Alpinismo

Confortola: ecco com’è andata sul K2

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SANTA CATERINA VALFURVA, Sondrio — La lunga salita, la cima, il crollo dei seracchi e la spaventosa notte passata ad oltre ottomila metri. I nuovi crolli, la scomparsa dei compagni, il tentativo di soccorrerli e la difficile discesa dal Collo di bottiglia verso la salvezza. Dopo tanto parlare della tragedia del K2, ecco finalmente la testimonianza scritta e firmata da Marco Confortola sugli eventi avvenuti lassù dal 28 luglio al 5 agosto 2008. Un racconto scritto dall’alpinista di suo pugno, con l’obiettivo di mettere ordine sui fatti accaduti quella terribile notte.

"Il 28 luglio io e il mio compagno di spedizione Roberto Manni partiamo dal Campo Base  K2 e andiamo direttamente al C2. Il 29 luglio siamo fermi per cattivo tempo al C2. Il 30 luglio dal C2 andiamo al C3.
 
La mattina del 31 luglio saliamo verso il C4 prospiciente alla “spalla” del K2. Raggiungo i coreani Go e Kim fermi sotto l’ultima rampa prima di raggiungere il C4; Assieme ad altri alpinisti mangiamo e beviamo qualcosa  e poi riparto con alcuni sherpa, porter ed alpinisti, e saliamo verso il C4. Io Cirin (sherpa nepalese) e un altro sherpa nepalese (credo dei coreani) raggiungiamo il C4. Raggiunto il C4 vedo una tenda gialla sulla mia destra, mi avvicino, credendo di trovare gli olandesi, ed invece trovo Monsieur Hugo, un altro alpinista ed un porter.
 
Parlo con loro, mi offrono del the e poi ritorno verso Cirin e l’altro sherpa e cominciamo a fare le piazzole. Prendo un fascio di bandierine, che avevo nello zaino, e salgo verso la spalla per più o meno 100 mt di dislivello, e posiziono tutte le bandierine per facilitare la salita del giorno successivo. Mentre scendo verso C4 vedo arrivare altri alpinisti che provengono dallo Sperone Abruzzi ed un altro che arriva dalla  Cesen: è  Pemba Girgi lo sherpa della spedizione olandese. Arriva anche il mio compagno Roberto. Più tardi arrivano anche Wilco, Cas, Ielle e Gerard, tutti appartenenti alla spedizione olandese. Ci aiutiamo a fare le piazzole, montiamo tutte le tende e ci prepariamo per la notte.
 
Verso mezzanotte sentiamo dei rumori e movimenti; alcuni si preparano per salire il Collo di Bottiglia.
 
Il 1 agosto alle 3 di notte esco dalla tenda. Roberto è ancora dentro. Io sento freddo e parto per affrontare la cima del K2. Dopo alcune ore ci troviamo in fila indiana verso il Collo di Bottiglia. Non ricordo l’ora ma un alpinista, per cause  a me non chiare, precipita per circa 400 mt e si ferma sul lato sinistro (guardando dall’alto verso il basso) del canale del Collo di Bottiglia. Per varie manovre di sicurezza, sistemazione chiodi e posizionamento di corde perdiamo parecchio tempo; credo più o meno 1 ora e mezza. Continuiamo a salire e dopo alcune ore superiamo il traverso e la parte ripida finale e raggiungiamo il pianoro superiore al seracco. Vedo la cima del K2 e altri alpinisti davanti a me.
 
In prossimità della cima ricordo alcune persone già in discesa, tra cui i coreani, mentre io continuo a salire. Ormai in vetta incontro Wilco, Gerard e Pemba che scendono mentre Cas mi aspetta in vetta. Sono le 18.45 del 1 agosto; sono l’ultimo alpinista a raggiungere la vetta, Cas mi scatta alcune foto e chiamo con il satellitare Miro Fiordi, direttore generale del Credito Valtellinese, informandolo di aver raggiunto la vetta del K2 senza ossigeno e mi appresto a scendere. 
 
