Alpinismo

Team giapponese scala per la prima volta la parete Ovest del Thui II (6.523 m), in Pakistan

Si tratta di una delle aperture più notevoli di quest’anno. La montagna si trova nell’Hindu Raj vicino alla frontiera con l’Afghanistan

L’anno scorso, la squadra giapponese composta da Yudai Suzuki, Kei Narita e Yuu Nishida ha organizzato una spedizione nella remota catena dell’Hindu Raj, in Pakistan. I tre alpinisti hanno realizzato la prima salita al Ghamubar Zom V, e quest’anno hanno deciso di tornare. “L’anno scorso mi trovavo in vetta al Ghamubar Zom, e non posso dimenticare la bellissima vista del sole che tramonta dietro le montagne. Una di queste era il Thui II, la più ripida e seducente” ha ricordato Suzuki. Neanche a dirlo, l’obiettivo della spedizione di quest’anno è stata proprio la prima salita della parete Ovest del Thui II (6523 m). La montagna era stata scalata solo una volta, 46 anni fa, da un altro versante. 

Per gli alpinisti non è stato semplice fare ricerche su quest’area: l’unica informazione che sono riusciti a trovare in merito alla parete Ovest veniva da un team francese che aveva visitato la zona qualche anno fa. Ma i francesi ci erano stati in primavera, mentre i giapponesi volevano scalare in settembre. Sono finalmente incappati in una breve nota su ‘The Himalayan Encyclopedia’: “Thui II è il terzo picco per altezza della catena. Si dice che la sua guglia triangolare sia il picco solitario più magnifico dell’Hindu Raj”. Si prospettava una vera e propria avventura. 

Su terreno sconosciuto 

Durante l’acclimatamento, realizzato sul Rishit Peak, gli alpinisti sono riusciti a studiare il Thui II: “La nostra via consisteva in un pendio di neve nella parte bassa, e poi una parete verticale di ghiaccio e roccia. Il punto chiave sembrava essere proprio sotto la cima, a 6200 metri, quindi aveva tutta l’aria di essere una scalata avventurosa di quasi 1500 metri” ha scritto Suzuki. 

Arrivata la finestra di bel tempo, la cordata ha iniziato l’attacco in un singolo summit push in stile alpino. La prima parte è filata liscia, cercando le debolezze della parete. “Fortunatamente, a 5600 metri c’era una fessura accanto al ghiaccio, e siamo riusciti a salire con incastri e dry tooling. È uscito fuori un tiro di M7 con neve e ghiaccio nella fessura”. Seguono molti tiri difficili, con sezioni verticali e ghiaccio in fusione, fino ad arrivare a una cengia abbastanza spaziosa per il bivacco, a 5810 metri. 

Il secondo giorno, i tre hanno proseguito prima in conserva, poi in un ripido couloir di misto e ancora in uno stretto camino verticale. Alla fine della giornata, avevano salito circa 25 tiri, e mancavano solo 300 metri alla vetta. “Potevamo andare a destra o a sinistra, ma se fossimo andati a sinistra, la via si sarebbe infilata in un canale e sarebbe diventata noiosa, quindi abbiamo scelto la parete verticale di roccia sulla destra. A una prima occhiata sembrava impossibile da scalare, ma miracolosamente era piena di appigli, e anche la roccia era di ottima qualità. Nishida è salito con tecniche di dry tooling, eravamo a più di 6300 metri e ogni movimento mi lasciava senza fiato, e mi faceva male la testa” continua Suzuki. 

Cambio al comando

“Al quinto tiro, ho preso io il comando, ma la parete era cambiata improvvisamente, e guardando in alto ho visto una grande placca. Ho arrampicato fino alla sua base e ho visto una singola minuscola fessurina. Non potevo incastrare con i guanti, quindi ho scalato a mani nude a 6400 metri”. 

Dopo questa sezione di roccia, gli alpinisti si sono trovati ad alternarsi da primi di cordata sulle lastre di ghiaccio blu che li avrebbero portati in cima. Hanno raggiunto la vetta al tramonto, esausti per l’altitudine e il vento, e hanno deciso di bivaccare in vetta. “Quando mi sono svegliato la mattina dopo, il Ghamubar Zom V è apparso maestosamente davanti a me. Mi sono commosso a vedere la nostra linea così chiaramente, come se fosse tra le mie mani” ha concluso Suzuki. “Questa salita mi ha fatto realizzare una volta ancora quanto sia meraviglioso e libero l’alpinismo. Sono così contento di essere riuscito a scalare questa bella e selvaggia parete inviolata ai confini più remoti del Pakistan, con uno stile semplice e puro”. 

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