Storia dell'alpinismo

Sei anni fa, la tragica fine di Daniele Nardi e Tom Ballard sul Nanga Parbat

Una via estremamente pericolosa, dieci giorni di angoscia, poi la conferma grazie a una foto scattata dal drone di Alex Txikon. I due alpinisti, il 25 o il 26 febbraio 2019, hanno perso la vita sullo Sperone Mummery

L’ultima speranza, ammesso che ne fosse rimasta qualcuna, si spegne alle 13.55 italiane del 9 marzo 2019. Nelle ore precedenti Stefano Pontecorvo, ambasciatore d’Italia in Pakistan, ha comunicato alle famiglie di Daniele Nardi e Tom Ballard che i loro cari non torneranno più a casa dal Nanga Parbat. 

Poi il diplomatico, da Islamabad, pubblica la stessa notizia su Twitter. “Con grande dolore informo che le ricerche sono terminate Alex Txikon e la sua squadra hanno confermato che le sagome viste sullo Sperone Mummery a circa 5900 metri sono quelle di Daniele e di Tom”. 

Qualche ora dopo, la famiglia Nardi emette un suo comunicato, immediatamente ripreso da siti, radio, televisioni e giornali. “Siamo affranti dal dolore. Davanti a fatti oggettivi e, dopo aver fatto tutto il possibile, dobbiamo accettare l’accaduto. Le ricerche di Daniele e Tom sono concluse, una parte di loro rimarrà per sempre sul Nanga Parbat”.

I familiari dell’alpinista laziale proseguono ringraziando “Alex, Ali, Rahmat (gli alpinisti Txikon, Sadpara e Ullah Baig che hanno partecipato alle ricerche, ndr), le autorità pakistane e italiane, i giornalisti, gli sponsor, tutti gli amici che hanno mostrato collaborazione e generosità”. 

Usa un tono diverso, più privato, Stefania Pederiva, la compagna di Tom Ballard, il fortissimo alpinista britannico che aveva trovato una casa e l’amore in Val di Fassa. “Non ci saranno mai parole adatte a descrivere il vuoto che hai lasciato. Ti ritroverò nella natura, nei fiumi negli alberi, nelle montagne”. Nel suo testo c’è anche la rabbia “per non aver ascoltato le mie parole, che ti dicevano che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano lì”. 

Daniele Nardi, 42 anni, di Sezze in provincia di Latina, nel Lazio, è stato il primo alpinista “nato a sud del Po” (una frase che gli piaceva molto, e che ha usato decine di volte in pubblico) a salire l’Everest, il K2 e altre grandi vette della Terra. Da sei anni, aveva iniziato a tentare d’inverno il Nanga Parbat.

Tom Ballard, 30 anni, inglese residente in Trentino, era una star dell’alpinismo moderno, con al suo attivo centinaia di difficili ascensioni sulle Alpi, spesso compiute d’inverno e da solo. Sua madre Alison Jane Hargreaves, un’alpinista altrettanto forte e coraggiosa di lui, è morta nel 1995, mentre scendeva dopo aver raggiunto la vetta del K2. 

Due mesi dopo la scomparsa della Hargreaves, suo marito James Ballard, con i figli Tom e Kate, raggiunge la base del K2. Un trekking su terreno infido, pericoloso a causa dell’alta quota, sul quale la BBC gira un documentario. “Vedere il posto dove Alison Jane è morta ha aiutato enormemente i figli ad accettare la scomparsa della madre” dirà Ballard a Josie Barnard del Guardian, dopo aver spiegato che i soldi della BBC gli servono per mandare avanti la famiglia.

