Molti fotografi, sia amatori che professionisti, conoscono il processo di previsualizzazione di una fotografia, grazie allo studio delle immagini e della tecnica del celeberrimo Ansel Adams, maestro indiscusso della fotografia di paesaggio e di montagna, in bianco e nero. Ansel Adams immagina lo scatto molto prima di trovarsi sul campo e di cimentarsi nelle macchinose operazioni di regolazione della propria fotocamera a banco ottico. Oltre a questo processo mentale, la fotografia del maestro prevedeva un lungo e accurato studio con procedimento di ripresa, sviluppo e stampa, finemente e indissolubilmente legato, conosciuto come “Sistema Zonale”, riassunto in tre magnifici e voluminosi libri che raccontano, a 360 gradi, il suo lavoro: The Camera, The Negative, The Print (La Fotocamera, Il Negativo, La Stampa), editi da Zanichelli, nella versione italiana.
Per approfondire il lavoro e la storia di Ansel Adams, rimando a questo articolo, su
Montagna.TV: “Ansel Adams, il fotografo della montagna e del paesaggio”
Qual è, oggi, il più semplice e immediato insegnamento della previsualizzazione, dal quale è possibile prendere spunto per le nostre fotografie?
Più semplice di quanto non sembri, all’atto pratico è l’idea di immaginare in anticipo non solo quali debbano essere gli scatti della propria escursione fotografica, ma anche in che modo rendere il soggetto. Mi riferisco, in particolare, alla fotografia di paesaggio, visto che era il genere di Ansel Adams, ma alcuni concetti si possono applicare a tutte le tipologie di immagini. Come Adams ragionava sull’estetica delle proprie fotografie, così anche noi, fotografi di oggi, possiamo immaginare quali scatti cercheremo di “portare a casa”, non solo relativamente alla scelta dei soggetti (primo piano della cima del Bianco, particolare della colata glaciale della Brenva, filare di larici ai piedi del Monte Rosa), ma anche alla loro interpretazione: tonalità scura e drammatica, oppure pastello, ricerca di un cielo sereno, o drammaticamente cupo, primo piano selezionato dall’uso di un teleobiettivo o immagine d’ampio respiro, con focale grandangolare e così via. Oppure, ancora, possiamo previsualizzare una foto, a colore o bianco e nero, anche se la fotografia di Adams era, nel 99% dei casi, in monocromia. Riferendosi, però, alla previsualizzazione non cambia nulla se ragioniamo in monocromia o a colore, anche perché, in fotografia, è sempre opportuno avere mentalità aperta.
Scelta dei soggetti e loro interpretazione, tramite previsualizzazione
Anche a proposito della fotografia professionale, il ragionamento riferito alla scelta dei soggetti da fotografare è determinante. Per illustrare, per esempio, un articolo o un itinerario per Montagna.TV, si scelgono i soggetti in anticipo. Per esempio, schematizzando e semplificando: inizio del cammino, tratto di sentiero inizialmente nel bosco, tratto di sentiero in zona di pascolo oltre la vegetazione, tratto di sentiero su morena o pietraia, arrivo al rifugio o bivacco o cima, meta finale del percorso descritto. Questa è la mera sequenza delle immagini. Per “entrare” in maniera più specifica nell’argomento “previsualizzazione”, facciamo un passo oltre, ragionando su come vediamo le immagini nella nostra mente, prima di scattarle. Per esempio un tratto di sentiero in primo piano, con le rocce, l’erba sul piano medio e le montagne sullo sfondo, oppure un prato fiorito ripreso con la fotocamera quasi a livello del suolo e le rocce delle Dolomiti sullo sfondo.
Conoscenza dei luoghi
E’ chiaro che il ragionamento di cui sopra presuppone una notevole conoscenza dei luoghi, sia da un punto di vista geografico, sia per quanto riguarda la stagione che condiziona l’eventuale presenza di fioriture o il colore della vegetazione, ma questo concetto dovrebbe essere quasi scontato sia per chi si reca in montagna per fotografare per professione, sia per chi scarpina per sentieri per passione, cercando però di ottenere immagini che vadano al di là della foto ricordo. Ovvio anche che per ottenere fotografie significative sia necessario, spesso, tornare più volte nello stesso luogo, anche per cercare le condizioni estetiche ritenute migliori per comunicare quello che si ha in mente o, semplicemente, per avvicinarsi il più possibile all’estetica previsualizzata in precedenza, prima di recarsi nel luogo prescelto per la propria sessione fotografica. L’esempio più semplice è la ricerca della luce bassa e radente, di taglio, quella che si trova nel momento vicino all’alba o al tramonto, oppure il tentativo di muoversi per raggiungere il punto di ripresa in una giornata dove il cielo è impreziosito di coreografiche nubi bianche che si stagliano da un limpido cielo azzurro. Diventa necessario, quindi, anche andare a cercare le condizioni di luce volute e attendere con pazienza.
Chiaramente nessuno dei concetti espressi in questo articolo vuole sminuire il nesso di casualità insito nella fotografia di montagna, dovuto anche al repentino cambiamento delle condizioni meteo proprio del nostro mondo verticale, che rende spesso necessario avere una certa elasticità mentale e la capacità di cambiare in corsa, anzi in camminata direi, la propria “scaletta mentale” dei soggetti, adeguandosi alla continua mutevolezza estetica del paesaggio. Anche in questo caso, però, prima di scattare, si previsualizza l’immagine, applicando di conseguenza la tecnica ritenuta necessaria.