Alpinismo

Ama Dablam: “la più bella sono io”

Centinaia di alpinisti affrontano ogni anno l’ammaliante piramide del “seimila” nepalese. L’abruzzese Ernesto Macera Mascitelli ci spiega il fascino e le difficoltà della salita

Sulla valle del fiume Dudh Kosi, tra le montagne del Nepal, si affaccia una delle vette più eleganti del mondo. L’Ama Dablam, il “Cervino dell’Himalaya”, quota ufficiale 6814 metri (sui libri e sul web compaiono anche 6812, 6846 e 6850), lascia a bocca aperta le decine di migliaia di trekker che passano ai suoi piedi ogni anno.

Il trapezio di neve e roccia dell’Ama Dablam fa da sfondo a un numero infinito di foto scattate dal meraviglioso sentiero che da Namche Bazaar si dirige a mezza costa verso est, scende al ponte di Phunki e risale al monastero buddhista di Tengboche, cuore del mondo degli Sherpa. Altre immagini vengono scattate da Pangboche, da Pheriche, dal sentiero che conduce a Dingboche. Il profilo dell’Ama Dablam, che cambia a seconda dei punti di vista, contribuisce a renderlo affascinante.

Ho visto molte grandi montagne, qualcuna l’ho anche salita, ma l’Ama Dablam è speciale. Da lontano ti affascina, quando lo affronti ti regala un’adrenalina pazzesca” spiega Ernesto Macera Mascitelli, ingegnere e alpinista abruzzese che vive e lavora a Olbia, in Sardegna. “Qualche anno fa ho salito il Gangapurna, 7455 metri. Tra un mese dovrei partire per l’Himlung Himal, 7126 metri, presso l’Annapurna. L’Ama Dablam è più basso, ma offre un’ascensione straordinaria”.

La storia alpinistica del più celebre “seimila” del Nepal inizia nel 1961, durante una delle spedizioni organizzate da Edmund Hillary, il neozelandese che otto anni prima aveva salito l’Everest insieme allo sherpa Tenzing Norgay. Ora Sir Edmund esplora le valli del Khumbu, inizia i suoi interventi per costruire ponti, scuole, dispensari e l’aeroporto di Lukla. Tra gli amici che lo aiutano ci sono ottimi alpinisti come i neozelandesi Mike Gill e Wally Romanes. Sono loro, nel 1961, insieme all’inglese Michael Ward che ha avuto un ruolo importante nella vittoriosa spedizione del 1953, e all’americano Barry Bishop che arriverà sull’Everest nel 1963, a raggiungere per primi la cima dell’Ama Dablam. Due anni dopo, durante un’altra spedizione Hillary, una cordata sale il vicino e altrettanto spettacolare Thamserku, 6608 metri. Le due salite, compiute con materiale da ghiaccio tradizionale, sono exploit straordinari. Non le approva il governo di Kathmandu, che sta mettendo in piedi il sistema dei permessi a pagamento per le ascensioni. Ma Hillary è Hillary, e se la cava con lettere di protesta e multe da poche decine di dollari.

Oggi la situazione è completamente diversa. L’Ama Dablam, prima e dopo il monsone, viene preso d’assalto. La cifra di 81 permessi, che il Ministero del Turismo nepalese ha diffuso da poco, dev’essere presa con le molle, perché l’autorizzazione per i “seimila” costa poco (400 dollari contro i 10.000 dell’Everest) e viene concessa in poche ore, quasi come un permesso di trekking. Oggi le agenzie nepalesi, dalla Seven Summit Treks alla Elite Exped di Nirmal Purja, si sono spostati dagli “ottomila” all’Ama Dablam, e gli 81 clienti si sono moltiplicati.

Un anno fa, a ottobre del 2022, la conca ai piedi dell’Ama Dablam non bastava per contenere i campi-base, e molte spedizioni si sono dovute accampare più in basso” spiega ancora Ernesto Macera Mascitelli, che è salito in vetta a dicembre. “In Italia ho molto lavoro, per me partire durante le vacanze è più facile. Salire ad alta quota d’inverno è più duro, ma non si trova nessuno. Sull’Ama Dablam eravamo solo io e il mio sherpa Pasang”.

