Turismo

Sentieri, musei, chiesette e alpeggi nel piccolo mondo antico di Vendrogno

Il paese affacciato sul Lago di Como è meta di un interessante viaggio nel passato. E punto di partenza per notevoli escursioni

Trecento abitanti suddivisi in sette frazioni con ben 13 chiese, una densità da far invidia anche al Vaticano. Siamo a quota 750 metri, sul lago di Como proprio sopra Bellano, il paese famoso per l’Orrido – la gola creata dal torrente Pioverna – e per aver dato i natali al medico scrittore Andrea Vitali. Vendrogno è il capoluogo della Muggiasca, e con Noceno, Sanico, Mornico, Inesio, Mosnico e Comasira ha smesso di essere un comune autonomo nel 2020, quando i borghi e gli alpeggi sono stati inglobati da Bellano. Non sono solo le chiese e la vista sul lago a colpire il visitatore. In centro paese, si staglia un edificio enorme, di sapore ottocentesco, che non ci si aspetta di trovare in un paese così piccolo. È il Collegio Giglio, che ha un’interessante storia da raccontare.

Dal 2008, Vendrogno ha anche un museo: il MUU, Museo del latte e della storia della Muggiasca, ospitato nei locali dell’ex latteria turnaria del paese, dove ogni giorno i contadini portavano il loro latte, che veniva pesato e segnato sui libretti, poi lavorato per ricavare burro e formaggi. Il museo etnografico conserva gli strumenti utilizzati per la lavorazione e mostra il percorso del latte, che veniva posto nelle ramine per far affiorare la panna, la parte più preziosa impiegata per ottenere il burro.

Non erano ricchi, i contadini della Muggiasca. «Il burro non era consumato dalle famiglie», spiega Wilma Milani, esperta di storia locale e membro del direttivo dell’associazione Pro Vendrogno. «Veniva venduto a Bellano, al mercato o portato ai clienti. Erano solitamente le donne a farsi carico di questa incombenza. Scendevano al lago portando anche uova, verdura, legna e carbone di legna per guadagnare qualche soldo e poter comprare quanto serviva alla famiglia e non poteva essere prodotto in paese. Per esempio, il riso o lo zucchero».

Non esistevano grandi allevatori a Vendrogno e nelle frazioni. Ogni famiglia aveva da una a tre mucche per il proprio sostentamento. Alla latteria turnaria, una volta separata la panna, si continuava il processo necessario a ottenere i formaggi, che erano magri o tutt’al più semigrassi, perché la panna era stata tolta. C’era anche un locale i prodotti caseari in cui venivano lasciati a stagionare.

La gente del luogo cercava di sopravvivere strappando alla montagna tutto quello che poteva. Come testimonia anche il museo, i boschi erano una fonte fondamentale di legna. E poi, i castagneti – tenuti con grande cura – erano fonte di una farina che integrava l’alimentazione umana e animale. «Si coltivavano gli orti e si curavano i campi da fieno», aggiunge Milano. «E poi, c’erano anche alcuni vigneti, da cui si otteneva il “nustranèl”, il vino del luogo».

La vita dei contadini era scandita dalle stagioni: l’orto e la vigna nelle frazioni impegnavano le persone a primavera, poi d’estate si saliva con le mucche agli alpeggi. «Agli inizi del Novecento, c’erano sei alpeggi attivi. Di questi tre sono ancora utilizzati –  Alpe Chiaro, Alpe Camaggiore e Alpe Tedoldotenuti in vita da alcuni alpigiani che vengono dalla Valtellina con i loro animali e ospitano anche le poche mucche rimaste nella Muggiasca. Vale la pena d’estate fare un giro da quelle parti: alcuni vendono in alpeggio i loro formaggi e la ricotta, ottenuti con il latte estivo che profuma di erbe e fiori».

Viene il sospetto, visitando la zona, che il passato di Vendrogno e delle frazioni sia stato più prospero e vivace. A Noceno, così isolato da essere stato raggiunto da una strada carrozzabile negli anni Settanta, c’è una chiesa dedicata a San Gregorio Magno, già citata nel XIII secolo. A Sanico, ci sono case settecentesche con portali decorati, costruite dai valligiani che lavoravano per la Serenissima. A Inesio stazionava nel Medioevo una guarnigione di soldati del Ducato di Milano che combatteva i veneziani. E poi, nel borgo fortificato di Bruga, a Vendrogno, ci sono due edifici con affreschi del Trecento e del Quattrocento.

