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9 aprile 1953. Difficoltà, incontri e “orrori” nella seraccata del Khumbu

Quinta puntata dello Speciale "Everest 1953"

Quando inizia una spedizione himalayana? Il racconto della grande avventura vissuta dal team britannico che affronta l’Everest nel 1953 può partire dalla partenza in nave da Tilbury, alle porte di Londra, oppure dal momento in cui gli alpinisti, i portatori e gli Sherpa lasciano a piedi la valle di Kathmandu per dirigersi verso le grandi montagne. Anche la sosta davanti al monastero di Tengboche, in cui escono dagli imballaggi le tende, le corde, le piccozze e i ramponi, e soprattutto i respiratori e le bombole dell’ossigeno, è in qualche modo un inizio. L’ascensione dell’Everest, però, inizia davvero il 9 aprile, quando Hillary, Band, Lowe e Westmacott, insieme a qualche Sherpa, affrontano per la prima volta l’Icefall, una delle seraccate più ripide, difficili e pericolose di tutte le montagne della Terra. Tra quei crepacci, molti dei quali ricevono un nomignolo spiritoso, si rischia davvero la vita. Ma senza superare l’Icefall non si può raggiungere l’Everest.

Prima dell’alba del 9 aprile 1953, tre uomini lasciano le tende del campo-base dell’Everest per affrontare una delle colate di ghiaccio più impressionanti e pericolose della Terra. Due di loro, Michael “Mike” Westmacott e George Band, sono inglesi, il terzo, Edmund Hillary arriva dalla Nuova Zelanda. L’altro Kiwi del gruppo, George Lowe, è rimasto nel sacco a pelo, bloccato dalla dissenteria. La spedizione britannica ha lasciato Kathmandu da un mese, gli alpinisti hanno iniziato a conoscersi e a stimarsi, ma qualche diffidenza tra gli inglesi e i neozelandesi c’è ancora.

“Sono stato grato a John Hunt quando, alla luce della mia esperienza nel 1951, mi ha chiesto di condurre una squadra sul ghiacciaio del Khumbu per trovare un campo-base adeguato e per esplorare la via nella seraccata” annota Hillary nel suo diario. “Quando però gli ho chiesto se poteva venire anche Lowe, che è molto bravo su ghiaccio, John è diventato riluttante. Temeva, credo, che noi neozelandesi potessimo “scippare” la sua spedizione” prosegue l’alpinista di Auckland. Cinquanta giorni più tardi, il suo arrivo sulla vetta dell’Everest insieme a Tenzing Norgay (e senza inglesi!) dimostrerà che la diffidenza è destinata a svanire, e che il capospedizione baserà le sue scelte solo sullo stato di forma degli alpinisti.

Meno di ventiquattr’ore prima, nel pomeriggio dell’8 aprile, Hillary è salito fino alla base dell’Icefall, la Seraccata del Khumbu. Non ha avuto una buona impressione. “Mi sono accorto che la parte inferiore aveva un aspetto nettamente più difficile che nel 1951” annota. Ora c’è solo da mettersi al lavoro, cercando di riportare a casa la pelle. Il 9 aprile, nel primo giorno di lavoro, Band, Westmacott e Hillary attaccano l’Icefall “con grande energia, traversando ponti di neve malsicuri, tagliando gradini su ripidi muri di ghiaccio, contorcendosi per superare delle strette spaccature”. Salgono a comando alternato, con cautela, lentamente ma senza fermarsi, battezzando i passaggi più impressionanti e bizzarri.

Westmacott sale da capocordata un ripido diedro di ghiaccio, e questo viene battezzato Mike’s Horror. Più avanti uno stretto ponte di neve, minacciato da un muro di ghiaccio e affacciato su un vuoto pauroso, diventa lo Hillary’s Horror. Segue la Hellfire Alley, il “Viale del fuoco d’inferno”. John Hunt, che arriva qualche giorno più tardi, scriverà di “blocchi di ghiaccio precipitati da poco e non ancora assestati”, dove la pista zigzaga “attraverso, sopra, e perfino sotto a dei colossali seracchi”, e dove “alcune bandierine svizzere del 1952 indicano una via ormai impercorribile”. Intanto però, un crepaccio dopo l’altro, Hillary, Westmacott, Band, Lowe che si è ripreso e lo Sherpa Ang Namgyal continuano a esplorare e ad attrezzare il percorso.

