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Kit di autosoccorso in valanga: cos’è e come si usa

In caso di incidente da valanga, le statistiche insegnano che le maggiori probabilità di ritrovare una persona ancora in vita avvengono entro i primi 15/18 minuti dal travolgimento. All’interno di queste tempistiche circa il 90% delle persone sopravvive, mentre le percentuali crollano sotto il 50% nei successivi 15 minuti perché si esaurisce l’ossigeno nella sacca d’aria a disposizione del sepolto provocandone la morte per ipossia. Siccome i tempi di intervento dei soccorsi organizzati e del Soccorso Alpino superano facilmente tali limiti temporali, soltanto i compagni di gita o chi si trova in loco deve essere in grado di individuare e disseppellire chi viene travolto da una valanga in tempi brevi. Come? In autosoccorso con la santa trinità degli strumenti salvavita: Artva, sonda e pala.

Si tratta di tre attrezzi che hanno ampiamente dimostrato la loro efficacia tanto da diventare una dotazione consueta nello zaino dei frequentatori della montagna invernale. E dall’inverno 2022 una legge nazionale li ha resi obbligatori per tutti coloro che effettuano «scialpinismo, sci fuoripista o le attività escursionistiche […] laddove, per le condizioni nivometeorologiche, sussistano rischi di valanghe» come recita il testo del Decreto Legislativo n. 40/2021. Li presentiamo qui insieme all’invito ad approfondire l’argomento con corsi organizzati dalle Guide alpine o dalle scuole del Club Alpino Italiano perché la materia è assai complicata e richiede costante aggiornamento teorico e pratico.

L’Artva

È l’acronimo di Apparecchio per la ricerca del travolto da valanga. Si tratta di una piccola radio ricetrasmittente alimentata a pile che trasmette un segnale alla frequenza di 457 kHz in grado di essere captato da un analogo apparecchio commutato in ricezione e trasformato in un segnale sonoro che aumenta di volume con l’avvicinarsi all’emettitore. Da una decina d’anni sono stati introdotti sul mercato Artva digitali dotati di tre antenne che in fase di ricerca, oltre a emettere il caratteristico bip, indicano la direzione e la distanza indicativa dell’apparecchio in trasmissione. L’utilizzo dell’Artva prevede che venga indossato in trasmissione da tutti i partecipanti a una gita e, in caso di valanga, convertito in ricezione da chi non viene coinvolto per cercare i travolti, mentre tutte le altre persone presenti e non impegnate nella ricerca devono immediatamente interrompere la trasmissione del proprio per evitare di inquinare lo scenario.

Le operazioni di ricerca si dividono in tre fasi. La prima consiste nell’agganciare il segnale dell’Artva sepolto. Convenzionalmente si considera che gli apparecchi hanno una portata utile di 10 metri, per cui sarà necessario battere la valanga lungo tutta la sua estensione disegnando delle greche a non più di 20 metri l’una dall’altra se si è soli, oppure disponendosi a pettine, sempre a una distanza massima di 10 metri in presenza di più soccorritori.

Dopo aver individuato il segnale, inizia la fase secondaria di avvicinamento al sepolto che seguirà un andamento ellittico lungo le direttrici del campo elettromagnetico emesso dall’Artva in trasmissione. Gli apparecchi digitali consentono di accelerare notevolmente questa operazione grazie a una freccia che compare sul display e indica la direzione da seguire.

Infine, si procede con la fase finale che consiste in una serie di movimenti a croce che permettono di individuare il punto sulla superficie nevosa dove il segnale è più forte, quindi più vicino alla persona travolta. Un’accortezza da considerare durante l’utilizzo dell’Artva è quella di concentrarsi anche nella cosiddetta ricerca vista-udito osservando con attenzione il contesto della valanga per individuare eventuali reperti come sci e bastoncini oppure parti del corpo del sepolto che emergono dalla neve e possono accelerarne il ritrovamento. Inoltre, occorre tenere presente che l’Artva sepolto trasmette segnali molto diversi sulla base della profondità a cui si trova, della densità della neve che lo ricopre e della posizione in cui trasmette. È quindi fondamentale esercitarsi con frequenza simulando gli scenari più complessi che potrebbero presentarsi.

Come ci si comporta con più di un travolto?

Se si aggancia più di un segnale Artva, gli apparecchi digitali sono di grande aiuto perché consentono di dare la precedenza a quello più forte – quindi più vicino – escludendo (marcando in gergo) gli altri, quindi concentrando la ricerca sull’obiettivo più facile da raggiungere. Anche in questo caso, occorre fare numerose prove per migliorare gli automatismi.

