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Alpi povere di neve, cresce l’allarme siccità. Ma l’inverno è già finito?

“Bentornato inverno”, esclamavamo esultanti qualche settimana fa, di fronte alle copiose nevicate arrivate nettamente in ritardo sulla tabella di marcia stagionale. Precipitazioni accolte con ottimismo come un nuovo inizio, apripista di una sequela di perturbazioni che avrebbero consentito alle nostre montagne di recuperare il deficit idrico accumulato durante la prolungata siccità dei mesi precedenti. Se in Appennino la neve è effettivamente tornata a cadere nelle ultime settimane, con caratteristiche di eccezionalità su Calabria e Sicilia, le Alpi sono rimaste a guardare. I dati parlano chiaro: sull’arco alpino si registra attualmente una carenza di neve pari al 53%. In soldoni, l’attuale accumulo di neve è pari a circa la metà di quello che avrebbe dovuto essere per poter dormire sonni tranquilli in vista dell’estate che inizia ad avvicinarsi. Come evidenziato in un appello rivolto al Governo nei giorni scorsi da Legambiente, contenente 8 proposte per una strategia idrica nazionale non più rimandabile, è già allarme siccità.

Come stanno le montagne italiane?

Alpi e Appennini si trovano ancora una volta ad affrontare un inverno avaro di precipitazioni. Ne conseguono una carenza della neve accumulata e una forte sofferenza dei laghi e fiumi, quasi in secca come la scorsa estate. Nel distretto idrografico del Fiume Po, quello dell’Appennino settentrionale e quello dell’Appennino centrale i corsi d’acqua hanno raggiunto uno stato di severità idrica “media”. Secondo gli ultimi dati (aggiornati al 15 febbraio 2023) della CIMA Research Foundation, su scala nazionale si registra un deficit dell’equivalente idrico nivale pari al 45%, con picchi nella zona alpina (-53%) e in particolare nel bacino del Po (-61%). Si può almeno tirare un sospiro di sollievo in Appennino? No, perché la neve caduta è già in fusione causa innalzamento termico.

“Le ridotte precipitazioni, unite a temperature invernali miti che hanno anticipato la fusione della neve sui monti, hanno infatti portato a un deficit significativo – e, in prospettiva, anche grave, – si legge sul sito della CIMA –  perché è proprio l’acqua contenuta nella neve a fornire l’approvvigionamento idrico per i mesi primaverili ed estivi. In altre parole, la scarsità di neve di questo inverno 2022-23 rischia di aggravare la siccità che ha già interessato la penisola lo scorso anno.”

Emergenza siccità in realtà mai finita, questa l’espressione che Legambiente ha scelto per sintetizzare l’attuale situazione italiana.

Questa la ragione che ha portato Legambiente a lanciare un appello al Governo Meloni, “indicando le priorità da mettere in campo a partire dalla definizione di una strategia nazionale idrica, strutturata in otto in punti, che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo che favoriscano da una parte l’adattamento ai cambiamenti climatici, e dall’altro permettano di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi.”

“Non sono più ammessi più ritardi – sottolinea l’associazione – .  Bisogna cominciare a prevenire “l’emergenza idrica” che caratterizzerà sempre di più il nostro territorio smettendo di pensarci solo quando il danno è già stato fatto. A partire dai prossimi mesi, infatti, la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già sono in sofferenza e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità.”

Sciare tra l’erba

A rendere immediata evidenza di quello che è lo scenario già emergenziale cui ci troviamo di fronte è un video condiviso nei giorni scorsi dal Local Team, che mostra il comprensorio Domobianca, al di sopra di Domodossola, in veste già decisamente poco invernale. Si scia su una striscia di neve, immersa in un pendio pronto a rinverdire.

8 punti su cui fondare una strategia idrica nazionale

Di seguito gli 8 “pilastri”, come definiti da Legambiente, su cui fondare una strategia idrica nazionaleper dare gambe ad una road map idrica non più rimandabile che abbia come obiettivo la riduzione dei prelievi e degli usi dell’acqua in tutti i suoi settori”.

