News

Da Kathmandu a Lukla – La strada per l’Everest

La grande festa, la crisi economica del Nepal, il diluvio. Sono questi elementi a rendere diverso dal solito il viaggio a piedi verso la base dell’Everest. Un pellegrinaggio laico che si pratica da decenni, che nella primavera del 2023 dovrebbe diventare più intenso per celebrare i settant’anni dalla prima salita agli 8848 metri della vetta da parte di Edmund Hillary e Tenzing Norgay. E’ un pellegrinaggio utile, perché porta dollari, euro, yen e altra valuta pregiata a un popolo fiaccato dalla crisi, e che è finalmente ridiventato possibile dopo due anni di blocco causato dal Covid. Ma dove i numeri, al contrario che nell’estate che si è appena conclusa in Europa, restano ancora molto inferiori a quelli del 2018 e del 2019.   

La festa del Dashain

Prima di tutto, però, c’è la festa. Per una decina di giorni, alla fine del monsone, il Nepal si ferma per il Dashain, la serie di celebraziini che ricorda la vittoria della dea Durga contro i demoni. E’ una festa degli indù, che sono la grande maggioranza nel paese. Gli uffici e le scuole, però, chiudono per una settimana per tutti, anche nelle zone a prevalenza buddhista. Gli storici delle religioni hanno certamente spiegazioni più complesse e più serie, ma a vederlo dal vivo il Dashain sembra una via di mezzo tra i nostri Natale e Carnevale, o forse la somma dei due. A Kathmandu, e in centinaia di altri centri, anche i templi più piccoli vengono addobbati a festa. Migliaia e migliaia di fedeli si mettono in fila all’ingresso dei luoghi di culto più grandi, alcuni dei quali (come quello di Taleju nel cuore della capitale), aprono soltanto in questi giorni. Davanti ai santuari si continuano a sacrificare bufali, polli o capre. Un’usanza contestata da anni dai gruppi animalisti, che non sono finora riusciti a scalfire lo spirito del paese. Poi c’è la festa familiare e di piazza. Durante il Dashain le famiglie, come per il nostro Natale, si riuniscono per celebrare, e molti nepalesi emigrati tornano in questi giorni. A Bhaktapur, antica cittadina alle porte di Kathmandu, decine di bande di quartiere percorrono le strade suonando. La grande stupa di Bodnath, il più importante santuario buddhista del Nepal, non dovrebbe essere toccata dal Dashain. Invece migliaia di indù, in questi giorni, si uniscono ai monaci e agli altri fedeli del Buddha (molti sono Sherpa, o profughi dal Tibet) che compiono il periplo del monumento. Le giornate di festa segnano tradizionalmente il ritorno del bel tempo, ma quest’anno sono state annaffiate da una violenta coda del monsone. Ma la gente ha festeggiato lo stesso.   

E’ impossibile, per i trekker che affollano in questi giorni Kathmandu prima di mettersi in marcia, sfuggire al fascino del Dashain. Non è facile, per chi vuole raccontare da cronista l’Everest e il sentiero che lo raggiunge, trovare in questi giorno informazioni sul Nepal “normale”, che si riprenderà la scena solo tra qualche giorno.

Il Nepal oggi

Ma qualcosa si può provare a capire. Il Nepal, che ha appena superato i 30 milioni di abitanti (briciole rispetto all’India e alla Cina), ha traversato un lockdown durissimo. Oggi è finalmente in ripresa, ma le ferite sono evidenti e profonde. In Italia e nel resto d’Europa i governi hanno dato una mano alle imprese, ai professionisti, alle famiglie, poi sono arrivati l’Unione Europea, con il nostro PNRR e gli interventi in altri Stati. In Nepal, la mano pubblica non ha dato una rupia a nessuno, il PIL è in territorio negativo da due anni, e le buone previsioni per il 2022 si sono ridotte come e più che da noi. 

La crisi del comparto turismo e il quadro politico

Nella crisi dell’economia nepalese il settore più colpito è certamente il turismo, fonte primaria di reddito per centinaia di migliaia di persone, che nel 2020 si è fermato e nel 2021 ha avuto una ripresa minima. I visitatori del Nepal, quest’anno, saranno (se va bene) il 30% in meno di quelli di prima del Covid. Contribuisce alla riduzione del turismo la chiusura dei confini della Cina, che impedisce ai suoi cittadini di partire. E che ha bloccato, da tre anni, le spedizioni al Cho Oyu, allo Shishapangma e al versante tibetano dell’Everest, che in buona parte partivano da Kathmandu e traversavano il confine a Kodari. Si sono fermati i viaggi verso il Kailas e altre mete remote, e soprattutto i tour di cinque o sei giorni da Kathmandu a Lhasa, con andata via terra e ritorno in aereo, che sono stati proposti per decenni dalle agenzie nepalesi, spesso a prezzi stracciati e con un grande successo. Va da sé che la chiusura del Cho Oyu, considerato il più facile degli “ottomila”, ha portato al boom delle spedizioni sul Manaslu. E che la coda del monsone, che ad alta quota ha portato molta neve, ha contribuito a causare le valanghe e le vittime dei giorni scorsi.

Non è facile, per un osservatore straniero, capire il bizantino quadro politico del Nepal, dove dal 2007, quando la repubblica ha sostituito la monarchia, i Maoisti si alleano una volta con il tradizionale Partito Comunista, e in altri con il Partito del Congresso, d’ispirazione centrista. Tra un mese e mezzo, il 20 novembre, i nepalesi voteranno di nuovo, ma non sono previsti grandi cambiamenti. Qualche mese fa, un grande entusiasmo ha accompagnato l’elezione a sindaco di Kathmandu di Balen Shah, ingegnere e rapper poco più che trentenne. Ma i cumuli di spazzatura accanto alle strade mostrano che l’efficienza del Comune non è migliorata. 

La politica nepalese, però, ha complicato la vita ai trekker diretti verso le valli dell’Everest. Da qualche mese, per evitare congestioni all’aeroporto di Kathmandu, i piccoli aerei diretti all’aeroporto di Lukla partono dalla pista di Ramechhap, una cittadina che si raggiunge con uno scomodissimo trasferimento di tre o quattro ore in bus o in auto. Dalla capitale si può partire solo in elicottero, a un costo molto superiore. 

L’inizio del viaggio

Il mio viaggio verso le montagne, per quel poco che conta, inizia con sei ore di attesa in aeroporto, mentre fuori diluvia e le nuvole nascondono le colline che chiudono la valle di Kathmandu. Poi, prima che i passeggeri vengano rimandati in albergo, un elicottero che arriva da Lukla, e che ha trovato uno spiraglio apre le danze, e iniziano i decolli. Il volo, un’ora abbondante invece della tradizionale mezz’ora in aereo, è un pezzo di bravura da parte del pilota della Altitude Air, che quando l’orizzonte si chiude scende di quota, ed esce dalla conca di Kathmandu seguendo un fiume. Alla fine del viaggio fa lo stesso risalendo a bassa quota i meandri della valle della Dudh Kosi. 

Alla fine, al contrario dei Twin Otter e dei Dornier che si tuffano sulla brevissima pista dall’alto, l’elicottero sale rapidamente di quota, deposita sulla pista i passeggeri, ne carica altri e si rituffa tra le nuvole. “Aeroporto Hillary-Tenzing” recita un cartello in inglese. Fin qui siamo riusciti ad arrivare, ora bisogna mettersi in marcia.  

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close