Il ghiacciaio del Khumbu, la grande conca ai piedi della parete Sud-ovest dell’Everest e la impressionante seraccata che scende dalla seconda verso il primo entrano nella storia e sulle mappe della cima più alta della Terra il 19 luglio del 1921, quando George Mallory e Guy Bullock salgono dal ghiacciaio di Rongbuk ai 6006 metri del Lho La, e si affacciano per la prima volta sul versante nepalese della montagna. I due inglesi battezzano la conca Western Cwm (“Circo occidentale”) con una parola gaelica comune sulle montagne del Galles, e la giudicano “fredda e ostile”. Annotano che “il famoso ghiacciaio occidentale è terribilmente ripido e accidentato”, e che la parete del Lhotse, che sale al Colle Sud, “sembra impossibile”. Ma sono osservazioni oziose, perché il salto pressoché verticale che separa il Lho La dal futuro campo-base nepalese impedisce qualunque tentativo da sud agli alpinisti arrivati dal Tibet.

Come abbiamo già raccontato in questa storia, i primi occidentali a mettere piede sul ghiacciaio del Khumbu sono l’inglese Eric Shipton e l’americano Charles Houston, nel novembre del 1950. Un anno dopo Shipton ed Edmund Hillary salgono al Kala Pattar, che oggi viene raggiunto ogni anno da decine di migliaia di trekker, e proseguono verso il Pumori fino a 6100 metri di quota. Da lì, vedono il Colle Nord e il Great Couloir raggiunto per la prima volta da Norton, che ricordano a Shipton le spedizioni d’anteguerra a cui ha partecipato. Poi esaminano l’Icefall, il Western Cwm, la parete del Lhotse e il Colle Sud. “Certo, era una via difficile. Ma era pur sempre una via!”. Nei giorni che seguono Shipton, Hillary, Michael Ward, Tom Bourdillon, Earle Riddiford e gli Sherpa Ang Tharkay e Utsering risalgono la Seraccata fino ad affacciarsi sulla conca, ma la mancanza di corde e scalette impedisce di traversare l’ultimo, enorme crepaccio. Un anno dopo, la spedizione svizzera supera e attrezza con corde e scale di legno l’Icefall, e prosegue rapidamente verso l’alto. Raymond Lambert e Tenzing Norgay, a fine maggio, fanno dietro-front a 8600 metri di quota.

Gli alpinisti di oggi hanno a disposizione scalette di alluminio, maniglie jumar e discensori, imbragature che riducono i danni se si cade in un crepaccio (quelli del 1953 si legano ancora in vita), e ogni anno gli Icefall doctors attrezzano e mantengono in buone condizioni la via. Nonostante questi progressi, la Seraccata resta la parte più pericolosa della via, soprattutto per gli Sherpa che la percorrono più spesso dei clienti delle spedizioni commerciali. Nell’aprile del 2014, la caduta di un grande seracco dall’alto ucciderà ben quattordici Sherpa, e i loro colleghi impegnati sull’Everest decideranno di chiudere lì la stagione per onorare i fratelli caduti. “Non è stata una tragedia dell’alpinismo, ma una tragedia sul lavoro” commenterà Reinhold Messner.

Intanto, nell’aprile del 1953, gli alpinisti lavorano di gran lena. Il secondo giorno, Hillary riesce ad attraversare una depressione tagliata da innumerevoli crepacci, che Shipton aveva battezzato Atom Bomb Area, la “Zona della bomba atomica”. Il quarto giorno gli Sherpa iniziano a portare carichi verso l’alto, e il cameraman Tom Stobart si dedica alle riprese. L’indomani il freddo è intenso, e Band, Lowe e Hillary partono più tardi del solito. Al termine del percorso già attrezzato, un crepaccio trasversale consente di arrampicare in spaccata, tagliando dei gradini sui due lati. E’ il passaggio finale dell’Icefall, e di fronte agli alpinisti si spalanca la conca assolata del Western Cwm. Nei giorni che seguono Hillary e compagni scendono a riprendere fiato più in basso, e altre cordate, sotto la direzione di John Hunt, si dedicano ad attrezzare il percorso installando le scalette di alluminio. Nella Zona della Bomba Atomica viene costruito un ponte di tronchi lungo più di venti metri. Gli Sherpa carichi, un giorno dopo l’altro, iniziano ad attraversare la Seraccata.

Quando Edmund Hillary torna in azione, si lega per la prima volta in cordata con Tenzing. Nel tratto più impegnativo, il neozelandese lascia la via già battuta per saltare un crepaccio, ma l’orlo su cui atterra si stacca, e l’alpinista precipita nel vuoto. Ma lo Sherpa ha i riflessi pronti. Pianta la piccozza nella neve, blocca la corda, Hillary si ferma con i piedi e i ramponi su una parete e lo zaino poggiato dall’altra. “Rimasi impressionato dall’abilità e dalla velocità di Tenzing” scriverà Hillary nella sua autobiografia View from the Summit, “e per la prima volta mi si affacciò alla mente un pensiero. Mi sembrava improbabile che Hunt permettesse a me e a George Lowe di scalare insieme, non ci potevano essere due Kiwi sulla cima. Ma me e Tenzing? Forse quella era una buona idea”. Sappiamo tutti com’è andata a finire.

Qui la prima puntata. 

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