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Solo regole e convenzioni. Con la pretesa che possano salvarci

Un approccio corretto e responsabile alla montagna vale più di ogni norma o divieto

Dopo l’estate, dopo la conta degli interventi del Soccorso Alpino, da più parti si leva il lamento di chi vorrebbe “punire” gli incauti frequentatori dell’Alpe che si sono messi nei guai con leggerezza o senza attrezzature adeguate.

Fategli pagare il conto! Multe salate così imparano! Sono solo alcuni tra i tanti proclami che circolano su carta stampata e web, con decine di invettive che colpevolizzano i ciarlatani della montagna, i merenderos delle cime, rei di aver messo inutilmente a repentaglio le squadre del Soccorso Alpino o addirittura d’aver rallentato i più “attrezzati” gruppi del Club Alpino.

Giubbetto catarifrangente obbligatorio! Indispensabile per la ricerca.

Guida alpina obbligatoria! Per garantire la sicurezza.

Patentino obbligatorio! Per dissuadere gli incoscienti.

Fissare regole più stringenti! Come stabilito ad esempio sulle piste da sci.

Questi slogan strampalati, assieme alle intemerate enunciate da una vasta platea di “esperti”, dall’avventore del bar e persino da qualche incauto professionista, sono la conferma di come il vano tentativo di abolire la complessità dei problemi non è mai risolutivo, specie in un ambiente indefinito e variabile come la montagna, assai distante da un impianto sportivo, una piscina o una palestra.

La facile soluzione a problemi complessi cattura l’attenzione, senza produrre alcunché, mentre mai l’attenzione la si rivolge alla relazione con gli ambienti naturali e con noi stessi.

Alla predisposizione a “sentire” le cose ancor prima di conoscerle, al promuovere la percezione, l’attenzione e osservazione, prima ancora che attendere il via libera da qualcuno o qualcosa.

Mai sul come.
Mai un cenno di proposta che implichi un granello di crescita individuale e collettiva.
Solo regole e convenzioni, con la pretesa, inattuabile e demagogica, che possano salvarci e rappresentino la verità, come in una catena di montaggio, spingendoci a dimenticare che siamo umani e sollevandoci dalla responsabilità.

Si cancella ogni ricerca delle virtù creative, delle qualità che ciascuno può esprimere, dell’intelligenza, desiderio e bellezza, che sono gli unici e autentici capisaldi della nostra capacità di muoversi in natura, comprendere quel che accade e condizionare i nostri comportamenti, idonei o inidonei che siano.
E’ incredibile come ci si faccia attirare e abbindolare dai “venditori di sicurezza”, di come siamo disposti a rinunciare agli ultimi spazi di libertà, fisica e mentale, che ci rimangono, in nome di inafferrabili certezze.

Dove sta il confine se si inizia a far pagare il soccorso a un maldestro e avventato escursionista o alpinista?

Come ci si comporterà con il guidatore preso dall’ebbrezza della velocità che va a schiantarsi mentre corre oltre i limiti? Con l’obeso divoratore di cibo spazzatura? Il diabetico ostinato bevitore di bibite zuccherate? L’alcolista di nuovo ubriaco? Forse il problema e la sua soluzione vanno ben oltre qualche multa e ottusa norma…

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5 Commenti

  1. Pienamente d’accordo con l’articolo che lascia la conclusione ai puntini di sospensione… Lo concludo io con il mio personale pensiero che parte da numeri certificati: fatto 100 il numero dei feriti per incidenti, quelli in montagna rispetto a quelli sulla strada sono circa 3, il resto sono stradali, spesso (dato non statistico) dovuti alla distrazione dell’automobilista.
    Detto questo la mia conclusione è: che ci lascino andare in montagna e prenderci i rischi che sentiamo di prenderci e che la si smetta con la morale da maestrini e regole su regole (es. l’ARTVA obbligatorio anche se vado a fare una semplice camminata sulla neve, assurdo!).
    In alcuni casi ci penserà la selezione naturale e in altri il preziosissimo soccorso alpino che, se riesce a salvarci, bene e grazie, e se non ce la fa pazienza (non ricordo casi in cui il soccorso alpino sia stato sensatamente biasimato perché non ce l’ha fatta a salvare qualcuno).
    Tutto questo lo scrive uno che, se ancora scrive, lo fa grazie a un provvidenziale intervento del soccorso alpino avvenuto 30 anni fa e che ancora ringrazia ogni giorno.

  2. Tutta fuffa! Non si risolverà mai il problema… ma intanto la regola “chi sbaglia paga” se non risolve almeno tempera e limita!

    1. Chi lo decide se ho sbagliato e devo pagare? Tu? Se inciampo su una radice e mi rompo una gamba devo pagare, ma se mi schianto ubriaco contro un muro è gratis? Ho il leggero sospetto che tu non abbia capito il senso dell’articolo…

  3. Vorrei tanto dire che l’ articolo mi trova d’ accordo completamente e invece dico che l’ articolo cade in errore; sì, perchà rappresenta una delle due facce della stessa medaglia; noi viviamo infatti sempre più in tipo di società che, da una parte, è finalizzata al sicurismo assoluto e fine a se stesso, immotivato: ARVA obbligatorio, sempre e comunque, green pass, ecc. dall’altra si indirizza verso modelli di “tolleranza” basati su ideologie o convenienze economiche, come l’ immigrazione incontrollata decisa dagli scafisti, lo sviluppo di nuovi impianti a fune in zone selvagge, es. Cime Bianche (Monte Rosa) e Tonale.
    Ma un giusto equilibrio? Mai? Se un lettore su un sito web dice che un tizio che pretende di attraversare un ghiacciaio senza ramponi è solo uno sprovveduto, usando un eufemismo, ha ragione e basta; il tale in questione mette eventualmente a rischio il personale del soccorso alpino, che viene inutilmente sottratto ad eventuali interventi realmente motivati.

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