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“Ci sono sempre stati inverni caldi”. I falsi miti da sfatare sull’inverno e il cambiamento climatico

Finalmente la scorsa settimana è arrivata la neve. Sulle Alpi si sono raggiunte condizioni idonee alla riapertura degli impianti di sci. In Appennino, dove le vette sono rimaste sostanzialmente scoperte da neve al di sotto dei 2000/2500 metri per settimane, la situazione è apparsa più delicata, c’è chi si è affidato al supporto dei cannoni sparaneve e chi è rimasto in attesa di ulteriori nevicate. In queste ore una nuova perturbazione foriera di fiocchi bianchi sta interessando la Penisola. Possiamo considerare entrato nel vivo questo inverno a lungo travestito d’autunno? O tornerà nuovamente l’anticiclone a riportare in alto la colonnina di mercurio e lo zero termico? Chi può saperlo, e perché in fondo preoccuparsene! Dopotutto, come molti in queste settimane hanno affermato sulla base delle proprie esperienze e testimonianze degli avi, la neve l’ha sempre fatta a febbraio e storicamente, inverni caldi sono già capitati. Quanto sono vere tali affermazioni? Abbiamo chiesto a Filippo Thiery di aiutarci ad analizzare e, ove necessario, correggere, le convinzioni più diffuse relative alla stagione invernale.

La neve l’ha sempre fatta a febbraio, vero o falso?

“Si tratta di una affermazione che andrebbe analizzata sulla base della quota. Se facciamo riferimento ad esempio all’Appennino centrale, è vero che le imbiancate dei centri abitati, attorno ai 1000 metri, arrivino più di frequente o con apporti più generosi nella seconda metà dell’inverno meteorologico, ma nel mese di dicembre e nella prima parte di gennaio, alle quote più alte, la neve non solo cade ma cade anche con una certa abbondanza. Ed è questo l’elemento che pesa non solo sul turismo invernale, che si svolge non a 1000 metri ma più in alto, ma soprattutto sugli equilibri dell’ecosistema e sulle risorse idriche. Un conto è avere accumuli importanti di neve al di sopra dei 1800/2000 metri durante l’inverno, e poi assistere, più facilmente, al verificarsi di nevicate anche più in basso a metà gennaio o a febbraio, un conto è ritrovarsi in una situazione come quella in cui ci siamo trovati fino a pochi giorni fa, in cui anche alle quote sommitali dell’Appennino, escludendo le cime più alte di Maiella e Gran Sasso, c’erano prati sgombri da neve, se non in fiore, oltre i 2000 metri. Considerate che è piovuto oltre 2000 metri. La domanda da porre a chi pone l’accento sulle nevicate di febbraio potrebbe essere proprio questa: quante volte è capitato che piovesse ripetutamente a 2000 metri a dicembre e gennaio? Perché noi abbiamo la tendenza a guardare la neve in paese o sugli impianti ma quella importante per l’ecosistema, quella che dobbiamo considerare spia delle alterazioni che stanno avvenendo a livello climatico, è quella che cade alle alte quote.”

Se di pioggia ne è caduta, è inutile allarmarsi per l’estate. Vero o falso?

“Le montagne, con i loro ghiacciai, sono sempre state definite torri d’acqua. Un conto è avere una risorsa idrica in forma solida, di neve e/o ghiaccio destinato a fondere che viene rilasciata gradualmente nei mesi primaverili in fase di rialzo termico e dunque restituita alle falde, ai corsi d’acqua e al territorio come acqua di fusione. Un conto è avere pioggia che ruscella sul pendio che, al netto di quelli che possono essere gli impatti a livello idrogeologico e idraulico, non rappresenta una riserva. Viene persa nel momento stesso in cui cade. Va a ingrossare un fiume, il fiume va in piena e la piena va a mare. L’importanza della neve è un concetto chiave nel ciclo dell’acqua. E in ogni caso, di acqua ne è mancata, nei mesi scorsi ha piovuto pochissimo. Non dobbiamo confondere, a tal proposito, la pioggia degna di questo nome con precipitazioni molto deboli od occasionali come la pioviggine, quella sensazione che si è potuta sperimentare in città come Milano o Torino sotto le Festività natalizie, in condizioni di ristagno anticiclonico o di blandi disturbi del tempo, con formazione di nubi basse, di pioggerella noiosa che determina la necessità di aprire un ombrello per non bagnarsi ma che dal punto di vista di apporto delle precipitazioni equivale a nulla.”

Inverni caldi li ha sempre fatti, vero o falso?

