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Seggiovie monoposto: le nove superstiti non vogliono cedere il passo

Sono ancora in perfetta forma e risalgono lentamente i pendii dall’Alto Adige alla Campania. Quegli scomodi seggiolini raccontano un pezzo di storia delle nostre montagne. Da rileggere, e rivivere, con affetto

“Dal cucuzzolo della montagna / Con la neve alta così / Per la valle noi scenderemo / Con ai piedi un paio di sci”. Così, nel 1963, la diciottenne Rita Pavone accompagnava dalle autoradio e dai juke-box le prime vacanze di massa degli italiani sulla neve. Erano gite e vacanze eroiche, affrontate con sci lunghissimi e pesanti, scarponi di cuoio, strade spazzate solo in parte e le catene al posto delle gomme termiche. Molti neofiti scoprivano la montagna e lo sci con le gite in pullman organizzati da dopolavoro e associazioni, con partenze prima dell’alba e ritorno in città a notte fonda.

Rita Pavone, in quegli anni, impazzava anche con Il ballo del mattone e La partita di pallone. Le parole di Dal cucuzzolo erano di un altro grande del tempo, Edoardo Vianello, quello che con i suoi Watussi, tra un “paraponziponzipò” e l’altro, ha insegnato agli italiani l’esistenza del Kilimanjaro, la montagna più alta dell’Africa.

Grazie alla terza strofa di Sul cucuzzolo, è entrato nel cuore degli italiani un mezzo di trasporto fino a quel momento ignoto ai più. “Con una lunga, lunga, lunga seggiovia / Sulla cima tutta bianca torneremo” cantava la Pavone. Dopo le risalite a piedi, dopo gli slittoni degli anni Trenta e Quaranta, si faceva largo sulle nevi italiane (e non solo) un mezzo di trasporto affidabile, sicuro e relativamente economico da installare.

A favore delle prime seggiovie, rigorosamente monoposto, giocava anche la possibilità di utilizzarle in estate, quando gli slittoni dovevano restare fermi. Gli escursionisti che le utilizzavano per abbreviare le loro gite avevano zaini di tela, maglioni di lana, pantaloni alla zuava e camicie a scacchi. C’erano anche turisti con abbigliamento da città, e la loro presenza faceva crescere il fatturato degli impianti.

Uno sguardo ai blog di appassionati degli impianti a fune ci riavvicina a quegli anni. “Quando hanno tolto la monoposto dalla Baita Segantini al Passo Rolle sono entrato in lutto! Era una meraviglia! Salire da solo con davanti lo spettacolo delle Pale!” scrive un appassionato. “Ho ancora gli incubi di quelle poche volte che ho fatto la monoposto delle Regine all’Abetone, tempo di risalita intorno ai 19 minuti” aggiunge una voce dalla Toscana. “Noi biellesi diciamo che chi impara a sciare lì va ovunque” spiega un piemontese a proposito del Monte Camino di Oropa, dove la prima seggiovia (ditta Carlevaro-Savio) è stata inaugurata nel 1948 e ha funzionato fino al 1967.

E’ difficile calcolare quante seggiovie monoposto siano state costruite sulle Alpi e sull’Appennino nel dopoguerra. Gli ambientalisti possono rovesciare in negativo i ricordi gioiosi che arrivano da Zoldo, Passo Rolle e da Oropa, e dire che proprio grazie a questi impianti (e poi a ovovie, cestovie e skilift) decine di siti delle nostre montagne sono stati pesantemente alterati.

A relegare le seggiovie monoposto nel passato è il Museo Nazionale della Montagna di Torino, che espone in una sala sci d’epoca, una Fiat 600 attrezzata per le gite sulla neve, e un seggiolino monoposto proveniente dalla seggiovia Pian Belfé, in Valle Stura. Un cartello spiega che l’aggeggio “risale al 1954 quando furono inaugurati gli impianti sulle piste del Karfen”.

Nove “vecchiette” ancora in pista

Le seggiovie monoposto, però, non sono solamente un ricordo. Sono nove quelle ancora in esercizio in Italia: tre in Piemonte, quattro in Alto Adige, una sull’Appennino parmense e una sull’isola di Capri, in Campania. Alcuni di questi impianti funzionano anche con la montagna innevata, tutti sono lontani dalle località invernali più frequentate, dove l’aumento del numero degli sciatori e la necessità di ridurre le code le hanno fatte sostituire con seggiovie a 2, 4 o 6 posti, o con cabinovie molto più veloci. Chi le utilizza per salire in quota, compie un viaggio nella storia della montagna, e può visitare zone suggestive e poco note. Con due eccezioni, delle quali diremo tra poco.