  1. favorire la ricarica controllata della falda facendo in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle fino al mare;
  2. prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;
  3. servono interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integratoe permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione,
  4. implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;
  5. occorre riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;
  6. utilizzare i Criteri Minimi Ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;
  7. favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;
  8. introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico,come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti.

“Il 2023 è appena iniziato, ma sta mostrando segnali preoccupanti in termini di eventi climatici estremi, livelli di siccità. Bisogna da subito ridurre i prelievi nei diversi settori e per i diversi usi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Serve poi adottare una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e che permetterebbe di rendere più competitiva e meno impattante l’intera filiera. Non dimentichiamo che la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica. Una siccità prolungata comporta danni diretti derivanti dalla perdita di disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali ma anche perdita di biodiversità, minori rese delle colture agrarie e degli allevamenti zootecnici, e perdita di equilibrio degli ecosistemi naturali. Da non sottovalutare, inoltre, il contributo che la neve apporta all’approvvigionamento idrico. La scarsa copertura nevosa unita alla fusione anticipata delle nevi condizioneranno pesantemente le capacità dei bacini idrografici nei prossimi mesi primaverili e estivi. Per questo è fondamentale prevedere più risorse per il settore idrico, a partire da un miglior indirizzamento di quelle del PNRR. Solo così potremmo evitare di rincorrere le emergenze”.

Legambiente ricorda che l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Secondo i dati diffusi dallo GIEC (Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambiamento Climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20% della disponibilità delle risorse idriche.

Tornerà la neve?

Si intravedono perturbazioni all’orizzonte che possano portare nuova neve sui rilievi italiani in grado di mitigare la situazione? Oggi e domani vivremo ancora una fase primaverile con temperature in rialzo, in particolare sabato sarà una giornata termicamente da mese di aprile in tutta Italia – ci riferisce il meteorologo Filippo Thierycon qualche precipitazione, già a partire dalla serata odierna, su diverse zone del Centro, e nella serata di sabato anche su Emilia Romagna e nord-est. Ma parliamo di precipitazioni piuttosto deboli e sparse. Fin dalle prime ore di domenica assisteremo invece a un repentino cambio della circolazione atmosferica, che da flussi sciroccali molto miti vedrà l’ingresso di correnti di Bora. Arriverà dunque aria decisamente più fredda, e venendo da giorni primaverili avvertiremo in maniera netta il crollo termico. Bora che si ripresenterà come vento di Tramontana sul golfo ligure e di Grecale sulla Toscana.

Saranno queste le regioni su cui l’aria fredda affluirà in maniera più massiccia. Domenica avremo precipitazioni abbastanza diffuse soprattutto sul nord-ovest – Piemonte e Liguria, in maniera più debole e intermittente sulla Lombardia – , sull’Emilia Romagna e sulle regioni centrali. La neve al Nord scenderà progressivamente durante la giornata fino a quote collinari, forse anche basso collinari, su Piemonte, entroterra ligure e soprattutto sulla fascia pedemontana e appenninica dell’Emilia Romagna dove queste correnti di Bora andranno a impattare in maniera più decisa e potremmo aspettarci anche mezzo metro di neve. Sul versante toscano la neve scenderà fino a quote collinari, interessando non solo i rilievi appenninici ma anche l’Amiata. Sull’Appennino centrale l’aria fredda arriverà meno massicciamente e la neve scenderà fino a cavallo dei 1000 metri. Al momento è presto per definire uno scenario infrasettimanale ma sembrerebbe che già tra lunedì e martedì le temperature si riassesteranno su valori non elevati come quelli attuali ma più in linea con l’inizio di marzo.”

“Ad ogni modo, eviterei di parlare di ritorno dell’inverno. Meglio dire un assaggio di inverno”, chiarisce Thiery, evidenziando che le nevicate in arrivo non saneranno il deficit idrico attualmente presente ma risulta positivo che l’area interessata maggiormente sarà il versante emiliano-romagnolo. La neve in fusione andrà infatti ad alimentare affluenti del Po, alleviando la sofferenza del fiume.

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