“Andando a cercare negli annali magari ci si può imbattere in un anno in cui sia capitato un evento simile o vagamente paragonabile all’inverno in corso, con carenza di precipitazioni nella prima metà della stagione meteorologica e temperature più elevate della media, ma si tratta di casi sporadici. Decenni fa li avremmo considerati una anomalia, per non dire delle mosche bianche. Oggi ci ritroviamo a viverli in maniera sempre più frequente, al punto da abituarci, da considerarli la norma.”

Meglio se in inverno fa caldo, che si risparmia gas. Vero o falso?

“Il limite di questa affermazione è di essere estremamente circoscritta nello spazio e nel tempo. Si va a guardare una singola fetta dell’anno senza fare i conti su tutto l’anno, e soprattutto senza considerare tutti gli aspetti. Su un piatto della bilancia avremo anche un discreto risparmio di gas in un momento geopolitico drammatico ma sull’altro abbiamo il destino del Pianeta nella morsa dei cambiamenti climatici. Sarebbe come consolarsi dicendo ‘beh almeno stando fermi stiamo risparmiando carburante’ durante il naufragio del Titanic, constatazione indubbiamente vera, ma poco furba nell’economia complessiva della situazione.”

Lo “snowmageddon” di fine anno negli USA dimostra che il cambiamento climatico non esista. Vero o falso?

“A fine anno gli USA sono stati flagellati da una tempesta artica che ha lasciato dietro di sé morti e devastazione. Nel mentre in Italia si vivevano giornate primaverili. Le due cose vanno inserite in un contesto che è planetario. Se durante il verificarsi della tempesta avessimo dato uno sguardo alla mappa emisferica delle anomalie di temperatura, avremmo trovato una chiazza blu, di anomalia negativa, ovvero temperature sotto la norma, sul Nord America, e una prevalenza di chiazze rosse, di anomalia positiva, in molte altre aree quali l’Europa. Per quanto intenso sia stato l’evento di gelo sugli Stati Uniti, nel bilancio complessivo, a prevalere a scala emisferica è stata l’anomalia positiva. Il cambiamento climatico non va interpretato come un ‘non fa o non farà mai più freddo o gelo nelle varie parti del mondo’. Pensate all’invernata del 2017 in Italia, quando nel mese di gennaio, proprio di questi giorni, si verificò la tragedia di Rigopiano. Gran parte del Centro Italia si ritrovò per giorni sotto nevicate ingentissime, 3/4 metri di neve – tra l’altro molto pesante perché non si trattò di una ondata di freddo particolarmente intensa – ma andando a calcolare il bilancio di tutto il trimestre invernale si scopre che l’inverno 2016-2017 vide un dicembre estremamente siccitoso e assai mite in tutta Italia, un febbraio nuovamente molto avaro di precipitazioni al Centro-Sud e sempre molto mite pressoché ovunque, e  che sulle regioni del Nord, anche in quei famosi giorni di gennaio con il Centro e il Sud sferzati dalla perturbazione con neve a bassa quota, insistevano invece condizioni di tempo asciutto, anche se freddo.

Insomma, il bilancio trimestrale fu di temperature nella norma (risultato complessivo della descritta alternanza sui singoli mesi) e di assoluta carenza di precipitazioni sulla stragrande maggioranza del territorio nazionale. Durante il celebre ‘nevone’ del febbraio 2012, con ampie fette del territorio italiano nella morsa della neve o del gelo anche a bassa quota, alle Isole Svalbard si registravano 6 gradi sopra lo zero, un valore semplicemente pazzesco a quelle latitudini in pieno inverno: proprio le zone artiche, al pari delle alte quote del globo, rappresentano più di qualsiasi altra una spia della crisi climatica, sperimentando anomalie più che doppie rispetto al resto del Pianeta, dato ancor più preoccupante se si pensa che i ghiacciai, tanto quelli continentali della calotta polare che quelli montani, rappresentano un punto nevralgico del sistema, non solo per il già citato ruolo nel ciclo dell’acqua, ma anche per gli impatti sul livello e sulla salinità degli oceani e sulla circolazione accoppiata con l’atmosfera, e fanno quindi da volano agli equilibri dell’intero ecosistema. Eppure spesso, mentre in zone come la Groenlandia si registrano anomalie di temperature pazzesche (dai 10 ai 30 gradi sopra la norma!), noialtri ci soffermiamo, in modo molto miope e provinciale, a commentare come da noi (magari in quella singola settimana dell’intero trimestre invernale) stiano prevalendo la neve o il freddo. Per inciso, sulla zona degli USA interessata dalle tempesta artica è arrivata subito dopo una anomalia con temperature molto miti.”

Smontate le convinzioni più in voga sull’inverno, le vorremmo porre un’ultima domanda: ma questo inverno, di fatto, possiamo dichiararlo almeno iniziato?