La più nota, che è anche la più anziana e più lunga, è la seggiovia Monte Moro di Frabosa Soprana, nel Cuneese, costruita dall’azienda piemontese Fratelli Marchisio e inaugurata nel 1958. Per anni è stata la monoposto più lunga al mondo. “E’ stata recentemente ammodernata mettendo i seggiolini comodi” scrive su funivie.org un frequentatore stufo di sedersi sul nudo metallo.

Sono sulle montagne piemontesi anche la seggiovia del Monte Gropà di Caldirola (AL), costruita dalla Marchisio e ammodernata nel 1991 dall’altoatesina Doppelmayr, e la seggiovia del Monte Marca di Bielmonte, in provincia di Biella, che è stata inaugurata nel 1986.

Chi ama l’Alto Adige, e le sue località di bassa e media quota, può utilizzare la seggiovia che sale da Lagundo a Velloi, che è stata costruita nel 1972 dalla Trojer e ammodernata dalla Leitner, una delle aziende leader del settore. Si trova a Scena, sempre nel Meranese, la seggiovia Oberkin-Grube costruita da Doppelmayr nel 1973. Non troppo lontano da qui e dello stesso anno è anche la seggiovia di Monte San Vigilio, che accompagna escursionisti e sciatori sul culmine della vetta sopra il paese di Lana.

Tra i boschi dell’Appennino Parmense, un’altra piccola seggiovia molto amata dagli escursionisti sale dal rifugio di Lagdei fino al Lago Santo Parmense e all’accogliente rifugio Mariotti, che gestisce direttamente l’impianto. Siamo nel territorio di Corniglio e a realizzare l’impianto nel 1968 è stata la Nascivera di Rovereto.

Concludono l’elenco due impianti in località speciali. La prima sale da Anacapri ai 589 metri del Monte Solaro, la cima più alta di Capri, che offre un meraviglioso panorama sull’isola, i Faraglioni e l’intero Golfo di Napoli. L’impianto attuale è recente (1998), ma ne ha sostituito un altro inaugurato settant’anni fa. L’aspetto vintage e il prezzo elevato del biglietto la rendono ben intonata al turismo caprese. Dalla cima si può scendere a piedi per degli spettacolari sentieri. Rientra nella stessa categoria, ma si trova mille chilometri più a nord, la seggiovia che sale da Merano verso il borgo e il castello medievale di Tirolo. Ammodernata nel 1987 dalla Leitner, parte dalla Passeggiata Tappeiner, nel centro storico, e sale tra frutteti e vigneti consentendo di evitare gli ingorghi della strada. In discesa, dai seggiolini, si ammira un fantastico panorama su Merano.

Non tutti, purtroppo, smantellano le seggiovie non più utilizzate

Per concludere è bene tornare sulle considerazioni ambientali. In decine di località, le storiche seggiovie monoposto sono state sostituite da impianti più moderni, e regolarmente smantellate. Altrove questo non è successo, e i vecchi impianti, ormai fermi da decenni, continuano a spiccare nel paesaggio.

Uno dei casi più noti è la seggiovia che sale ai 2104 metri del Terminilletto, nel Reatino, e che ha deturpato con un’enorme piattaforma in cemento la vetta e il rifugio Rinaldi. E’ ferma dal terremoto del 2016 la seggiovia che sale da Frontignano di Ussita, nelle Marche, al Cornaccione. Dall’arrivo, una funivia abbandonata da decenni, e trasformata in un ecomostro, prosegue verso il Monte Bove. Cosa accadrà alla seggiovia non è chiaro. Il Parco nazionale dei Sibillini, però, non ha mai pensato a smantellare la funivia.
Ai Prati di Tivo, sul Gran Sasso, la storica seggiovia monoposto che sale alla Madonnina, e ha accompagnato generazioni di escursionisti e alpinisti verso il rifugio Franchetti e le vie di arrampicata del Corno Piccolo, è stata sostituita nel 2008 con una cabinovia esagerata, più adatta alla Val Gardena o a Cervinia che alla piccola località abruzzese. A causa di questa scelta sbagliata, da allora, l’impianto funziona a singhiozzo, creando disagi ai frequentatori del massiccio e seri danni economici alla sottostante Pietracamela. Le seggiovie monoposto, oltre a essere simpatiche, possono essere un segno di buonsenso economico.

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