere il “giusto maestro” per i ragazzi. Forse quello che manca a questi capi scout, come a tanti altri frequentatori della montagna è il senso del limite, è la modestia di saper capire dove le proprie conoscenze e la propria preparazione si fermano. Oggi in tanti salgono le montagna ma pochi lo fanno con il dovuto rispetto di loro stessi, degli altri e della Montagna.
Buona strada
Giorgio
Salve, non ritengo affatto giusto il “sistema” con cui vanno in montagna gli scout. Ho un bimbo di nove anni sono un  assiduo frequentatore di montagna e iscritto al Cai dove ci sono degli accompagnatori anche per l’alpinismo giovanile che frequentano dei corsi e sono veramente preparati. Mio figlio verrà in montagna con me e con il Cai e non di certo con gli scout
Loris
Oggi giorno ci sono, presso il Club Alpino Italiano molte scuole di Escursionismo, di Alpinismo e di Speleologia che danno una preparazione tale da poter frequentare la montagna in sicurezza. Ho avuto più occasioni di incontrare Scout su vie ferrate che facevano una progressione da incoscienti, sprovvisti di casco, imbrago, set da ferrata e scarponi, la loro attrezzatura consisteva in scarpe da ginnastica un cordino legato a vita e due spezzoni con moschettoni. In qualità di accompagnatore  CAI mi sono permesso di farle notare che l’attrezzatura non era quella giusta per affrontare la salita, la loro risposta è stata: andiamo solo fino li e torniamo in dietro. Io penso che, i capi Scout dovrebbero frequentare e avere la stessa preparazione che è richiesta dal CAI per l’accompagnamento in montagna.
Luca
Pultroppo la preparazione di questi ” accompagnatori ” NON è adeguata, si dovrebbe prendere esempio dal CAI dove allinterno del sodalizio esistono dei corsi per accompagnatori di Alpinismo Giovanile anche per sole escursioni dove vengono preparati
ed esaminate quelle che saranno  le future “guide ” dei nostri ragazzi. all interno di questo corso la prima regola da rispettare è che prima di organizzare  un’uscita si DEVE effettuare un sopralluogo per verificare il percorso… in questo caso si sarebbe deciso di non fare la gita o si sarebbe attrezzata in modo adeguato
saluti Alberto
Concordiamo che la formazione di questi giovani capi sia necessaria con enti esterni (guide alpine), ma ci sembra eccessiva la punizione.
Nicola e Claudia
Fra gli scout, anche in passato sono avvenuti Incidenti mortali, feriti e  smarrimento di percorso. Incidenti causati dll’inesperienza e la superficialità. Una volta mi sono trovato in montagna con un gruppo di questi che avevano smarrito il sentiero grande come “un’autostrada”. La mia opinione personale ma condivisa da molti è che gli scout nulla togliendo al loro spirito di agregazione; dovrebbe essere proibito per legge allontanarsi dal campo di gioco nelle vicinaze della propria casa.
Graziano Grazzini
Quando vedo gruppi di scout affrontare escursioni in montagna, anche alta montagna, magari portandosi al seguito sacco a pelo, bandierina, pantaloncini corti, ma con scarponcini inadeguati, abbigliamento quasi da citta’, atteggiamento troppo disinvolto e che sembra sottovalutare le difficolta’ o problematiche che andranno ad affrontare, ebbene mi spaventa. Forse è il caso di riflettere pensando anche agli incidenti gia’ successi, vedasi campeggio con palafitte in un torrente che poi si è ingrossato facendo dei morti. Sicuramente l’organizzazione scout è meritoria di aver iniziato ragazzi di citta’ che magari non avrebbe mai frequentato la montagna, ma forse piu’ preparazione ed affiancamento ai capi scout,di persone “certificate” garantirebbe piu’ sicurezza e formazione.
Bergfan54
È indubbio che il problema è serio. Ma siamo sicuri che anche con un patentino o quant’altro il problema si risolve? Mi sembra che in montagna ci siano stati dei morti o feriti, anche recentemente, di persone che erano accompagnate da guide alpine o maestri di sci.
Antonio Carollo
