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La scomparsa dei ghiacci terrestri raccontata dai satelliti della NASA

Conosciamo Timelapse, il nuovo tool in collaborazione con Google

Ce lo sentiamo ripetere da anni, che l’attività umana sta danneggiando la Terra, che il cambiamento climatico e il riscaldamento globale non sono “cose che sono sempre successe” (non con questa intensità e rapidità, almeno) e che se non facciamo qualcosa per invertire la tendenza, presto sarà troppo tardi per farlo.
E però, nonostante questo e nonostante che le evidenze siano ovunque anche vicino a noi (dalla neve sulle Alpi al corso dei principali fiumi italiani), c’è ancora parecchio scetticismo sul tema. C’è ancora chi “se non vedo non credo”. E proprio a loro sembra rivolgersi il nuovo strumento online realizzato dalla Nasa in collaborazione con Google.

Come funziona il Timelapse della NASA

Il tool è accessibile da fine marzo (www.climate.nasa.gov) e fa parte della sezione Images of Change dell’agenzia spaziale americana, che ha combinato le immagini catturate dai suoi satelliti con la tecnologia messa a disposizione dall’azienda di Mountain View.
La nuova funzione si chiama Timelapse e lavora in modo simile a quello che fanno anche Google Earth o Maps e che ognuno di noi può verificare da sé (per esempio) nella strada di casa sua: si sceglie la via, si entra nella modalità Street View per avere la visuale in 3D, si clicca su Vedi altre date e si ha appunto la possibilità di vedere lo stesso luogo quest’anno, nel 2014, nel 2012, nel 2008 e così via, andando indietro nel tempo tanto quanto è andato indietro il servizio di mappatura di Big G.
È una sorta di macchina del tempo virtuale, che permette appunto di capire come sia cambiata una strada, una piazza, un incrocio. O un ghiacciaio, anche.

Come si usa il Timelapse della NASA

Perché è questo che fa lo strumento messo a disposizione della Nasa: l’agenzia ha selezionato 7 località del mondo particolarmente esposte alle conseguenze del cambiamento climatico, mostrando come si sono modificate addirittura dalla metà degli anni Ottanta a oggi. Usarlo è semplicissimo: per ognuna si può utilizzare la tendina (Curtain) proposta di default, trascinandola a sinistra oppure a destra per vedere il prima e il dopo; selezionare Toogle per passare con un clic dalla foto più vecchia a quella più recente; 2-Up per vederle affiancate; Timelapse e premere Play per vedere un’animazione che percorre tutti gli anni considerati.

Ogni località può anche essere osservata a tutto schermo, per cogliere meglio i dettagli.
Noi ne abbiamo scelte 3 che ci hanno colpiti particolarmente, sia perché sono più vicine a noi come argomento sia perché sono fra quelle che sembrano avere subìto i danni peggiori.

Caso 1: il Peyto Glacier in Canada

La Nasa ha ricordato che gli scienziati usano 47 ghiacciai nel mondo per tenere monitorato lo stato dei ghiacciai terrestri: il Peyto, nel Parco nazionale di Banff, in Canada, è uno di questi. Il suo livello è stato misurato costantemente dal 1968 e negli ultimi 50 anni ha perso circa il 70% della massa: le immagini usate per Timelapse mostrano la perdita di ghiaccio del Peyto negli ultimi 22 anni e sono state scattate nello stesso periodo dell’anno.

Caso 2: la baia di Hudson

La baia di Hudson, che è considerata un mare all’interno dell’oceano Artico nonostante sia circondata dalla terraferma, gela completamente in inverno e si scioglie in estate: durante il disgelo, gli orsi polari si spostano sul ghiaccio marino che si scioglie lentamente per cacciare foche e altre prede. Quando il ghiaccio diventa troppo scarso, gli orsi digiunano e aspettano che si riformi. L’area ha perso più o meno un terzo della popolazione di orsi polari dal 1980, passando da circa 1200 a circa 800, probabilmente perché il calo del ghiaccio marino estivo ha dato loro meno opportunità di muoversi, e dunque di nutrirsi.

Caso 3: il ghiacciaio Okjökull

Le immagini mostrano le ultime fasi del declino dell’Okjökull, un ghiacciaio dell’Islanda in scioglimento in cima al vulcano Ok, nella parte centro-occidentale dell’isola (in islandese, “jökull” significa “ghiacciaio”). Una mappa geologica del 1901 stimava che lo Okjökull si estendesse per circa 40 chilometri quadrati: nel 1978, alcune fotografie aeree mostrarono che si era ridotto a circa 3 chilometri quadrati, mentre oggi ne rimane meno di 1 chilometro quadrato.

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