Alpinismo

I retroscena dell’Everest di Kilian Jornet

Chiuso con l’Everest, Kilian Jornet è tornato a casa ed ha avuto tempo di svelare qualche retroscena della doppia impresa realizzata sul tetto del mondo. Nel frattempo, per dovere di cronaca, bisogna anche dare notizia del fatto che qualche voce ha iniziato ad alzarsi per chiedere prove di quello che l’alpinista afferma di aver realizzato e di cui non ha ancora fornito foto, tracciati gps o altro. 

Tornando al racconto, intervistato da Matt Hart di Men’s Journal, il catalano ha spiegato di non essersi allenato in modo particolare per l’Everest, ma di aver seguito il consueto training: “Un’uscita la mattina, da 2 a 8 ore, ed una la sera di un’ora, per un totale di 1200 ore di allenamento e 600.000 metri di dislivello all’anno”.  

Per la prima salita, quella in cui è partito dal monastero di Rongbuk, ha iniziato la sua corsa alle 10 di sera, dopo 4,5 ore era al campo base avanzato, dove si è riposato per due ore. Alle 4 del mattino è ripartito, in gran forma fino ai 7.700, quando ha iniziato a sentirsi male con crampi di stomaco e vomito. Ha deciso di continuare fino alla vetta, ma le sue condizioni di salute lo costringevano a fermarsi ogni 10/20 metri. La volontà però era di ferro e la mente lucida, “stavo combattendo per quello”, e così a mezzanotte è riuscito a raggiungere le cima. “E’ stato un sollievo sapere che non c’era più nulla da salire, ma ero anche preoccupato perché da lì dovevo scendere ed era ancora piuttosto lunga. Ero felice, ma non mi sono lasciato sopraffare dalle emozioni”. Dopo essersi riposato 15 minuti in vetta, ha iniziato la discesa.  “Dal campo base al campo base avanzato è possibile correre, ma poi – spiega Kilian – non se ne ha troppa voglia perché bisogna risparmiare energia. Durante la discesa invece è possibile eseguire dei tratti di corsa, ma quel giorno non ce l’ho fatta perché i sentivo male”.

È stato un record? “Nessuno fino a quel momento era salito dalla strada alla cima in un’unica spinta, quindi, in un certo senso, lo è stato” risponde Jornet.

Il secondo tentativo è invece cominciato durante le prime ore della mattina quando in molti stavano rinunciando per il vento. “Non volevo riprovare il record, ma andare solo più veloce”. La cima è stata raggiunta al tramonto.

“Scendendo mi sono perso a 8300 metri, mi sentivo un po’ confuso. Era notte e nevicava ed a 8000 metri ho fatto un breve bivacco durato circa un’ora, il tempo per riposare ed attendere che arrivasse la luce così da vedere meglio”. Hai avuto paura? “L’importante è muoversi e non si pensa al rischio. Ci si riflette dopo sul fatto di essersi messi in una situazione pericolosa”.

“Penso – dice Jornet – che con ottime condizioni, senza vento, seguendo la via che ho fatto ed avendo la fortuna di sentirsi in forma si possa arrivare in vetta dal campo base avanzato in 12 ore”. Non si sa però se ci riproverà: “Il progetto Summits of my Life” è concluso. Ci sono tante altre cose da fare là fuori ed è un peccato ripetere le stesse: in montagna è bello provare diverse esperienze” ed aggiunge: “Io non guardo troppo al passato: sono per lo più un impaziente”.

 

Foto: Men’s Journal

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