Intraprendo la discesa, ormai è notte e con altri alpinisti inizio a scendere. Raggiunta la quota 8400 mt decido di fermarmi perché a causa della scarsa visibilità non mi sentivo sicuro di continuare la discesa; chiamo Agostino da Polenza dal mio satellitare e lo informo della situazione difficile e della mia decisione di fermarmi; ci diamo appuntamento per il mattino.
 
Al mio fianco si ferma Gerard “Jesus”; scaviamo due piccoli buchi nella neve e senza materiale da bivacco cerchiamo di affrontare la notte nel migliore dei modi. Più tardi, nella notte ci raggiunge Wilco leader della spedizione olandese. Alle prime luci dell’alba Wilco comincia a scendere davanti a noi  e un po’ più attardati lo seguiamo anche noi.
 
Raggiungiamo la parte ripida ed io e Gerard ci accorgiamo di tre alpinisti appesi al seracco; prestiamo i primi soccorsi ai tre ancora vivi. Riconosco per la sua macchina fotografica, una Rollei tedesca, il climbing leader dei coreani, uno sherpa dei coreani e l’altro credo fosse Pack anche lui alpinista coreano ma non ne sono certo.
 
Sono tutti e 3 in posizione molto precaria e tutti e 3 a testa in giù. Mentre Gerard sostiene la testa del climbing leader che è nella posizione più alta sulla verticale del seracco, scendo verso gli altri due alpinisti. Vedendo le bombole d’ossigeno nei loro zaini, cerco fra il materiale le loro maschere per l’ossigeno per porgerle e dar loro sollievo. Purtroppo non le trovo, prendo un coltello appeso all’imbrago dell’alpinista in posizione di mezzo e anche una piccozza gialla della Grivel, modello Evo, e ritorno sul seracco vicino a Gerard. Vado verso destra sopra di loro e recupero, tagliando con il coltello una decina di mt di corda e ritorno sulla verticale di Gerard e il leader climbing coreano. Infilo la piccozza gialla Grivel recuperata nella neve, blocco la corda recuperata, scendo verso il climbing leader, gliela fisso attorno alla vita con un altro cordino.
 
In quel mentre Gerard abbandona la sua posizione e comincia a salire verso l’alto del seracco; lo chiamo più volte, non mi risponde e credendo che andasse a fare delle foto all’operazione di soccorso sparisce dalla mia vista. A quel punto continuo l’operazione di soccorso calando il leader per più o meno dieci metri vicino agli altri suoi compagni. Blocco la calata e scendo anch’io vicino a loro. Posiziono sotto l’ascella del leader un mio bastoncino affinché mantenga una posizione seduta .
 
Mi avvicino al secondo ferito e con grande fatica riesco a posizionarlo in maniera sicura: da supino a seduto. Tolgo il mio guanto d’alta quota destro e lo infilo nel piede sinistro del terzo alpinista perché è senza una scarpa. Noto il microfono della radio appeso alla giacca dello sherpa, scendo cinquanta metri nel canale e trovo la radio; risalgo, l’accendo e chiamo i coreani. Chiedo aiuto e mi rispondono, credo, due sherpa che vengono ad aiutarmi: informo loro della situazione dei feriti e anche della mia, che sono parecchio stanco e che dopo aver messo in posizione sicura i 3 alpinisti io ricomincio a scendere.
 
Posiziono la mia piccozza nel ghiaccio sopra il leader e rafforzo la sosta, sento un boato provenire dal traverso ma non vedendolo non capisco cosa possa essere successo. Senza il guanto destro di alta quota, senza piccozza (lasciata per rafforzare la sosta) comincio a scendere il traverso verso sinistra con un bastoncino attaccato alle corde fisse. Dopo aver percorso alcuni metri  mi accorgo che le corde del traverso non ci sono più. Continuo il traverso in arrampicata molto precaria verso il collo di bottiglia.
 