Come fa notare Milani, in due chiese, nel giro di un chilometro, ci sono ci sono due raffigurazioni affrescate di San Cristoforo, protettore dei viandanti. Siamo sulla mulattiera che portava dal lago alla Valsassina, che evidentemente è stata un’arteria di percorrenza, in passato. Vendrogno è arrivato a contare fino a 900 abitanti negli anni Trenta, mentre le parrocchie della Muggiasca erano due. Noceno fino agli anni Ottanta, infatti, aveva il suo parroco. Il processo di spopolamento, iniziato nel secondo dopoguerra, ha modificato il tessuto sociale della zona.

L’imponente edificio, ormai un po’ malridotto, che spicca a Vendrogno è il Collegio Giglio. Il suo nome evoca la figura più illustre nella storia del borgo: Pietro Giglio. «Nacque nel 1815, la sua era una famiglia di possidenti. Dall’archivio parrocchiale i Giglio erano presenti a Vendrogno dal XVI secolo», racconta Milani. Pietro è un giovane brillante negli studi: dopo la laurea in Ingegneria idraulica e meccanica, lavora in giro per l’Italia e anche all’estero. Progetta anche una macchina oggi esposta al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Malgrado i suoi impegni di lavoro lo portino lontano, il suo legame con Vendrogno rimane forte, tant’è che ritornerà e farà il sindaco del suo paese per dieci anni, adoperandosi per promuovere lo sviluppo della Muggiasca.

A Inesio, sulla mulattiera per Narro, fa costruire un incannatoio per la lavorazione della seta, dato poi in affitto ai setaioli Gavazzi, che offriranno lavoro alle donne del luogo fino agli anni Trenta. Le mani delle contadine erano già esperte: molte di loro coltivavano e cardavano la canapa, e dalle pecore di casa ottenevano la lana. La presenza del telaio nelle abitazioni non era rara. «Pietro Giglio progettò anche una strada, per collegare Vendrogno con la Valsassina, ma non fu mai realizzata per la contrarietà degli abitanti», spiega Milani.

«I residenti avevano il diritto di pascolo sugli alpeggi comunali. Chissà, forse temevano che l’arrivo di forestieri attraverso la strada li avrebbe costretti a condividere questo privilegio». Giglio muore nel 1883 senza lasciare eredi: né lui, né le tre sorelle avevano avuto figli. Lascia 200 mila lire dell’epoca per creare un’Opera Pia finalizzata all’istruzione professionale dei compaesani e della gente di Bellano e Introbio, in particolare al lavoro di casaro e agricoltore.

La scuola apre le porte nel 1886, ma già dieci anni dopo sorgono dei problemi. Diventa Collegio Pietro Giglio, gestito da un religioso, don Spandri. Durante il fascismo è sede di colonie estive, poi dopo il 1945 l’edificio è affittato dai Salesiani, che lo gestiscono fino al 1984.  A questo punto non è più scuola professionale, ma sede delle scuole medie. L’edificio intanto inizia a invecchiare e richiede una ristrutturazione, che si prospetta molto costosa. Nel 1986 subentra la comunità “La casa del giovane” di don Boschetti fino ai primi anni Duemila.

Da allora il Collegio, diventato di proprietà comunale, è una scatola vuota, il cui uso andrebbe rivisto in chiave contemporanea. C’è stato un bel progetto presentato dal Comune di Bellano per una casa di riposo per artisti da finanziare con il PNRR, purtroppo non andato in porto. L’ultracentenario edificio, che sembra quasi un ecomostro nel cuore di un borgo così piccolo, è il testimone silenzioso di un’era di generosa filantropia.

Oggi raggiungere Vendrogno non è più complicato come ai tempi di Giglio: una carrozzabile di 7 km unisce il paese a Bellano, mentre la strada auspicata dall’ingegnere verso la Valsassina è stata realizzata negli anni Trenta. Dal paese e dalle sue frazioni sulle pendici del Monte Muggio (1799 m) si dipartono interessanti itinerari.

Il tour degli alpeggi porta da Mornico (970 m) all’alpeggio di Tedoldo (1230 m), poi a quello di Chiaro (m.1550 m) lungo un percorso che offre una vista interessante sulla Grigna. Da Chiaro si raggiunge il belvedere sul lago di Cantun de Ciar, da cui procedere verso il terzo alpeggio ancora in uso, quello di Camaggiore (1210 m) dove ci si può fermare al Rifugio Ragno e godere di un eccezionale panorama che dalla vicina Grigna settentrionale spazia fino al lago di Lugano e al Monte Rosa. La discesa verso Mornico passa attraverso un bosco di castagni monumentali.

Un altro itinerario porta alla cima del Muggio. Si parte dall’Alpe Giumello (1540 m) e ci si dirige verso il Passo del Lupo (1730 m.), poi verso la vetta. Il panorama dalla Croce di Muggio è spettacolare, ma gli fa concorrenza la vista dall’anticima dei Comolli (1775 m). L’abbondanza delle mete tra cui scegliere non dispiace a nessuno.

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