Alpinismo

Stampa e alpinismo: binomio imperfetto

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BERGAMO – Vicende di cronaca che sfociano in sterili polemiche dove non è più chiaro quali siano gli schieramenti. Storie che finiscono per essere raccontate in modo superficiale o peggio sfruttate, spesso da chi nemmeno vi è stato coinvolto, per promuovere idee e visibilità personali e programmi al limite della politica. Sono in molti a cedere a questa tentazione, e in molti a credere che questo sia il vero “tarlo” dell’alpinismo e dei suoi contrastati rapporti con il mondo dei media. Stavolta, abbiamo voluto sentire che cos’ha da dire l’altra faccia della medaglia: il mondo del giornalismo.

Quest’estate, la montagna era su tutte le pagine dei giornali. Un’attenzione mediatica decisamente oltre la media, che ha coinvolto tutta l’opinione pubblica. Ma che in realtà non è un fatto eccezionale, se si ripensa a casi storici come i soccorsi sulla Nord dell’Eiger per Claudio Corti e Stefano Longhi, seguiti quotidianamente dalla stampa di tutta Europa. O alle infinite polemiche che hanno accompagnato – e accompagnano ancor oggi – le avventure di Walter Bonatti sul K2 o Cesare Maestri sul Cerro Torre.
 
Oggi, come allora, la montagna ha fatto notizia. E oggi, come allora, non ci si è limitati a raccontare la cronaca. Quando la vicenda era vicina alla chiusura, è diventata spunto per pareri, giudizi, polemiche che spesso esulano dai fatti e diventano scudi per battaglie personali. E così ci si trova per mesi, anni invischiati polemiche più vive che mai, ma spesso fini a sé stesse. Che al posto di informare, finiscono per confondere le idee.
 
“L’ambiente alpinistico  ha la tendenza ad essere troppo autoreferenziale – dice Giorgio Spreafico, scrittore e caporedattore del quotidiano La Provincia –. Capisco che dopo vicende come quelle di quest’estate si senta lacerato, ma non deve dimenticare che il mondo non finisce nei suoi campi base, nelle sue tende o dentro i rifugi. Tanto più quando grandi fatti di cronaca accendono i riflettori sulla montagna, ci sono persone (e tante, il famoso grande pubblico) che vogliono sapere e capire, e che hanno bisogno di essere aiutate perché non appartengono a quell’ambiente e dunque faticano a comprenderne mentalità, riferimenti culturali, contesto tecnico".
 
"Bisogna tener conto di queste cose – continua Spreafico – e non va persa l’occasione, proprio in quei momenti di grande visibilità mediatica, per raccontare sì la severità della montagna ma anche la sua meraviglia, che resta tale persino quando le circostanze si fanno drammatiche. Servono  chiarezza e pacatezza, dunque. E occorre che gli alpinisti, nel loro interesse, accettino di sporcarsi un po’ le mani anche mettendosi onestamente al servizio dei cronisti non specializzati, non per protagonismo  ma per diventare in un certo senso garanti di una comunicazioned corretta e rispettosa dei fatti. Forse un buon rapporto tra montagna e media nato in circostanze così difficili potrà essere la premessa per un dialogo più produttivo e per una presenza meno episodica anche nei giorni per così dire normali, quelli nei quali la montagna purtroppo oggi scompare da giornali e televisioni”.
 
Ma l’accademia dell’alpinismo stenta a trattenersi dal condannare l’attenzione mediatica. L’ideologia dell’avventura estrema, del rischio per la scalata, dell’alpinista come parte di un’elite superiore, che vive soltanto del rapporto con la parete e non ha bisogno di conferme altrui, è tenuta stretta da molti personaggi. Che quando vedono la montagna in prima pagina non sono mai d’accordo. E poi inseguono fantasmi, cercano colpevoli e se la prendono con quello che, in realtà, è solo frutto della curiosità collettiva.
 
“Non è altro che il più naturale meccanismo della notizia – spiega Roberto Serafin, penna storica de Lo Scarpone -. Quest’estate, per esempio, c’era da un lato l’avventura fuori dagli schemi, la tragedia e due persone rimaste sole in un ambiente rischioso e sconosciuto. Dall’altro qualcuno che voleva aiutarli, si interessava di loro. Questo l’evento giornalistico che si è raccontato, per una volta, con molta proprietà e perfino approfondimento, anche grazie al fatto che per una volta c’erano fonti esperte che si sono preoccupate di diffondere informazioni corrette. E chi ha scritto di montagne assassinate, si è limitato a costruire o rinfocolare polemiche senza provare a capire, se lo poteva risparmiare”.
 
La responsabilità del caos che si genera in casi come questi, però, forse non è solo della stampa. Ma anche dell’alpinismo. Che da una parte si sente un po’ snob, e rifiuta di “raccontarsi” a chi non è competente. E dall’altra, spesso, cerca maldestramente di manipolare l’attenzione dei media che vorrebbe poter usare solo quando e come fa comodo.
 
A spiegare come, è ancora Spreafico: “L’alpinismo – parlo in senso generale, naturalmente, perché le eccezioni per fortuna non mancano – ha molti mea culpa da fare, per la mediocre e talvolta caotica comunicazione che lo accompagna. Troppo spesso considera i giornali come dei taxi, sui quali salire e scendere a suo piacimento. Si lamenta spesso di essere ignorato e pensa che tutto gli sia dovuto ma in cambio dà troppo poco. Per esempio spesso si eclissa dopo una spedizione andata a male e lo fa nonostante prima di partire abbia fatto rullare i tam-tam, o anche se richiesto non mette a disposizione foto o documentazione, o dà resoconti parziali (dai quali nel caso dell’Himalaya spariscono puntualmente gli sherpa, le corde fisse, magari l’ossigeno, i campi allestiti da altri eccetera), dunque sottrae dettagli decisivi per la valutazione delle sue salite, e lo fa approfittando proprio di ciò di cui a giorni alterni si lamenta, e cioè di una impreparazione di base del giornalismo generalista".
 
"C’è poi chi fa – continua Spreafico -, e a volte per (rispettabile) scelta non fa sapere e si nega, salvo poi però lamentarsi del fatto che altri, protagonisti magari di un’attività meno qualificata, finiscano sui giornali. Spiace dirlo, ma spesso la stampa si occupa di alpinismo “malgrado” gli alpinisti. La domanda è: perché sui giornali “normali”, non specializzati, non dovremmo parlare della montagna e di chi ci va? Non è forse anche quello un pezzo di vita, non ha forse storie straordinarie, non è forse una passione che coinvolge una grande base di praticanti?”
 
A voi appassionati la riflessione. E se volete provare a rispondere alla domanda, la redazione di Montagna.tv, come al solito, è aperta ai vostri pareri.
Sara Sottocornola

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