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L’interpretazione del paesaggio e il ritratto di una cima

Stessa montagna, analogo punto di ripresa. Ma i risultati possono essere assai diversi. Come fare per dare a una vetta un volto ogni volta nuovo

Interpretare un paesaggio di montagna, una cima, significa coglierne l’essenza estetica, raccontando le sensazioni che è in grado di suscitare: la grandiosità di una parete, l’imponenza delle vette più alte, la paura di un cielo temporalesco o la calma di un prato verde e ondulato.

L’insieme di sensazioni che può trasmettere un paesaggio dipende anche dalla conoscenza che l’osservatore ha del soggetto, della sua morfologia e della sua storia alpinistica. Una foto della parete nord dell’Eiger, per chi ha una certa cultura alpinistica, potrebbe suscitare una certa soggezione, vista la fama non proprio benevola di questa celeberrima vetta. Oppure la affilata cresta del Lyskamm, detto soprattutto in passato il “mangia-uomini”, non può che trasmettere sensazioni di paura e agitazione. Certo chi non conosce questi fattori, leggerà in maniera diversa le fotografie dei soggetti di cui sopra. Esistono, però, anche situazioni che accomunano lo sguardo di tutti, o quasi, come per esempio l’avanzare di un insieme di nubi temporalesche che non possono che suscitare l’idea di accelerare il passo, per mettersi al riparo. Oppure un prato di fiori colorati difficilmente potrà trasmettere sensazioni spiacevoli, persino a chi soffre di qualche problema di allergia. Nell’immaginario collettivo, un prato fiorito tende a rilassare l’occhio dell’osservatore, così come un paesaggio bianco di neve immacolata può dare sensazione di tranquillità e solitudine, a meno che non sia punteggiato da una massa di sciatori ebbri di velocità.

Ritratto di una cima

La fotografia di paesaggio, in montagna, soprattutto quella che ha per soggetto le cime, può essere considerata come una classica fotografia di genere, oppure come un vero e proprio ritratto. Come nel ritratto di persone e animali si scattano immagini, generalmente primi piani del soggetto, così è possibile isolare una parte di un paesaggio, magari di per sé grandioso, per eleggerlo a immagine, proprio come se fosse il ritratto di una cima.

Punto di scatto e prospettiva

Il punto ideale per il ritratto di una cima è, circa, ad una quota vicina alla metà dell’altezza del soggetto. Per scattare una fotografia di ritratto ai 4800 metri della vetta del Monte Bianco, per esempio, il punto migliore è tra i 2000 e i 2500 metri, circa. In questo modo la prospettiva sarà più naturale e le rocce e il ghiaccio non risulteranno essere deformati, come capiterebbe se scattassimo dal basso verso l’altro, inclinando l’ottica verso il cielo. Dalla Val Ferret, per esempio, un’ottima postazione è la dorsale che diparte dalla zona del rifugio Bonatti, sino al rifugio Bertone, che si trova proprio al cospetto della catena del Bianco e alla giusta quota media. Insomma, per interpretare il Monte Bianco e renderne la grandiosità, iniziamo dal punto di ripresa.

Composizione

La composizione diviene, quindi, selettiva con la montagna che occupa gran parte del fotogramma, un soggetto singolo che viene estrapolato da un contesto molto più ampio. In genere, per fotografie di questo tipo, l’inquadratura è centrale, ma nulla vieta di decentrare la vetta. Spesso si tende a dare poca rilevanza al cielo, a meno che non sia particolarmente significativo, perché ricco di nubi o di tonalità inconsuete e poco comuni, come il violaceo di un temporale o le varie sfumature delle fievoli luci di alba e tramonto. Sono queste tutte situazioni che aiutano a caratterizzare e interpretare una vetta, favorendo sensazioni diverse nell’occhio dell’osservatore. La scelta tra orizzontale e verticale rimane soggettiva, anche se, spesso viene spontaneo, soprattutto per i fotografi più esperti, scattare in entrambe le modalità.

Come si interpreta una vetta o un gruppo montuoso?

