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“Gestire gli orsi è materia per tecnici”. Il Parco Adamello Brenta rompe il silenzio dopo la tragedia della Val di Sole

Dopo due settimane di silenzio stampa il Parco Adamello Brenta espone la propria posizione in merito al "problema orsi" in Trentino in un incontro con i sindaci

Sono trascorse due settimane dalla tragica morte del runner Andrea Papi, causata dall’orsa JJ4 in Val di Sole, ma la risonanza dell’evento è ancora forte. Si discute delle sorti di JJ4, catturata, separata dai suoi cuccioli e rinchiusa in un recinto nel Centro Faunistico del Casteller di Trento, quello che dalle associazioni animaliste viene definito un “lager” per animali.
Si discute più in generale del “problema orsi” che affligge il Trentino: troppi gli esemplari presenti sul territorio, troppi i rischi di incontro con l’uomo. Una problematica la cui risoluzione più rapida, come dichiarato dal Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti in conferenza stampa, dopo aver reso noti i risultati dell’autopsia condotta sul corpo di Papi, potrebbe essere identificata nella riduzione del numero di orsi. Riduzione del 50%, da chiarire se mediante trasferimenti o abbattimenti. L’accusa principale dello stato attuale delle cose, della presenza massiccia dell’orso sul territorio trentino, viene lanciata al progetto di reintroduzione della specie Life Ursus, avviato nel 1996 con trasferimento in Trentino di esemplari provenienti dalla Slovenia.
Un progetto promosso dal Parco Naturale Adamello-Brenta in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, che nel 2008 ha lasciato il posto all’ISPRA. Dopo due settimane di silenzio stampa, il Parco promotore del progetto è sceso in campo per esprimere la propria posizione sul tema, promuovendo nella giornata di giovedì 20 aprile a Strembo un incontro con i sindaci dell’area protetta, in cui affrontare il “problema orso” da un punto di vista scientifico e tecnico.

Un silenzio stampa per rispetto, ma ora è tempo di parlare

“Quanto è accaduto a Caldes – ha detto il presidente Walter Ferrazza in apertura dei lavori – mi ha toccato profondamente, fino a togliermi il sonno. Sia per l’evento in sé, la morte di un giovane, sia perché da trentino sento la responsabilità di fare, anche in futuro, la cosa giusta. Questo incontro è stato voluto per fornire importanti informazioni di base sul progetto Life Ursus e per condividere la responsabilità che il Parco può prendersi per elaborare assieme delle possibili strategie comuni. Questo lo può fare solo attraverso una rete che raccoglie le istituzioni del territorio e si esprime in maniera univoca.”
Ferrazza ha voluto evidenziare che per oltre 10 anni ha sperato nella definizione di “un protocollo chiaro per la gestione delle situazioni critiche che un orso potesse creare fosse in grado di salvare uomo e progetto”, chiedendo con insistenza che il Parco potesse avere un ruolo determinante nella gestione degli orsi presenti sul nostro territorio. “Non ho avuto risposta”.
Nell’attesa l’Ente ha puntato sul perseguire in autonomia “i principi della convivenza investendo giornalmente sul versante della comunicazione. Sito web, comunicati stampa, dépliant e brochure, incontri sul territorio e nelle scuole sono solo alcune delle azioni che abbiamo posto in essere”. In merito alla scelta del silenzio stampa, il presidente ha chiarito che è stata presa “innanzitutto per rispetto nei confronti di questa tragedia. Oggi però pensiamo sia utile confrontarci e portare il nostro contributo all’evoluzione del dibattito”.

Il Life Ursus è stato davvero un fallimento?

