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Quanto costa salvare il clima
LONDRA, Gran Bretagna — I rimedi per salvare il pianeta dalla devastante riscaldamento globale in atto li conosciamo. Riduzione delle emissioni, riduzzione dei gas serra, taglio dei combustibili fossile e così via. Quello che invece non è ancor ben chiaro è il costo che l’introduzione delle tecnologie verdi avrà sulle tasche dei cittadini.
Partiamo da un presupposto. Per fare un salto verso la cosiddetta "green economy" servono investimenti notevoli. Si tratta però di una situazione bifronte. Se da un lato, gli investimenti faranno ripartire l’economia, dall’altro tutte le industrie che emettono CO2 dovranno pagare per i diritti alle emissioni e scaricheranno i maggiori costi sui prezzi al consumo. Eppure, sostengono dati alla mano alcuni esperti, dimezzare le emissioni avrà effetti sulle tasche dei cittadini molto limitati.
I modelli econometrici di previsione utilizzati finora hanno preso in esame l’andamento dei prezzi da qui a 40 anni. Secondo uno studio della scorsa estate della Northwestern University, tagliare le emissioni del 50 per cento comporterebbe, negli Stati Uniti, un aumento generale del prezzi al consumo non superiore, in media, al 5 per cento.
Per arrivare alla metà delle emissioni a livello globale, tuttavia i paesi industrializzati dovranno tagliarle dell’80 per cento. È questa almeno l’intenzione di Obama. Tuttavia un taglio così drastico, suggerisce uno studio del Pew Center on Global Climate Change non dovrebbe avere effetti drammatici sui consumatori.
E per l’Europa? La rivista New Scientist ha commissionato alla società di consulenza Cambridge Econometrics – che fornisce modelli econometri sul clima al governo britannico – una previsione dell’impatto sui prezzi per i consumatori da oggi al 2050. Per realizzarlo, gli esperti hanno preso come riferimento l’andamento storico del costo dell’energia e del suo impatto sui prezzi di 40 diversi prodotti di consumo.
Lo studio aveva come precondizioni che il governo fornisse ai cittadini incentivi per l’uso dell’energia elettica anche in cucina al posto del gas. In secondo luogo, che il governo investisse in marniera pesante nelle infrastrutture necessarie per la commercializzazione di auto elettriche.
Ebbene, stando alla ricerca, a queste condizioni, il prezo di gran parte dei prodotti di consumo crescerebbe dell’1-2 per cento. Quello del cibo aumenterebbe, in media, dell’uno per cento. E così i vestiti e le automobili. Un computer da mille euro ne costerebbe 1.020, lo stesso per lavatrici e frigoriferi. Questo perché l’energia necessaria a produrre questi beni contribuisce solo per il 2 per cento al prezzo finale del prodotto.
Discorso diverso per i servizi, su cui l’energia pesa decisamente di più. Per le bollette elettriche infatti è previsto un rincaro del 15 per cento. I viaggi in aereo – dove l’energia pesa per il 7 per cento sul prezzo finale – crescerebbero del 140 per cento, mettendo in seria difficoltà le compagnie aeree, a meno dell’introduzione di nuove tecnologie nei carburanti degli aeroplani.
Secondo uno studio condotto dalla McKinsey, tuttavia si potrebbe arrivare al taglio della stragrande maggioranza delle emissioni previste (ovvero il 40 per cento) attraverso tecnologie che esistono già su scala commerciale. Come? Applicando una "tassa" di 50 dollari per ogni tonnellata di CO2 prodotta, il che costringerebbe le industrie a riconvertire in impianti ecologici, utilizzando però i fondi per il clima.
Le previsioni, dicono che per salvare il pianeta ci vorranno molti molti soldi. Secondo William Nordhaus, luminare dell’Università di Yale, stabilizzare il clima e le temperature costerà agli Stati Uniti qualcosa come 20mila milardi di dollari. Si tratta però di previsioni da qui al 2100 ha fatto notare il collega di Stanford, Stephen Schneider. Quindi, non costi immediati ma diluiti nel tempo: circa 200 miliardi di dollari l’anno.
Supponendo che con la "green economy" l’economia americana cresca in media del 2 per cento l’anno – un ritmo abbastanza ordinario per gli Stati Uniti -, il prezzo da pagare potrebbe risultare decisamente tollerabile.
Sul nodo degli investimenti si gioca dunque il tentativo di ridurre il riscaldamento climatico in atto destinato, presumibilmente, a pesare sulle economie occidentali in maniera significativa nei prossimi anni. Il risultato di Copenaghen, rafforza nel ministro dell’Ambiente italiano, Stefania Prestigiacomo una convinzione che va ripetendo da tempo: «L’impegno unilaterale dell’Unione europea, unica regione al mondo che si è presentata al summit con impegni concreti quale il pacchetto 20/20/20 e il finanziamento cospicuo di 10 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo, può appagare la nostra coscienza (noi contribuiamo al 25 per cento del livello di emissioni globale), ma non risolve il problema" ha detto il ministro, secondo la quale l’errore in cui sono incorsi molti è stato l’aver caricato di troppe aspettative un vertice che fin dall’inizio aveva un esito scontato, ovvero quello di indicare soltanto una politica di indirizzo.
Per il segretario del Partito Democratico Bersani, è fondamentale far capire all’opinione pubblica che la tutela del clima e lo sviluppo non sono affatto incompatibili e che, anzi, proprio la "green economy" può diventare un fattore di crescita economica. "La green economy è l’unica carta anti-ciclica che possiamo giocare contro la crisi economica" ha detto il leader dell’opposizione italiana.
Servono dunque interventi per l’efficienza energetica (ristrutturazione di abitazioni e incentivi per la sostituzione di auto ed elettrodomestici inquinanti); investimenti sulle fonti rinnovabili; politiche a favore del trasporto pubblico; sostegno alla ricerca; interventi per un "territorio, un turismo e un’agricoltura di qualità"; riciclo dei rifiuti. Stando ai calcoli, con la green economy in Italia si possono creare un milione di posti di lavoro in 5 anni.
WP