Si scelgono le luci e le situazioni ambientali ed estetiche diverse, fotografando lo stesso soggetto in momenti diversi, stagioni diverse, orari diversi, situazioni metereologiche diverse. L’importante è che ci sia qualcosa che possa fare da trait d’union tra i vari scatti, come per esempio lo stesso punto di ripresa, oppure anche diverse location che consentano di fotografare lo stesso soggetto, sempre dallo stesso versante. Se fotografo il Monte Rosa dal versante Sud e poi da quello Est, otterrò certamente due scatti della stessa montagna che risulteranno però esteticamente molto diversi, perché le facce della montagna sono diverse. Interpretarli significa, invece, fotografare lo stesso versante, ma in situazioni diverse, come se stessi fotografando il volto di una persona, raffigurando stati d’animo diversi. Il volto rimane sempre lo stesso, ma l’espressione del viso cambia radicalmente. Anche l’estetica dello stesso versante di una montagna cambia in maniera netta e assoluta, nel momento in cui “scegliamo” la luce, la stagione, l’ottica e la composizione. Non è sufficiente trovarsi nel punto giusto al momento giusto. E’ opportuno organizzare tutto per cercare il punto giusto, proprio quando il momento è quello giusto. Non c’è nulla di casuale in una grande fotografia di montagna, in un ritratto di cima studiato e sapientemente cercato. La stessa cima fotografata con luce laterale, radente, piatta, all’alba, al tramonto, poco prima di un temporale, sotto una nevicata, con le nubi mosse dal vento, in controluce, assumerà sempre un aspetto diverso, per non parlare delle stagioni e dei diversi colori della vegetazione circostante.

Parete Est del Monte Rosa

Il trittico della Pareste Est del Monte Rosa, ripreso dai pressi dell’Alpe Pedriola, vicino al Rifugio Zamboni Zappa. Ho moltissimi scatti della grande parete in tutte le stagioni, con luci, atmosfere e situazioni estetiche radicalmente diverse. Scegliere solo tre scatti non è certo la cosa più semplice del mondo. Queste tre immagini, però, sono state scattate nella stessa sessione, dal tramonto, col sole che cala dietro la muraglia di ghiaccio, al cielo notturno punteggiato di stelle, all’alba di luce che illumina e dipinge rocce e ghiacciai. (tutte, Nikon D810; Nikkor 24-70 2,8 AFG; Treppiede)

Becca d’Aran e Rosetta

Le foto “ritraggono” sempre la Becca d’Aran e la Punta Rosetta, cime che delimitano la conca di Cheneil, homeau della Valdostana Valtournenche. Sono cime di tutto rispetto sia per estetica sia per quota, ma sono spesso sottovalutate per la vicina e incombente presenza delle Grandes Murailles e soprattutto del Cervino che, ovviamente, calamita sguardo e attenzione di chiunque. Il punto di ripresa, sempre lo stesso, è un tratto del sentiero che da Crepin (frazione di Valtournenche) conduce all’Alpe Liortiere, ad una quota di circa 1600 m. Ho percorso il sentiero moltissime volte, per cercare le diverse occasioni di luce. Le foto sono state scattate con condizioni meteo diverse, in stagioni diverse, con condizioni di illuminazione diverse e con ottiche di focale diversa. Il progetto è stato realizzato negli anni, con moltissima attrezzatura diversa, e la realizzazione di centinaia e centinaia di scatti. Ha vissuto anche il passaggio dalla pellicola al digitale. I primi scatti sono del 1998, gli ultimi del 2016.

Gruppo del Sella

Dopo molti anni di frequentazioni dolomitiche, ho individuato e scelto questo punto di ripresa, che abbraccia contemporaneamente il gruppo del Cir, il Sassolungo e il Sella, l’unico protagonista di questa inquadratura. Mi trovo nei pressi di Daunei, frazione di Selva di Val Gardena, un luogo ideale per attendere il tramonto e il momento della “Enrosadira”, nome che i Ladini danno al fenomeno di luce che colora le rocce di dolomia con moltissime sfumature di arancio, rosso e vermiglio, un momento unico da fotografare e una delle tante caratterizzazioni per ritrarre il Sella.

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