La sonda

Si tratta di un’asta rigida in alluminio, composta da elementi a incastro montabili della lunghezza complessiva, solitamente, di 240 cm. Serve per individuare con precisione il travolto dopo aver localizzato il segnale massimo con l’Artva perché, in caso di seppellimento a grandi profondità, il campo elettromagnetico potrebbe non indicare esattamente il posizionamento preciso del corpo. Si inizia dal punto indicato dall’Artva e si effettuano sondaggi a distanza di circa 25 cm l’uno dall’altro, perpendicolarmente al terreno, procedendo a chiocciola. È importante sondare la superficie per tutta la sua profondità fino al suolo, concentrandosi sulla risposta che la sonda trasmetterà ai polpastrelli delle dita a contatto con le diverse superfici che urterà.

Anche in questo caso è importante esercitarsi sovente per imparare a riconoscere le vibrazioni della sonda con tutto ciò che si trova sotto e all’interno di una valanga: differenti tipi di terra, rocce, legno e tronchi, scarponi, sci e, ovviamente, un corpo umano. Da qualche anno è disponibile sul mercato uno strumento estremamente utile: la cosiddetta sonda intelligente, dotata di un’antenna Artva sulla punta e un piccolo display che indica con precisione la distanza dall’apparecchio in trasmissione. Non appena si individuerà la persona sepolta, si lascia la sonda nella posizione del ritrovamento e si passa alla fase finale.

La pala

Lo scavo deve iniziare soltanto quando si è sicuri di aver individuato il corpo perché, soprattutto in caso di seppellimento a grande profondità, richiede molto tempo e deve essere effettuato a colpo sicuro. Per essere più rapido, deve avvenire in modo da raggiungere il sepolto in orizzontale, tagliando quindi il pendio, senza scavare in profondità una vera e propria buca. Si effettua con la pala che deve essere robusta, compatibilmente con la necessità di portare uno zaino leggero durante le gite, preferibilmente in metallo dal momento che la neve di una valanga può essere molto compatta e si possono trovare rocce in grado di spaccare i modelli in plastica.

La tecnica più efficace consiste nel tagliare blocchi di neve e spostarli dalla superficie che si sta allargando. Se vi sono più persone a disposizione ci si dispone a V, con una persona che scava il pendio nel vertice e gli altri a ventaglio che allontanano la neve riportata dall’imboccatura del foro. Poiché si tratta di un compito molto faticoso, è consigliabile dare sovente il cambio a chi lavora in prima linea. L’obiettivo di questa fase è liberare più in fretta possibile le vie aeree del sepolto, quindi raggiungerne prioritariamente il volto. Per motivi sanitari è preferibile evitare al travolto qualsiasi tipo di movimento, per cui, dopo avergli liberato il volto ed eventualmente le vie aeree dalla neve che potrebbe ostruirle, bisogna semplicemente proteggerlo dal freddo e aspettare l’arrivo dei soccorsi organizzati e del personale medico.

Una piccola accortezza per il benessere del sepolto: appoggiare due mani calde sulle sue guance. Chi è rimasto intrappolato nella neve gelata, dopo aver visto letteralmente la morte in faccia, racconta che è la sensazione che dà più sollievo.

L’attrezzatura aggiuntiva: airbag e avalung

Il primo è un dispositivo presente in alcuni modelli di zaino che funziona grossomodo come l’airbag dell’automobile, cioè consiste un grande palloncino che si gonfia tirando una manovella e azionando una bomboletta di aria compressa. Poiché il volume del corpo umano è superiore a quello della neve, all’interno della valanga il travolto tende a essere sepolto. Il principio dell’airbag consiste, quindi, nell’aumentare il volume della persona favorendone il galleggiamento nella massa nevosa e quindi consentendogli di restare maggiormente in superficie. Inoltre, può avere la funzione di ridurre la traumatologia che si riscontra durante il rotolamento in una valanga, attutendo gli urti contro eventuali superfici dure come rocce e tronchi.

Il secondo è l’acronimo di avalanche lung, sostanzialmente un polmone da valanga. Si tratta di un giubbotto dotato di un tubo con boccaglio che viene inserito nella bocca dal travolto e, grazie a una serie di tubi più piccoli distribuiti sulla superficie del gilet, consente di respirare sotto la neve filtrando l’ossigeno inspirato e separandolo dall’anidride carbonica espirata.

Ma c’è sempre un “ma”

Seppur raro, l’incidente da valanga provoca il decesso approssimativamente del 50% delle persone travolte – circa 19 persone all’anno, solo in Italia – nonostante i notevoli progressi in fatto di tecnologie e tecniche. Avere con sé l’attrezzatura salvavita non deve essere un motivo valido per ridurre l’attenzione perché il modo migliore per sopravvivere a una valanga è non restarne coinvolto grazie a una corretta prevenzione fatta di pianificazione e cultura della montagna e della neve.

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