Se io, che non so usarla, prendessi una barca a vela e andassi in alto mare è probabile che andrei incontro a dei problemi. Se poi trovassi il mare mosso è ancora più probabile che incontrerei seri problemi. Se, per fortuna, riuscissi però a tornare a riva è certo che non andrei più in barca a vela da solo. Questo pensiero è esattamente contrario a quello degli scout. Ogni volta che causano una disgrazia mi domando poi cosa passa nella testa di quei genitori che affidano i loro figli ad organizzazioni che si improvvisano esperti in campi che non conoscono, e le prove sono infinite. Quei poveri accompagnatori che hanno portato a morire quel sedicenne pagheranno e giustamente; hanno 24 anni, mica 16 ! ma chi permette che degli incompetenti portino dei ragazzi a fare certe cose? Chi sono le menti pensanti di queste strategie educative ? perché anche loro non pagano per le colpe di cui non sono esenti ?
Andrea Milani
Non conosco personalmente il mondo scout, ma conosco abbastanza bene la montagna e gli ambienti “avventura” in genere. Nel caso specifico è evidente l’errore commesso nel valutare la situazione e le capacita dei ragazzi accompagnati. Errori di questo tipo sono commessi anche da professionisti della montagna, guide alpine comprese, questo credo stia a significare che nella formazione degli accompagnatori in genere, non servano esclusivamente nozioni di carattere tecnico ma sia altrettanto fondamentale l’aspetto psicologico/decisionale nonché etico. L’accettazione della rinuncia all’impresa non viene mai
menzionata in nessun corso, eppure è fonte di crescita personale e professionale. Credo che a 23 anni, se formati in maniera corretta, si possano prendere decisioni importanti per la propria vita e per quella di altri, l’età e l’esperienza sono importanti ma l’attitudine alla valutazione costante e per quanto possibile corretta delle diverse situazioni è fondamentale,
non ha età, può e deve essere insegnata.
Roberto Murer
Secondo me, non è questione di età degli accompagnatori: un giovane può tranquillamente essere più preparato e responsabile di una persona adulta o anziana.. il problema è la formazione: non si deve andare in luoghi e situazioni che non si è in grado di gestire o a cui non si è pronti in caso di imprevisti e difficoltà.. Gli scout sono la conferma: si credono di saper tutto e saper fare tutto, ma sono i più pericolosi in montanga; basta guardare il loro abbigliamento: estate a 40 gradi, o inverno a meno 10, sono vestiti sempre allo stesso modo..Sono veramente ridicoli e pericolosi, non solo per loro stessi, ma anche per chi li incontra in montagna.. Dalle mie parti a riguardo si dice: bambini che si credono adulti, e adulti che sono vestiti e che si comportano da bambini..
Valerio Carrara
Ciao, dire che forse son troppo giovani per portar minorenni, ma ricordiamo che potrebbero anche essere dei genitori a quell’età. E’ la società di oggi che non dà più fiducia ai giovani, ma se non ci fossero loro, questa che è l’unica associazione giovanile chiuderebbe. Perché si parla sempre delle disgrazie e mai delle cose positive e sono molte di più, diciamo 1-1000000. Nessuno parla degli scout che han mandato avanti anche le tendopoli in Abruzzo o di quelli che gestiscono i terreni sequestrati alla mafia…Ma ci sono centinaia di migliaia di altri esempio, però si parla sempre di quel caso dove purtroppo è avvenuta la disgrazia, che sicuramente se qualcuno ha sbagliato deve pagare, ma ricordiamoci che se nessuno si
prendesse queste responsabilità, questi ragazzi quando maturerebbero. Grazie a Dio che ci sono persone così. Tutto si può migliorare, in primis la formazione, anche per questo è stato siglato un accordo tra il CAI e le Associazioni scoutistiche italiane, ma è una cosa che già avveniva in molti posti. Purtroppo gli incidenti succedono a chi fa’ qualcosa. Ad una
