Gente di montagna

Buon compleanno Raffaele Carlesso

Il grandissimo Biri, come era soprannominato lo scalatore veneto nato il 15 settembre 1908, contribuì con le sue notevoli salite alla riscossa dell’alpinismo italiano nei confronti della “Scuola di Monaco”

“Io quando vado lassù mi sento sicuro come in chiesa perché la montagna è una fonte inesauribile di spiritualità, una scuola di vita senza fine”.

Raffaele Carlesso

Non ha praticamente lasciato testimonianze scritte Raffaele Carlesso, neppure relazioni delle tante via aperte dalle Alpi Carniche alle Giulie, passando per le Piccole Dolomiti, fino ad arrivare alle grandi pareti del gruppo del Civetta. Per lui hanno parlato i suoi capolavori e le testimonianze di coloro che negli anni li hanno ripetuti, confermando la bellezza e l’impegno straordinario richiesto dai passaggi sia in arrampicata artificiale che in libera. Caratteristiche che lo hanno inserito di diritto fra i grandi protagonisti dell’epoca d’oro del sesto grado.

La vita e l’alpinismo

Raffaele Carlesso nasce a Costa di Rovigo il 15 settembre del 1908. Quando lui ha solo 12 anni la famiglia si trasferisce in Provincia di Pordenone ed è proprio lì che Raffaele cresce e fa il suo incontro con la montagna.

Come tanti altri esponenti dell’alpinismo di quel periodo appartiene alla classe operaia: sin da ragazzino è avviato al lavoro nell’industria tessile locale, ma da subito dimostra grande intraprendenza e desiderio di migliorare le proprie condizioni economiche, passando da semplice operaio generico ad assistente ai telai e frequentando le scuole serali per conseguire il diploma di tecnico commerciale.

Il tempo lasciato libero dal lavoro e dallo studio lo dedica alla montagna iscrivendosi nel 1925 alla sezione locale del CAI. La sua prima passione è lo scialpinismo, ma ben presto il suo fisico minuto ma estremamente agile e scattante lo porta ad eccellere anche nella scalata. Proprio queste caratteristiche sono all’origine del soprannome “Biri”, che lo accompagnerà per tutta la vita e deriva alla spider della casa automobilistica torinese Chiribiri, una vettura sportiva molto in voga negli anni Venti.

La seconda metà di quel decennio rappresenta un periodo di straordinario fermento nell’alpinismo dolomitico: al dominio fino ad allora incontrastato della cosiddetta “Scuola di Monaco” si affianca la rivalità degli scalatori di origine italiana, impegnati nella gara per contendere ai rivali di area tedesca le prime salite delle pareti più impegnative. Carlesso è fra i migliori esponenti della nouvelle vague della scalata tricolore.

Il suo primo terreno di gioco sono le Dolomiti d’Oltrepiave, dove mette a segno ascensioni come quella della Parete Rossa del Monte Duranno, un itinerario di solido V grado che supera un muro di 300 metri ripido e strapiombante. Questi promettenti esordi gli valgono nel 1931 l’ammissione al Club Alpino Accademico Italiano: con i suoi 23 anni Carlesso è il più giovane socio del prestigioso sodalizio.

Nel 1932 si trasferisce da Pordenone a Schio, per lavorare alla Lanerossi, e poi a Valdagno, dove è impiegato come caposala al lanificio Marzotto. Questo trasferimento lo mette in contatto con l’ambiente alpinistico vicentino, dove stringe amicizia con il fuoriclasse Gino Soldà.

In cordata con il grande caposcuola mette a segno difficili ascensioni fra le pareti delle Piccole Dolomiti. Una su tutte la diretta alla parete nordest della Punta Sibele, aperta nel 1933, una linea che, stando alle valutazioni moderne, presenta passaggi in arrampicata libera che sfiorano il VII-.

In questo periodo nasce anche il sodalizio con Bortolo Sandri e Mario Menti, destinato a dar vita a grandi imprese. Uno dei primi frutti di questa collaborazione è l’ascensione dello spigolo est del Sengio della Sisilla, altra via destinata ad entrare nel mito delle Piccole Dolomiti, dove Carlesso e Menti superano difficoltà di VI+ e A1.

Il 1934 è l’anno che vede finalmente Carlesso misurarsi con le grandi pareti delle Dolomiti. L’esordio è alla Cima Grande di Lavaredo, dove “Biri” realizza la prima ripetizione italiana della Comici-Dimai, in cordata niente meno che con il grande Gian Battista Vinatzer. È un’impresa che racconta molto delle sue caratteristiche e del suo stile. La via di Comici è il simbolo della nuova dimensione acrobatica dell’alpinismo dolomitico: una linea a goccia d’acqua, che supera spettacolari strapiombi facendo ricorso alle più moderne tecniche della scalata artificiale. Il suo compagno in quell’avventura è invece il simbolo imperituro della grande arrampicata libera. Carlesso saprà raccogliere queste due eredità, portandole alla loro massima espressione per quel periodo.