Di chi è insomma la colpa della sempre più complessa convivenza tra uomo e orso? Secondo lo zoologo a monte del problema vi sarebbe una comunicazione inefficace.
“L’orso è un animale poco pericoloso, ma che in alcuni casi può diventarlo. I veri tecnici non hanno mai negato la possibilità di un’aggressione all’uomo. Lo studio di fattibilità posto alla base del Life Ursus e redatto nel 1998, prima dell’inizio del rilascio degli orsi sul territorio trentino, riporta chiaramente anche il fattore di rischio legato alle aggressioni all’uomo. Il documento elenca peraltro anche le misure da osservare per prevenire e limitare tali rischi. Nel 2004 ho pubblicato io stesso un libro in cui si descrivono studi scientifici che sostengono la tesi secondo la quale più comunicazione c’è su un territorio, meno sono frequenti gli incidenti.”
In Trentino tale comunicazione non è risultata incisiva. “Un Piano della comunicazione è stato elaborato solo nel 2016 e non è ancora stato realizzato nella sua interezza. Un altro documento di approfondimento tecnico-scientifico, voluto all’epoca dalla Giunta Dellai e realizzato da due importanti docenti universitari, ricco di suggerimenti puntuali su come gestire le diverse situazioni legate alla presenza degli orsi, è rimasto disatteso a giacere nei cassetti. Infine, lo studio di fattibilità prodotto all’inizio del progetto Life Ursus non parlava di un numero massimo di orsi sul territorio. Ma di un numero minimo, di 40-60 esemplari e di possibilità di sviluppo numerico della popolazione in linea con quanto osservato fino a oggi. Lo studio di fattibilità prevedeva anche la possibilità di rimuovere gli esemplari pericolosi di orso. E per me rimuoverli vuol dire solo una cosa, abbatterli. Non rinchiuderli in un recinto, una situazione triste a tutti i livelli”. 

Gestire animali selvatici è un lavoro

Il Parco Adamello-Brenta esprime convinzione sul fatto che, per affrontare e tentare di risolvere il problema, ci sia bisogno di affidare un ruolo di maggior peso agli esperti della gestione degli orsi: i tecnici. “Gestire animali selvatici è un lavoro, una professione”, commenta Mustoni. I tecnici dovrebbero poter fornire supporto ai decisori politici nel perseguire scelte che siano più corrette nell’interesse di tutti.
“Cosa vorremmo, come Parco, che accadesse, da qui in avanti? Innanzitutto che la discussione venisse riportata su binari tecnici, più corretti e lontani dal vociare di questi strani giorni. Dobbiamo farlo andando oltre i populismi e il tifo da stadio. Dobbiamo farlo anche per rispetto ai familiari di Andrea Papi. Ma catturare e trasferire o addirittura abbattere 70 orsi mi sembra non praticabile”, aggiunge lo zoologo, invitando ad andare oltre la visione di una sola soluzione possibile, ma di valutare “tutte le strade possibili per diminuire la possibilità che si verifichino incidenti o situazioni sgradevoli. Un lavoro difficile ma fattibile se si curano anche i minimi particolari. Ed è necessario che gli esperti tornino ad avere un ruolo importante. È più oneroso in tutti i sensi correre ai ripari dopo che agire prima”.

Il difficile ruolo dei sindaci

I sindaci presenti all’incontro, com’era naturale, hanno manifestato preoccupazioni e perplessità, ma hanno riconosciuto l’importanza di un confronto diretto con tecnici, con esperti della specie, che possano fornire consigli utili su come garantire la sicurezza e la serenità nei territori di propria competenza.
Del fatto che la comunicazione, come evidenziato da Mustoni, possa rappresentare lo strumento principe per migliorare la convivenza con l’orso e ridurre i rischi, risultano pienamente convinti i sindaci dei comuni di Castel Condino e Borgo Chiese che nella giornata di giovedì 20 aprile hanno diffuso un avviso volto a informare i cittadini della presenza nella zona di orsi (almeno 3 esemplari secondo quanto dichiarato dal sindaco di Castel Condino a Il Dolomiti), invitando la collettività a tenere comportamenti corretti.
La richiesta rivolta ai cittadini è di evitare di favorire negli esemplari lo sviluppo di confidenza, per esempio non lasciando rifiuti e avanzi di cibo all’aperto. Nell’avviso si consiglia inoltre di dare uno sguardo alle mappe degli orsi radiocollarati e delle femmine accompagnate da cuccioli disponibili sul sito Grandicarnivori.provincia.tn.it. 

 

 

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