riunione del CAI Giovanile mi son sentito dire facciamolo, ma io non accompagno minori senza i genitori… E allora cosa ci vieni a fare. Nessuno più si vuol prendere questa benedetta responsabilità, cosa che invece si cerca di fare negli scout. Inviterei tutti ad informarsi un po’ di più su quello che è il metodo scout, non un passatempo come tanti pensano, o come in alcuni casi si sta facendo, anche perché se ogni volta e sono poche per fortuna succede una disgrazia si viene additati di essere sprovveduti, allora si tira sempre più indietro e non si affronta la vita. Solo conoscendo fino in fondo una proposta e meglio avendola provata si può commentare e non sempre su quelle che sono le credenze si possono trarre le conclusioni. Guardate se mai una famiglia a preso le distanze da questi capi, anzi li è sempre stata vicina. Questo dovrebbe far riflettere. Dall’altro punto di vista è vero che oggi si è meno preparati a vivere certe attività, ma se sempre meno vengono
proposte, mai si sarà preparati e non basta corsi  quant’altro. Vanno semplicemente vissute. Anche i due poveri alpinisti friulani morti qualche giorno fa sotto una slavina assieme ai loro soccorritori erano degli istruttori del CAI. Quindi si preparati (che per altro è il motto degli scout), ma anche vivere la vita.
Tanti saluti
Da un appassionato della montagna, Ex Ufficiale Alpino, e conoscitore del mondo scout.
Alessandro Zardo
Salve, sono una accompagnatore di Alpinismo Giovanile del Cai sezione di Roma. Anche io in età adolescente ho fatto parte degli scout di un gruppo di Roma, che fortunatamente o per preparazione dei nostri capi reparto non ha mai avuto incidenti simili. Devo spezzare una lancia a favore del mio gruppo, avendo come capo reparto una persona molto preparata in ambito alpinistico e facente parte del Club Alpino Italiano. Credo che attualmente ci sia la necessità di preparare adeguatamente i capi responsabili dei reparti scout, al fine  di poter portare in tutta sicurezza i ragazzi in montagna. L’accordo di collaborazione tra il Club Alpino Italiano e le associazioni Scautistiche è nato proprio per questo. Invito caldamente tutti,
sia scout e che accompagnatori/istruttori del Cai a collaborare attivamente per non far succedere simili tragedie. Nel nostro caso di accompagnatori di alpinismo giovanile, abbiamo percorso un iter di preparazione gestito dagli organi del Cai, ovvero
dalla Scuola Centrale di Alpinismo Giovanile e dalla sue strutture periferiche, per essere preparati su ogni tipo di terreno (escursione, neve, arrampicata ecc) al fine di poter portare in tutta sicurezza i ragazzi che ci vengono affidati per portarli i montagna. Inoltre annualmente il Cai sviluppa dei corsi di aggiornamento su tutte le materie, sia tecniche che didattiche sull’alpinismo giovanile.
Raimondo Mancinelli AAG CAI SEZIONE DI ROMA
Vivendo in un paese dove lo scoutismo e’ molto elevato (Grecia) sono stato chiamato moltissime volte a intervenire per soccorrere scouts che si trovavano in difficolta’ in montagna a volte correndo gravi pericoli per i membri del soccorso.Purtroppo per alcuni ragazzini era troppo tardi….La conclusione era sempre la solita.Completa mancanza di esperienza
e capacita’ da parte dei loro responsabili di condure il loro gruppo con sicurezza in montagna. Non e’ possibile che la direzione centrale dei scouts affida a dei giovanissimi la sicurezza dei ragazzini in un ambiente che richiede esperienza e capacita’. Penso che per evitare in futuro tragedie di questo tipo e’ meglio che si rivolgono a dei proffesionisti della
montagna o che I loro responsabili si mettono seriamente ad imparare come devono comportarsi in montagna.
Grazie per la vostra iniziativa e ospitalita’.
Michele Vassiliou Guida Alpina U.I.A.G.M Ioannina- Grecia
