Alpinismo

Nives Meroi e Romano Benet sono partiti per la loro nuova spedizione in Himalaya

Gli alpinisti tenteranno di salire due settemila, lo Yalung Peak e il Kangbachen, in cordata con Peter Hámor. Saliranno dal magnifico scivolo della parete Sud e valuteranno la via di discesa diretta tra i seracchi.

Questa mattina alle 8.40 Nives Meroi e Romano Benet, sono ripartiti alla volta dell’Himalaya, diretti per la sesta volta nel gruppo del Kangchenjunga, tra i “cinque forzieri della grande neve”. È qui che hanno individuato una nuova via di salita su un versante inesplorato della catena, quello meridionale.

Visto in fotografia, l’invito alla parete dello Yalung Peak (7590 m), meta della spedizione dei tarvisiani e dello slovacco Peter Hámor, appare come uno scivolo lineare di grande bellezza. La foto pubblicata sui social da Hámor, è stata scattata nei pressi della catena dei Kabru, dove nel 2023 la cordata tarvisiana, assieme allo stesso slovacco e allo sloveno Bojan Jan, ha aperto Diamonds on the Soles of the Shoes (liberamente ispirata alla canzone di Paul Simon, ndr), più precisamente sul Kabru IV (7318 m).

In tre per una parete inviolata

L’assetto, quest’anno, è in cordata da tre, l’ideale per avventure in stile alpino in ambienti  del genere, spiega Romano al telefono: “uno arrampica, uno porta i carichi e uno fa sicurezza e poi ci si alterna. In cordata da due è più complicato, perché il secondo deve caricarsi tutto il peso”.

Nives e Romano hanno studiato per bene la via di salita nel 2019, dalla quota 5100 metri del campo base del Kangbachen, di cui avevano tentato la salita passando per l’immensa seraccata della stessa parete sud, a destra dello scivolo dello Yalung. 

Il nostro progetto era andare a esplorare una possibile via di discesa, perché calarsi in corda doppia direttamente, lungo 2700 metri di dislivello, diventa impegnativo per cui, avendo in mente di scendere dalla cresta che unisce Yalung e Kangbachen (7902m), da quota circa 7600 dove c’è anche un tratto “lisciocon pendii non ripidi, abbiamo percorso la zona tra i seracchi. Purtroppo siamo rimasti bloccati da spaccature molto grandi, impossibili da superare in salita, senza scalette”. 

La via di discesa, se tutto va secondo i piani, passerà comunque di lì. 

Romano – obietto timidamente – ma dalla foto sembra una seraccata enorme: un dedalo!”. “Eh sì – ribatte lui – però basta girarci un po’ dentro e cercare. Sai, – aggiunge facendosi una risata – noi ci siamo abituati! Comunque sicuramente, rispetto a cinque anni fa, le cose saranno cambiate. Bisogna andare lì e metterci il naso: lo faremo nei giorni di acclimatamento dal campo base”.

La via per lo Yalung sale su pareti di roccia e ghiaccio con pendenze che si aggirano sui 60° gradi di media e l’obiettivo è quello di fare al massimo due campi intermedi, più uno nei pressi della cima. “La linea è bellissima, infatti attira perché ha una sua logicità: sarà forse un problema trovare possibilità di bivacco perché mi pare un po’ liscia (ride ancora)”.

Questa cima è stata già salita nel 1965 da una cordata di sloveni.
Sì, dal versante Nord. Sono arrivati fino alla cresta, volevano tentare la cima del Kangbachen ma non sono andati avanti, per qualche difficoltà legata al meteo. Poi però il Kangbachen lo hanno salito nel 1974, a cinque mesi di distanza dai polacchi, che erano saliti in primavera”. 

Lo Yalung Peak inoltre non è nell’elenco nepalese delle cime scalabili.
Esatto, e per questo Nives temeva che incorressimo in qualche ostacolo burocratico: abbiamo cercato allora un escamotage, chiedendo il permesso per il Kangbachen, per raggiungere il quale dobbiamo necessariamente passare dallo Yalung. Le due cime sono separate da un plateau di circa un chilometro, oltre che da circa 250 metri di dislivello.

La collaborazione con Peter Hámor “più dell’est di noi”

Il trio potrà comunque elaborare un programma di azione in base alle previsioni meteo, anche perché l’attacco della parete dista soltanto un’ora di cammino dal campo base. 

Con Peter Hámor, che ha un paio di anni in meno di Romano, i tarvisiani si sono conosciuti nel 2012, durante il loro secondo tentativo al Kangchenjunga – al rientro in attività di Romano dalla malattia superata, i cui sintomi si erano verificati nel 2009 proprio salendo al Kangch -, quando Hámor era salito in vetta da solo. Sono poi stati suoi ospiti al festival di Poprad, in Slovacchia, organizzato dalla moglie di Hámor, per ritrovarsi infine nel 2023 quando hanno affrontato il Kabru IV in due cordate. “Che differenze avete tu e Peter nell’approccio alla montagna?”, chiedo. “Lo stesso approccio tecnico, però lui… è ancora più dell’est (e di nuovo ride)”.
In che senso, puoi spiegarti meglio? Intendi forse un po’ più “alla Kukuczka?” ribatto. “Sì, sai, lui ha passato una vita coi polacchi e ha preso quella mentalità da avanti a tutti costi, anche se non trascura la sicurezza. Però ha più determinazione di me: io dopo un po’ mi stufo”.

Da Lubiana un aereo li porterà a Kathmandu con uno scalo a Istanbul. Nella capitale nepalese sosteranno pochissimo, per ripartire con un altro volo per Biratnagar. Seguiranno due giorni in autobus fino al confine con l’India, poi un altro in jeep e infine il trekking a piedi in direzione del campo base del Kangchenjunga. In tutto la spedizione durerà circa 45 giorni.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close