Oltre il campo-base, gli aspiranti all’Ama Dablam non trovano un percorso facile. Il blogger statunitense Alan Arnette, che è arrivato in vetta nel 2000, ha scritto di una montagna “tecnica e ripida”, “meno fredda ma più difficile del Denali”, la cima più alta dell’Alaska. Il crollo di una parte del seracco dell’anticima, che nel 2008 ha ucciso sei alpinisti al campo III, ha complicato ulteriormente le cose.

Secondo l’abruzzese, la normale dell’Ama Dablam è “una salita bestiale dal punto di vista fisico perché il terreno è sempre molto ripido. Si sale lungo le corde fisse, con le jumar, ma la pendenza costringe a faticare per tirarsi su. Si passa continuamente dal ghiaccio alla roccia e viceversa, con i ramponi ai piedi, e anche questo rende l’ascensione faticosa”. A metà circa della via Yellow Tower, la “Torre Gialla”, è il passaggio più impegnativo. Non bisogna sottovalutare la cresta sommitale, che Ernesto definisce “una lama di ghiaccio impressionante”. “Quando arrivi alle bandierine della cima ti rendi conto di aver raggiunto una montagna unica”.

Sui fianchi dell’Ama Dablam, dopo la prima salita del 1961 sono state aperte numerose altre vie. Tra queste la via aperta in solitaria dall’americano Jeff Lowe sulla parete Sud (1979), la cresta Nord salita da un team francese (stesso anno), lo Sperone Nord vinto dagli australiani Tim McCartney-Snape, Lincoln Hall e Andrew Henderson (1983), la parete Nord-est superata d’inverno dagli americani Michael Kennedy e Carlos Buhler nel 1985.
Nel 1996, la Stane Belak Šrauf Memorial Route, aperta dagli sloveni Vanja Furlan e Tomaž Humar, viene premiata con il Piolet d’Or. Nel 2021, la guida valdostana François Cazzanelli sale dal campo-base alla vetta in 5 ore 32 minuti e 6 secondi.

Quattro anni prima, nel 2017, il film “Ama Dablam. La montagna sacra” di Reinhold Messner racconta gli eventi dell’ottobre 1979, quando una spedizione neozelandese che comprende Peter Hillary, figlio di Sir Edmund, viene travolta da una valanga, e il team tirolese-altoatesino di cui fa parte Reinhold si trasforma in una spedizione di soccorso.

Quanti alpinisti hanno toccato la cima dell’Ama Dablam? Chi è lo Sherpa che è salito più volte sulla cima? Sui “seimila” le statistiche sono meno precise che per l’Everest e gli altri giganti. Secondo Alan Arnette, fino al 2008 le ascensioni alla cima erano state 1900, con 18 incidenti mortali. Oggi, probabilmente, gli alpinisti che hanno raggiunto la vetta sono arrivate a circa 3000, ma il condizionale è d’obbligo.

Gli Sherpa sono bravissimi, riescono a far muovere i clienti con sicurezza anche in luoghi espostissimi”, conclude Ernesto Macera Mascitelli, “ma la normale dell’Ama Dablam resta seria e pericolosa. Il governo del Nepal non dovrebbe esagerare con i permessi, ma l’esperienza dell’Everest indica che la direzione è un’altra

Chi vuole, e ha un budget e un allenamento sufficiente, può organizzare il proprio viaggio per il 2024. Le agenzie nepalesi chiedono circa 10.000 dollari a cliente, più il volo dall’Europa e il bonus per gli Sherpa se si raggiunge la vetta. Gli organizzatori a stelle e strisce come Madison Mountaineering sono più cari, con un prezzo pubblicato di 17.000 dollari. La “montagna dei desideri” compare sui siti di varie guide alpine e di alcune agenzie specializzate italiane. Attenzione però, l’Ama Dablam non è il Kilimanjaro o l’Aconcagua, e nemmeno il vicino e frequentato Island Peak. Per affrontarlo occorrono preparazione fisica, grinta e abitudine a muoversi con disinvoltura sul ripido.

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