Tom e Daniele partono da Fiumicino nel dicembre del 2018, e per l’alpinista di Sezze è il quarto tentativo invernale agli 8125 metri del Nanga Parbat. L’obiettivo è lo Sperone Mummery, un gigantesco pilastro di roccia e ghiaccio sulla parete Diamir del Nanga.
Lo Sperone, che non è mai percorso in salita, prende il nome dal grande alpinista inglese Albert F. Mummery, scomparso sulla parete Diamir nel 1895 insieme ai nepalesi Ragobir Thapa e Gaman Singh, militari del corpo scelto dei Gurkha.
A seguire in discesa lo Sperone, nel 1970, sono i due fratelli Messner, reduci dalla prima ascensione della ripidissima parete Rupal. Alla fine del tratto più ripido Günther viene spazzato via da una valanga, nei due giorni successivi il fratello rischia la vita per cercarlo. Trentanove anni dopo, mentre le ricerche di Nardi e Ballard sono in corso, Reinhold Messner descriverà in alcune interviste lo Sperone come “una via per suicidi”. 

Il 22 febbraio del 2019, Tom Ballard e Daniele Nardi lasciano il campo-base per un tentativo di ascensione. Hanno con loro due telefoni satellitari ma tre giorni dopo, il 25 febbraio, le comunicazioni degli alpinisti con il campo-base e con l’Italia si interrompono definitivamente.
Nei giorni successivi, nonostante un blocco temporaneo dei voli militari a causa della tensione tra Pakistan e India, lo Sperone Mummery viene sorvolato da un elicottero dell’esercito di Islamabad.  A bordo c’è l’alpinista pakistano Ali Sadpara, che tre anni prima ha partecipato alla prima invernale del Nanga Parbat insieme a Simone Moro, ad Alex Txikon e a Tamara Lunger. Ali non riesce a scorgere i due alpinisti dispersi, ma vede e fotografa una tenda che sembra abbandonata ma sta in piedi.


Qualche giorno dopo, il basco Alex Txikon arriva nella valle di Diamir con un altro elicottero militare dal campo-base del K2. Da lì risale, insieme a tre compagni di spedizione spagnoli e a tre alpinisti pakistani la prima parte dell’itinerario seguito da Nardi e da Ballard. Da più punti, fa volare dei droni verso la zona dove sono scomparsi l’italiano e l’inglese.  La ricerca dura tre intere giornate, ed è un’impresa straordinariamente rischiosa. Il report di Txikon, che viene reso noto prima della comunicazione dell’ambasciatore Pontecorvo, parla di un pericolo costante, e di “valanghe gigantesche”. 

Poi, in piena notte, lo staff italiano di Nardi diffonde una notizia sorprendente. Mentre i droni non hanno visto nulla, dal campo-base, con un cannocchiale, sono state avvistate “due sagome, probabilmente umane”. E’ una bugia, anche se comprensibile e pietosa. 

In realtà, una foto scattata dal drone di Txikon, che resta segreta per qualche giorno e poi viene allegata al tweet dell’ambasciatore Pontecorvo, mostra la stessa tenda che Sadpara aveva fotografato dall’elicottero. A pochi metri di distanza, dove quattro giorni prima si stendeva un pendio uniforme di neve, il vento o una slavina hanno fatto tornare alla luce i corpi di Nardi e di Ballard. Il primo alpinista indossa la sua giacca a vento arancione, il secondo è vestito di blu. Nell’immagine, sgranata perché ingrandita al massimo, non si vedono corde ma si distingue un oggetto allungato, forse una piccozza o un bastoncino da sci. L’impressione è che la morte di Tom e Daniele risalga al 25 o al 26 febbraio, quando le comunicazioni si sono interrotte.
Non è possibile recuperare due corpi a quella quota, e mentre in Europa se ne discute, probabilmente un’altra valanga li ha già nascosti di nuovo. Nel Lazio come in Val di Fassa, e tra gli alpinisti di tutto il mondo, la speranza dei giorni della ricerca lascia il posto alla commemorazione e al dolore. 

Qualche settimana più tardi, quando centinaia di alpinisti e di escursionisti ricordano Daniele sui 1536 metri del Monte Semprevisa, a picco sull’abitato di Sezze, partecipa alla giornata anche il grande alpinista Alex Txikon.
“Se non dovessi tornare” ha scritto prima di partire Daniele Nardi al figlio, che al momento della sua scomparsa ha sei mesi, “il messaggio è questo. Non fermarti non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori”.    

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