Dopo un grande sforzo sia fisico che mentale raggiungo il collo di bottiglia; qui trovo alcuni pezzi di corde fisse e scendo per il canale. Quasi alla fine della parte ripida del canale sento un altro boato che proviene dall’alto e vedo una piccola valanga cadere da sopra il seracco, battere sulle rocce sottostanti come una cascata. Vedo uscire da questa cascata di neve dei resti umani e del materiale tra il quale, riconosco dal colore giallo gli scarponi della ditta “La Sportiva” che indossava Gerard. La valanga prosegue verso di me lasciando sparsi resti umani e di materiale alpinistico e si ferma un po’ più sotto a destra. Continuo la mia discesa verso C4, il tempo peggiora, comincia a nevischiare e noto altro materiale alpinistico e tracce di sangue e di scivolate sulla neve.  Mi siedo per lo sconforto e la stanchezza e sdraiandomi mi addormento.
 
Mi sveglia Pemba Girgi, sherpa della spedizione olandese, mi obbliga a mettere l’ossigeno anche se non lo voglio e  mi incita a scendere velocemente con lui. Dopo 200 mt circa di discesa mi colpisce qualcosa alla nuca, mi rendo conto che è una bombola d’ossigeno e Pemba con il suo corpo mi protegge; un’altra valanga ci passa a destra e si ferma poco sotto di noi. Pemba fotografa la valanga e nel frattempo noto in mezzo alla neve altri resti umani. Pemba continua ad incitarmi a scendere. Nella discesa incontriamo altri alpinisti in salita, non ricordo esattamente chi fossero; due erano per certo coreani e mi chiesero notizie sui loro compagni. Ho spiegato loro che ho lasciato in posizione sicura i tre alpinisti a quota 8300 circa e che io ero sceso perché, dopo aver bivaccato fuori la notte e aver lavorato per circa 3 ore e mezza a prestare soccorso, non avevo più forze. Dopo di chè intrapresero la loro salita.
 
Il tempo peggiora ulteriormente e quasi al C4 l’alpinista olandese Cas ci aspetta. Pemba mi lascia nelle sue mani e credo ritorni in salita alla ricerca del suo capo spedizione Wilco. Raggiungo, accompagnato da Cas il C4, scambio alcune parole con Go e Kim, alpinisti coreani, mi infilo nella mia tenda e mi addormento.
 
Il 3 agosto mi sveglio tardi e comincio da solo la mia discesa verso C3. Dopo alcune ore noto dietro di me 2 alpinisti che anch’essi scendono. Arrivo al C3 mi metto in tenda, bevo della Sprite (che mi ha lasciato il mio compagno Roberto Manni). Alla ricerca di qualcosa da mangiare trovo due barrette energetiche nella tenda di Cirin, lo sherpa degli americani, che era posizionata sopra la mia; le mangio, rientro nella mia tenda e mi addormento.
 
Al risveglio, il 4 agosto continuo  a scendere verso C2 e dopo aver fatto la diagonale che da destra va verso sinistra e porta verso lo sperone, noto e sento, sotto di me, un elicottero che con dei voli circolari ispeziona lo sperone. Scendo ulteriormente verso C2 e dopo avere affrontato la piramide nera vedo 3 persone in salita, ne riconosco l’alpinista George che con due sherpa della valle del Makalu assoldati da Roberto mi vengono incontro. Mi faccio prestare il pacco batterie del telefono satellitare Thuraya da George ed informo mio fratello Luigi che sono ancora vivo. (già da un paio di giorni il mio telefono era scarico).
 
Raggiungiamo C1, vi passiamo la notte e il giorno 5 agosto, con fortissimi dolori ai piedi, raggiungo il campo base avanzato con l’aiuto dei due sherpa e di George. Ad aspettarmi lo sherpa Cirin con alcuni alpinisti americani: mangio e bevo qualcosa e comincio a scendere aiutato da loro verso il Campo Base. A metà ghiacciaio mi viene incontro Mario Panzeri che mi porge una lattina di Red Bull e Olan; insieme continuiamo la discesa verso il campo base. Solo dopo aver raggiunto il campo base vengo informato della morte di tanti alpinisti.
Questo è quello che io ricordo dal 28 luglio al 5 agosto".
 
 
Marco Confortola

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