“E’ certamente emblematico che, per poter trovare elementi di conforto, nel rispondere a questa domanda, abbiamo dovuto aspettare addirittura la metà di gennaio: proprio questa settimana, finalmente, la situazione atmosferica si è sbloccata in modo sostanziale, proiettandoci in uno scenario che va gradualmente assumendo caratteristiche decisamente più consone al periodo. Qualche primo accenno di cambiamento c’era già stato, anch’esso a scoppio a dir poco ritardato, all’inizio della settimana scorsa, ma quella perturbazione giunta dopo il week-end dell’Epifania, seppur salutare (anche dal punto di vista della qualità dell’aria) nel mettere fine alla lunga fase di stasi anticiclonica, e capace finalmente di portare neve su Alpi e Appennini al di sopra degli 800-1000 metri, non poteva essere ancora considerata una partenza vera e propria della stagione, anche perché è stata poi seguita da giorni non solo prevalentemente stabili, ma caratterizzati dal nuovo  rialzo dello zero termico, seppur non ai livelli quasi estivi ripetutamente raggiunti durante le festività. Ora, finalmente, possiamo dire che ci siamo, anche se, per poter parlare davvero di avvio dell’inverno degno di questo nome, bisognerà vedere come proseguirà la stagione nel mese e mezzo a venire.”

Ma quindi la situazione di queste ore e dei prossimi giorni può essere una svolta in grado di ripianare la situazione, o dobbiamo aspettarci un 2023 senza un vero inverno?

“In termini di calendario convenzionale, siamo arrivati a superare la metà dell’inverno meteorologico. E questa prima metà ce la siamo giocata con una anomalia abnorme dal punto di vista sia delle precipitazioni che dello zero termico e delle temperature. Come perdere nel primo tempo di una partita 4 a 0. Se nel secondo tempo gli equilibri in campo dovessero cambiare in modo deciso, sarebbe comunque dura recuperare, ma da un punto di vista ambientale e delle risorse, sicuramente è meglio perdere 4 a 2 che 4 a 0.  Le previsioni relative alla fine di gennaio e al mese di febbraio non si possono fare al momento, ma la settimana in corso, quantomeno, ci sta offrendo segnali di novità sostanziali, presentandosi all’insegna, finalmente, di una elevata dinamicità atmosferica, cioè del succedersi di sistemi perturbati capaci di portare diffuse e ripetute precipitazioni su ampie fette del Paese, con generosi apporti di neve in montagna e la comparsa dei fiocchi anche a quote più basse, come dovrebbe essere la norma in inverno. In questo inizio di settimana, le correnti instabili presentano una matrice invernale (seppur senza eccessi) solo sulle regioni dell’arco alpino, dove la neve sta cadendo diffusamente anche a quote collinari, mentre sul resto d’Italia una burrascosa libecciata , foriera fra l’altro di violente mareggiate, mantiene temperature abbastanza temperate, con abbondanti piogge e forti temporali, fenomeni di matrice più novembrina che degna del pieno inverno, con tutti i rischi che ne conseguono (anche se le quote appenniniche stanno finalmente ricevendo cospicue nevicate); il proseguimento della settimana ci traghetterà verso uno scenario decisamente più consono all’inverno anche al Centro (già a partire da mercoledì) e poi al Sud (nella seconda parte della settimana). Nulla di eclatante, per il momento (non si può assolutamente parlare di “’ondata di gelo” né di “inverno che fa la voce grossa”, a dispetto delle solite esagerazioni giornalistiche) ma certamente un segnale di rientro, quantomeno, nella normalità, che poi è quella che dobbiamo sempre augurarci (gli eccessi sono sempre forieri di gravi danni e disagi quando non di perdite di vite umane, si pensi a quanto detto sulla recente tempesta negli USA o a quel drammatico gennaio del 2017 al Centro Italia). Poi se l’evoluzione di questi giorni resterà un’azione di gioco sporadica, nella partita di cui sopra, o farà da apripista a una seconda parte dell’inverno capace di garantire una rimonta, almeno parziale, del pesante risultato del primo tempo, lo scopriremo solo al passare delle settimane.”

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Un commento

  1. Una considerazione personale.
    Mi è sempre piaciuto scalare d’inverno con la neve che impiastrava le pareti.
    Niente di speciale, solo poche robe che potevo salire.
    Da 8 anni non riesco più per la gioventù che sta avanzando, ma devo ammettere che negli ultimi 20 anni era diventato più facile scalare d’inverno, trovavo spesso poca neve e buone temperature e non dovevo più impiegare alcuni faticosissimi giorni interi per andare agli attacchi.
    Adesso che si potrebbero fare robe allora per me impensabili, si va su ghiaccio.

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