Pochi giorni dopo Carlesso è di nuovo sulle orme di Comici, compiendo con Hans Demuth la ripetizione della sua via alla parete nordovest del Civetta.

È ormai tempo per lui di lasciare anche la sua firma fra le rocce della “Parete delle pareti”. Fra il 7 e l’8 agosto, con Bortolo Sandri, affronta e risolve l’impressionante parete sud della Torre Trieste, aprendo una linea di grande impegno per quanto concerne i passaggi in artificiale, ma ancor più impressionante per i passaggi affrontati in libera, considerata come una fra le prime vie di VI grado superiore. Nell’ambiente alpinistico degli anni Trenta l’impresa, pur avendo grande risonanza, passerà un po’ in secondo piano rispetto a salite come quella della parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, caratterizzate da un percorso ancora più strapiombante e dall’applicazione più sistematica delle tecniche di utilizzo dei chiodi e delle corde. Nei decenni successivi, però, la Carlesso-Sandri alla Torre Trieste manterrà costante la sua fama di itinerario estremamente impegnativo tanto da essere ancora oggi un banco di prova rispettato e temuto dagli scalatori dolomitici. Per le straordinarie ascensioni compiute in quel magico 1934, l’anno successivo Carlesso diverrà il primo alpinista ad essere premiato con la medaglia d’oro al valore atletico.

Due anni dopo il capolavoro della Torre Trieste, per lui è di nuovo tempo di lasciare un’impronta indelebile nell’alpinismo dolomitico. Assieme a Mario Menti prende di mira la parete nordovest della Torre di Valgrande, sempre nel gruppo del Civetta. La via sale per 500 metri e i passaggi più difficili sono concentrati nella prima metà. Il tratto chiave è rappresentato dal superamento di un tetto orizzontale di quattro metri, che presenta difficoltà in arrampicata artificiale che nessuno fino ad allora aveva osato affrontare su una grande parete, seguito da una temeraria uscita in libera su roccia di pessima qualità: “Anche quella della Torre di Valgrande è stata una bella salita – testimonierà lui stesso nel libro “La grande Civetta” di Alfonso Bernardi – […] Venir fuori da quel soffitto della Valgrande è una cosa impressionante e, poi, sopra è tutto marcio. Ad un certo punto, non sapevo più come fare. Ho messo un chiodo sottile come un filo d’erba e mi ha tenuto su. Era una salita che non dava respiro…”.

Dopo questa ascensione l’attività in montagna di Carlesso prosegue sempre intensissima, anche se le vicende della vita lo allontanano parzialmente dall’alpinismo di punta. Nel 1941, infatti, dopo il matrimonio con Mariuccia Ciprian e la nascita della figlia Paola, si trasferisce a Macomer, in Sardegna, per lavorare come dirigente di una fabbrica di coperte per l’esercito. Nel 1946 fa rientro a Pordenone, avviando un fiorente commercio di tessuti e tornando a frequentare le pareti, sempre con una passione e una capacità che sembrano non conoscere l’inevitabile passare del tempo, tanto che, nel 1961, è di nuovo all’onore delle cronache per l’apertura di una bella via di VI grado lungo la fessura est del Campanile di Val Montanaia.

Per il suo straordinario contributo all’evoluzione dell’alpinismo, nel 1996, gli viene assegnata la medaglia d’oro del Club alpino italiano dall’Assemblea dei Delegati riunita a Cuneo.

La lunga e avventurosa vita dell’indomabile “Biri” si conclude il primo maggio del 2000 al Policlinico San Giorgio di Pordenone.

Libri

  • Raffaele Biri Carlesso, Roberto Barato e Roberto Bianchini, CAI Pordenone, 2008
  • Al Sole delle Dolomiti, Severino Casara, Hoepli, 1947 e 1950
  • Uomini del Sesto Grado, Aurelio Garobbio, Baldini & Castoldi, 1963
  • La Grande Civetta, Alfonso Bernardi, Zanichelli, 1971
  • Sesto Grado, Vittorio Varale, Reinhold Messner e Domenico Rudatis, Longanesi, 1971
  • 50 anni di Alpinismo pordenonese, Tullio Trevisan, CAI Pordenone, 1975
  • Storia dell’alpinismo nelle Piccole Dolomiti Vicentine, Gianni Pieropan, La Grafica, 1977
  • Il Libro d’Oro delle Dolomiti, Severino Casara, Longanesi, 1980

Per noi il chiodo era sempre una profanazione della montagna. Usavamo i chiodi per sicurezza e, prima di mettere un chiodo, era come se fossimo andati a confessarci”.

Raffaele Carlesso

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