Per quella che è stata la mia esperienza ( sono stato scout moltissimi anni fà ) e per quello che ho visto in montagna, il corpo degli scouts non ha una preparazione adeguata all’ambiente nel quale si svolge prevalentemente l’attività, vale a dire la montagna alpina o appenninica che sia. Gli incidenti sono numerosi e spesso con gravi conseguenze. Ricordo ancora un gravissimo incidente, credo in Valtellina, per un campeggio piantato nel bel mezzo del letto di un torrente (su palafitte) e poi travolto dal normale ingrossarsi delle acque dopo una pioggia notturna. Ma la situazione non è imputabile solo alla giovane età dei capi. Io sono stato testimone diretto di una gravissima imprudenza quando un numeroso gruppo di scout guidato da due sacerdoti di mezza età si è inerpicato tutto ( almeno 20 persone ) sulla croce che svetta in cima alla Presolana per una foto ricordo, incurante delle oscillazioni che la struttura presentava sotto il peso. Chi conosce il luogo sa bene che se la croce avesse ceduto sarebbero tutti precipitati sul versante della Val Seriana. Adesso poi che si sono sviluppate sempre di più le attività invernali ( prima ci si limitava al periodo estivo ) i rischi sono ancora aumentati, ma sembra che l’alta dirigenza degli scouts non se ne preoccupi più di tanto.
Antonio Falvo
Non solo non hanno la formazione per condurre in montagna dei minorenni, ma a volte nenache le nozioni basilari del buon senso. Ogni anno nel mese di agosto, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, pervengono segnalazioni di ragazzi dispersi su sentieri di montagna perchè colti dal buio o dal maltempo. Ricordo particolarmente due anni fà il soccorso ad un gruppo Scout che, nonostante un bollettino metereologico avverso, si sono comunque avventurati al passo di Forca Resuni (1952 m.) dove avrebbero voluto pernottare. Il temporale che si è scatenato nelle ore serali ha costretto i soccorsi a risalire il sentiero con le jeep per trarre in salvo una ragazza con principio di assideramento. Sono estremamente contraria al tipo di formazione dei capi scout, non è adeguata al compito che devono assolvere.
Paola Capuano
Frequento da diversi anni la montagna, prima di buttarmi nel seguire certe discipline come l’arrampicata ho frequentato dei corsi e ho fatto le prime esperienze con istruttori del cai, insomma con gente esperta. Adesso vado da solo con amici anche con meno esperienza, ma non mi faccio mai seguito di minorenni e/o gente impreparata. Purtroppo ho avuto esperienze di scout a cui ho dovuto dare una mano anche psicologica in diverse situazioni; sono fermo nel dire che l’Associazione Scout Italiana a volte anzi purtroppo troppo spesso ha tra i suoi membri personaggi esaltati privi di ogni esperienza sul campo ma pieni
d’incoscenza. Un anno è poco per quei due, l’aggravante è l’età di 16 anni della povera vittima………..
Giuliano Mandolesi
Io non sono un sostenitore degli Scout, anzi…tuttavia non penso sia opportuno dare pareri su un fatto così grave legandoli alle responsabilità di un movimento. Le “colpe”, se di questo si vuole parlare, sono legate alle singole persone. In ogni caso penso che chiunque si voglia confrontare con la Montagna o con la Natura in generale, debba partire dal presupposto che
l’ambiente nel quale ci si muove è “più grande e più forte” di noi, pertanto va rispettato. Il rispetto lo si ha in primo luogo avendo piena coscienza delle proprie capacità ed essendo preparati. Meglio che si insegni a rispettare la Natura significa non solo raccogliendo le carte da terra (meglio non buttarle nemmeno), ma anche e soprattutto non sottovalutandola,
in special modo se oltre alla nostra siamo responsabili anche della vita altrui.
Pietro Tentori
La maggior parte delle volte oltre alla formazione…è il buon senso che manca.
Elisabetta Da Forno
Da parte mia non sono preparati  a queste situazioni e altre a livello montagna. Chi scrive è un Accompagnatore di Alpinismo Giovanile di Padova e un paio d’anni fa abbiamo fatto una lezione teorica/pratica a degli accompagnatori scout….( alla lezione teorica erano in 20 a quella pratica in 5/6)…No comment su cosa è venuto fuori quando portano i ragazzi per
percorsi attrezzati o vie ferrate!!!
Nicola Franchin

