Alpinismo

Alpinismo più rischioso: colpa del clima?

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BERGAMO — L’alta quota diventa sempre più rischiosa per le scariche di sassi. Le vie classiche di ghiaccio e misto diventano quasi solo di roccia (marcia). Alcune spariscono proprio, insieme al crollo di grossi pezzi di montagna. Le guide alpinistiche hanno continuo bisogno di essere riaggiornate. Insomma, le conseguenze del riscaldamento climatico sull’alpinismo sono tutt’altro che aleatorie.

Alcune voci sull’argomento si sono levate nei giorni scorsi a livello internazionale. E abbiamo deciso di fare qualche domanda in giro, per capirne di più e per non lasciare che questo richiamo, così vicino al mondo della montagna di cui ci occupiamo, cada nel calderone dei numerosi allarmi ambientali che oggigiorno arrivano da destra e da manca.
 
Perchè il problema non è solo che il ghiacciaio si è ritirato di "tot" metri. E’ che l’alpinismo diventa sempre più rischioso. Che le vie classiche delle Alpi, come quelle sull’Eiger e sul Cervino, non sono più le stesse: hanno cambiato morfologia, costituzione, difficoltà.
 
Alcune non sono più praticabili, perchè il ghiaccio, scomparendo, ha lasciato il posto a rocce friabili, instabili, poco compatte. Altre sono addirittura scomparse insieme a pezzi di montagne, come la celebre via Bonatti sul pilastro sud est del Petit Dru.
 
"Oggigiorno guadagnamo di più con la messa in sicurezza delle frane che con i clienti – si è lamentato Marco Bomio, guida alpina di Grindelwald, con l’agenzia Reuters -. Le vie cambiano, diventano più pericolose e alcune, come la nord est dell’Eiger aperta nel 1932, non sono più praticabili".
 
La stessa Nord dell’Eiger, secondo Bomio, sarebbe cambiata radicalmente. Se una volta era costituita per il 75 per cento di ghiaccio o neve e solo per il 25 per cento di roccia, oggi nella stagione estiva le percentuali sono invertite.
 
E accanto ai cambiamenti di "faccia" delle vie, ci sono anche molti episodi disastrosi. Sul Cervino, solo nel 2003, sarebbero stati necessari 70 salvataggi in elicottero di alpinisti investiti dalle scariche di sassi. Nel 2005 un pascolo dell’Oberland bernese è crollato in un bacino glaciale, trascinando con sè un rifugio.
 
L’anno scorso è crollato prima un pezzo di Eiger grande due volte l’Empire State Building, e poi un pezzo di Cervino che ha imposto la chiusura del versante italiano per molti giorni. Numerosi crolli minori hanno impedito il traffico e causato incidenti su molte strade di montagna.
 
Frane, scariche di sassi, crolli di seracchi hanno da sempre fatto parte della "normale" dinamica dei versanti dell’alta montagna. Da qualche anno però, in concomitanza dell’incremento delle temperature estive e dell’innalzamento dello zero termico, il fenomeno si è accelerato.
 
"Le pareti perdono la loro copertura di neve, nevato e ghiaccio – spiega Claudio Smiraglia, glaciologo del Comitato Ev-K2-Cnr – lasciando il posto a roccia fratturata e friabile non più cementata dal ghiaccio interno (il cosiddetto "permafrost"). I normali fenomeni di frantumazione delle pareti ad opera del gelo-disgelo diventano più attivi ed efficaci ed aumentano i crolli. Dal 2003 si sono succeduti eventi in sequenza, solo per ricordare le Alpi Italiane, sul Bianco, sul Cervino, sul Bernina, sulla Thurwieser, che hanno imposto talora il blocco delle vie di ascensione".
 
"Di fatto l’alta montagna è divenuta più pericolosa – prosegue Smiraglia – e le vie normali che fino a 10-15 anni fa venivano salite senza problemi oggi, soprattutto a metà e a fine estate, diventano impegnative  e pericolose. E’ necessaria quindi una vera  e propria rivoluzione culturale nell’accostarsi alla montagna di oggi, gestita soprattutto dalle strutture che fanno opera di divulgazione".
 
"Le montagne stanno cambiando rapidamente – conclude Smiraglia – tocca a noi adeguarci a questo nuovo ritmo; se ciò non avverrà abbiamo solo due scelte: accontentarci di guardarle dal basso oppure correre rischi che vanno al di là del comune buonsenso".
 
Chiarito che l’allarme non è una bufala, resta da capire se e cosa si può fare per migliorare la situazione dell’alpinismo, oppure se l’alpinismo può essere utile prima a sè stesso – con la condivisione di informazioni circa lo stato delle vie, dei ghiacciai, delle cime – e poi, magari, anche alla scienza e alla politica nella comprensione, l’osservazione e la gestione di questi problemi globali.
 
Sara Sottocornola
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