Ambiente

Eventi estremi e cambiamenti climatici. La reazione della montagna

Una riflessione sugli effetti che il cambiamento climatico e i conseguenti eventi estremi hanno sull'ambiente di montagna

Ondate di calore, siccità, collasso glaciale, inondazioni, alluvioni lampo, piogge torrenziali, trombe d’aria e tempeste di vento…gli eventi estremi si discostano sempre di più dalle condizioni metereologiche medie, qualsiasi sia la stagione considerata.
Temperature da record, ondate di gelo, incendi divampanti, alluvioni distruttive e siccità persistente, amplificano, anno dopo anno, danni a persone e cose.
Questi fenomeni si stanno facendo sempre più frequenti e causano danneggiamenti ingentissimi.
È noto che i cambiamenti climatici amplificano tali effetti in tutto il pianeta, infrangendo record ovunque, seccando i fiumi da una parte e aumentando a dismisura le piogge a livelli devastanti dall’altra.

Solo in Italia, stando ai dati dell’European Severe Weather Database, il 9 settembre 2022 si sono registrati ben 34 eventi estremi in un solo giorno! Tra trombe d’aria, grandinate, fulmini, nubifragi e tempeste di vento sparse a macchia di leopardo nel Bel Paese
Quel che è certo è che con l’aumento dell’immissione dei gas climalteranti in atmosfera questi fenomeni continueranno ad acuirsi, contribuendo allo spostamento di enormi flussi di energia che vanno ad alterare i processi meteorologici ordinari. Gli estremi del passato stanno diventano, giorno dopo giorno, una nuova normalità. Gli estremi del futuro non li possiamo nemmeno immaginare.
Mitigazione e adattamento sembrano le uniche strade per riuscire a costruire una nuova normalità immersa nel clima artificiale. Metterle in atto è un’urgenza planetaria, ma che fa fatica ad arrivare nel nostro quotidiano.

La natura è sempre un campo a parte. Qualcosa che abbiamo a disposizione e che varia a seconda delle nostre convenienze spicciole, che consideriamo a volte come grande emporio da rapinare, a volte come discarica infinita dove buttare i nostri rifiuti illimitati, oppure come un grande recinto, dove rigenerarci nel weekend, lontani dal caos e brutture delle bassure.
D’un tratto il clima impazzito presenta il conto della nostra ingordigia, mentre non riusciamo neppure ad inquadrare il problema, perché l’usa e getta ha buttato via il nostro pensiero al punto da non intendere i fenomeni che ci pervadono.
Rifiutiamo di comprendere le relazioni in cui siamo immersi, mentre rincorriamo “ritorni” alla natura che si fa sempre più rara e introvabile.
Frullati in un mix di inazione, attesa di soluzioni tecniche salvifiche, divieti, impotenza, vuoto, gestione tecnologica del mondo e crescita infinita.
Intanto la concentrazione di CO2 in atmosfera non è mai stata così alta da 800.000 anni a questa parte e quello che fino a ieri era impensabile, ora è possibile, come il collasso del ghiacciaio della Marmolada lo scorso anno.

Ghiacciai del Bernina ormai completamente privi di neve residua, estate 2018. Foto Michele Comi

L’incremento dei rischi naturali connessi al clima che cambia è sempre più evidente nelle Terre Alte.
I cambiamenti dell’atmosfera impattano con frequenza crescente con chi percorre sentieri, ghiacciai e pareti, a diverse quote ed esposizioni.
Ormai non è più precauzione, ma necessità, muoversi solo con condizioni accettabili per affrontare le salite sulle Alpi, soprattutto di ghiaccio e misto. Le numerose linee “bianche” che correvano lungo versanti e crinali di tante vette, oggi sono praticamente estinte se non trasformate in veri e propri muri e creste di roccia non sempre solida.
Le descrizioni delle vie alpinistiche di neve e ghiaccio, contenute nelle gloriose guide del Club Alpino Italiano – Touring Club, sono ormai obsolete. Possono costituire un riferimento generale, ma ogni relazione puntuale riguardo ai tempi di avvicinamento, difficoltà e rotta da seguire va completamente reinterpretata.

Dedali di crepi spesso costringono ad allungare i percorsi e i tempi di percorrenza, la neve di primavera lascia sempre più rapidamente spazio al ghiaccio affiorante, costringendo l’alpinista a un faticoso cammino sulla superficie irregolare, spesso ricoperta dai blocchi e detriti che amplificano difficoltà e fatica.
La scomparsa del ghiaccio accresce le dimensioni delle morene, spesso franose e instabili e favorisce l’emersione di ampie sezioni di roccia liscia e inscalabile.
Quel che era semplice può trasformarsi in un grande ostacolo.

Questo significa monitorare di continuo le condizioni, pronti a cambiare programma in ogni momento, a cogliere quel che accade nell’intorno ad ogni passo.
Tutto quello che era catalogato come “facile ascensione su ghiacciaio” va completamente riaggiornato e rivalutato alla luce dei mutamenti in atto.
I cambiamenti impongono nuove necessità d’adattamento: per muoversi in alta montagna occorre sempre di più interpretare le condizioni di variabilità ed incertezza che si vanno incontrando.
Occorre adattarsi, dotarsi di grandi antenne, percepire anche i più piccoli segnali che la natura ci va mostrando.
Accedere a sé stessi, alla propria motivazione e concezione, prima ancora che alle tecniche, ai materiali, all’abilità motoria e alle tabelle di allenamento, può permettere di riconoscere quale percorso è più adatto ed idoneo a noi.

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