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5 Commenti

  1. quando leggo cose del tipo “La mia opinione personale ma condivisa da molti è che gli scout nulla togliendo al loro spirito di agregazione; dovrebbe essere proibito per legge allontanarsi dal campo di gioco nelle vicinaze della propria casa.”

    penso a quanto è ristretta la veduta mentale di certe persone.

    alcuni scout (educatori o ragazzi che siano) sono incoscenti? VERO
    sono accaduti spiacevoli fatti (con incidenti gravi e mortali) a degli scout impreparati? VERO
    scout impreparati tecnicamente e da un punto di vista dell’attrezzatura si sono esposti a pericoli che si potevano evitare? VERO

    ma pensate a quante di queste notizie si sentono e pensate a quante se ne sentono invece ogni inverno relative a tanti INCOSCENTI PATENTATI (perchè molti sono istruttori alpini formati) che si fanno seppellire da qualche slavina perchè ignorano i bollettini rischi valanghe, o tanti escursionisti (meglio dire turisti) improvvissati che si sfracellano sulle rocce sotto un sentiero perchè lo affrontano in ciabatte (successo più di una volta al sentiero del passo del lupo che porta alla spiaggia delle due sorelle di Sirolo (AN) )

    a questo punto seguendo il ragionamento del nostro sagace amico che si fa? si proibisce agli istruttori alpini di allontanarsi dalla propria sede? si proibisce ai turisti di allontanarsi dalla propria casa?

    gli scout (ma anche gli esperti di montagna e i turisti) sono prima di tutto delle persone.
    e nella grande categoria delle persone esistono i saggi e gli incoscenti.

    pensate prima di dire certe castronerie che sono un offessa all’intelletto umano…

  2. Vado in montagna da quasi 50 anni, penso di avere un po’ di esperienza anche se non ne hai mai abbastanza. Oltre tutto ci vivo in montagna e ci lavoro. Ho accompagnato centinaia di ragazzi e anche molti scout durante questi anni, non è detto che una famiglia possa permettersi sempre l’ultima attrezzatura possibile. Gli zaini sono sempre pesanti, se devi stare lontano dai paesi più giorni ed hai anche la tenda. L’importante è che chi ha preparato un campo o una route conosca bene i luoghi. Personalmente ho sempre “fatto ricognizione” sui percorsi, mi è capitato pochissime volte di percorrere un sentiero con i ragazzi che non avessi mai percorso prima. Credo che la sicurezza venga da li, e dalla chiarezza, mi è capitato qualche anno fa all’Alpe Adria Alpina, che è stata creata dagli uomini dei soccorsi alpini Italiano , Austriaco e Sloveno di avere ragazzi austriaci con le scarpe da ginnastica slacciate, la loro accompagnatrice mi ha detto che sono ragazzi difficili. La miglior cura è stata una bella serie di vesciche che li hanno convinti ad usare gli scarponcini che avevano. Qualche anno fa sulla vedretta di Solda, molto crepacciata perché alla fine di agosto, c’era un tizio che aveva comperato ramponi e piccozza il giorno prima ed era venuto, solo, a provarli!
    La sicurezza in montagna non è solo un problema scout, fanno notizia perché sono in tanti, ma ultimamente sulle nostre montagne ci sono troppi soccorsi perché ci sono tanti in giro che non sanno una cosa elementare che a me ha insegnato uno dei più grandi alpinisti friulani del passato, Oscar Soravito: “La cosa più importante in montagna è la testa.”

    1. Mi scusi Don Gianni,
      ma ci sono i luoghi pubblici per fare conoscenza e semmai poi decidere di vivere delle esperienze insieme, come quella tipo di andare in montagna….
      Secondo lei perché c’è bisogno di tutte queste associazioni per fare qualunque cosa?
      Poi intanto ogni essere vivente in vita sua va incontro alla malattia o alla morte pure disteso in un letto disinfettato in una stanza ossigenata a 21gradi.
      Dove vuole mirare il fatto di tramandare tra sconosciuti qualunque cosa venga in mente?
      Io frequentavo la parrocchia finché l ho ritenuto necessario e quando non ci sono più andata non ho avuto nessuna pressione da parte di qualcuno.
      Se desidera porgere una risposta alla domanda perché esistono tutte queste associazioni al mondo gliene sarei grata.
      Silvia

  3. Negli anni ne ho lette e ne ho viste – ho avuto la fortuna di incontrarli e vederli in azione più volte – di tutti i colori sul loro conto: genitori non lasciate i vostri figli in balia di questi incompetenti arcobalenici cattocomunisti – in montagna a volte non va sempre tutto bene…

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