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Come sta cambiando il ruolo dei bivacchi? Ne parliamo con Luca Gibello

Il Presidente di Cantieri d'Alta Quota ricorda che la costruzione di un bivacco ha delle conseguenze anche legate alla sicurezza dei frequentatori.

Lo scorso mese di aprile il presidente di Cantieri d’Alta Quota Luca Gibello, associazione culturale che si occupa di ricerca e divulgazione nell’ambito dell’architettura di montagna, ha pubblicato un articolo dedicato alla proliferazione dei bivacchi in montagna, che negli anni recenti sono spuntati in numerose aree delle Alpi “non tutti realmente indispensabili dal punto di vista alpinistico o escursionistico” come ha scritto l’autore del testo.
Si tratta di un tema che negli anni passati ha stimolato un dibattito, in particolare dopo l’edificazione del Bivacco Gervasutti sul massiccio del Monte Bianco, che ha sollevato un nuovo interesse estetico, funzionale e simbolico intorno a questo tipo di strutture. Quelli che erano semplici ricoveri notturni e basi di appoggio per un alpinismo di ricerca sono improvvisamente diventati una meta turistica di per sé, talvolta in grado di rivitalizzare la frequentazione di aree marginali. Un bene o un male?

Nel suo articolo, Gibello è partito da un esempio concreto visitando il bivacco Marco Beltrando inaugurato nell’estate del 2022 sulla cima della Punta Rama a 2439 m in Val Soana, comune di Frassinetto (TO) e sottolineando che “la funzione del bivacco resta limitata, non trovandosi lungo itinerari particolarmente estesi, infatti il libro custodito al suo interno registra i commenti dei visitatori che vi pernottano per il puro piacere di trascorrere una notte in quota“. Casualmente, alcuni giorni dopo la comparsa dell’articolo, il Soccorso Alpino ha dovuto effettuare una lunga operazione notturna per salvare una coppia di escursionisti rimasti bloccati dal buio mentre tentava di raggiungere la struttura. Insomma, la dimostrazione concreta che la costruzione di un bivacco ha delle conseguenze anche legate alla sicurezza delle persone che lo frequentano.

“L’architettura è diventata un land mark – esordisce Gibello che abbiamo coinvolto per approfondire il tema – cioè un punto di riferimento turistico, uno strumento di marketing per suscitare l’attenzione del pubblico. Il problema è che in montagna il contesto è un po’ diverso rispetto alla città. Mi è capitato spesso di leggere articoli sui luoghi più suggestivi dove trascorrere una notte in quota e trovare il bivacco Gervasutti accostato allo chalet sulle piste da sci o al rifugio lungo un valico alpino che in realtà è un albergo di lusso. Questo tipo di comunicazione è fallace, nonché pericolosa perché raggiungere un bivacco, il Gervasutti in particolare, non è per tutti“.

La gran parte dei bivacchi sorti negli ultimi anni ha la funzione di ricordare i caduti in montagna, ma anche una finalità turistica, dal momento che spesso i fondi necessari per la costruzione vengono coperti dagli enti locali attraverso progetti e fondi europei per lo sviluppo territoriale.
“Un tempo il Club Alpino Accademico Italiano – prosegue Gibello – decideva l’edificazione di un bivacco sulla base delle esigenze alpinistiche di una determinata ascensione. Oggi badiamo maggiormente all’aspetto memoriale e attrattivo che non sono di per sé sbagliati, ma si possono declinare anche in altri modi. Un bivacco ha indubbiamente un impatto sul territorio da un punto di vista visivo, ecologico e, come abbiamo visto, della sicurezza. Perché non possiamo invece ricordare una persona che non c’è più o incrementare la frequentazione di una valle ripristinando sentieri, rendendo tutto il territorio più fruibile e attrattivo?”

D’altronde, focalizzando l’attenzione sulle alte quote, si tende a dimenticare quella fascia intermedia della montagna, quella tradizionalmente vissuta e frequentata dai montanari che oggi non ci sono più a causa dello spopolamento.
Il piacere di pernottare in una struttura bella ma essenziale come il bivacco, in un’area isolata e remota delle montagne, si può declinare in maniera diversa, ripristinando alpeggi abbandonati o edificando nuove strutture nei pressi. Ne conosco di bellissimi e isolati, in luoghi dove la cultura della montagna racconta una civiltà che non c’è più e dove l’impatto ambientale sarebbe certamente più limitato. Insomma, un approccio più sobrio sotto tutti i punti di vista”.

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