Ambiente

Poca neve e caldo estivo, nel Gran Paradiso la peggior deglaciazione mai osservata

Gli effetti del caldo estivo, combinati alla siccità invernale, lasciavano presagire un bilancio di deglaciazione drammatico sui ghiacciai delle Alpi, ma soltanto i rilievi effettuati alla fine della stagione calda ci hanno fornito l’entità esatta della perdita in spessore dei principali bacini glaciali. In particolare, lo scorso 20 settembre 2022, il personale della Società Meteorologica Italiana, coadiuvato dai guardiaparco del Parco Nazionale del Gran Paradiso con la collaborazione di Iren Energia, è tornato sul ghiacciaio del Ciardoney, in alta Val Soana (To), per effettuare il secondo monitoraggio annuale dopo quello effettuato il 1 giugno, di cui avevamo scritto.

Si tratta di un’iniziativa scientifica condotta ininterrottamente dal 1992 che prevede due attività di misurazione, all’inizio e alla fine di ciascuna estate, con l’obiettivo di analizzare il livello di fusione del ghiacciaio in relazione con le precipitazioni invernali e le temperature estive. Un lavoro prezioso condotto da Luca Mercalli e la sua equipe, guidata da Daniele Cat Berro, che purtroppo continua a restituirci risultati negativi e bilanci in costante peggioramento.

Possiamo “serenamente” affermare che lo studio condotto dalla Società Meteorologica Italiana misura l’entità di fusione del ghiacciaio del Ciardoney. È un processo che dura da quanto tempo?

Non abbiamo dati precisi – attacca sconsolato Cat Berro – ma è un andamento che prosegue ininterrottamente dagli anni ’70. Il Ciardoney come la maggior parte, probabilmente la totalità, dei ghiacciai alpini al di sotto dei 3500 metri di quota è destinato a scomparire rapidamente. Con i tassi di fusione misurati nell’ultimo decennio possiamo prevedere che per la metà del secolo non ci saranno più. Ma i principali modelli di previsione climatica ci dicono che le temperature sono destinate ad aumentare ulteriormente, quindi non ci stiamo interrogando sul “se”, ma sul “quando”.

 Venendo ai rilievi effettuati il 20 settembre, quali sono i risultati più eclatanti?

Rimando alla lettura del report che abbiamo pubblicato sul nostro sito, con i dati completi e foto comparative, ma senz’altro colpisce la perdita media di massa che ammonta a 4 metri di acqua equivalente. Siamo un metro oltre quanto registrato alla fine dell’estate 2003 e il triplo rispetto alla media registrata nel trentennio 1992-2021. E si tratta, oltretutto, di un risultato in linea con ghiacciai analoghi in altre aree alpine come il Basodino o il ghiacciaio del Lupo. Significa che la combinazione di siccità invernale e calura estiva ha colpito in maniera simile l’intero arco alpino. A conferma di ciò, in questi giorni sono stati resi noti i risultati dei monitoraggi in Svizzera che registrano 6 metri di perdita di spessore ai 2700 metri della Konkordiaplatz sul ghiacciaio dell’Aletsch e una diminuzione totale del 6% della massa glaciale elvetica. Il doppio rispetto all’estate del 2003 che aveva segnato temperature analoghe al 2022, ma precipitazioni invernali più abbondanti.

Un’immagine visiva della fusione è data dalla caduta delle paline ablatometriche infisse nel ghiacciaio per misurarne lo spessore.

Abbiamo dovuto effettuare una missione intermedia il 14 luglio per sostituire alcune paline che stavano fuoriuscendo dalla superficie perché il ghiaccio in cui erano piantate stava scomparendo. Vengono inserite in fori profondi 9/10 metri, ricavati da una sonda a vapore. Nella parte bassa erano state installate nel 2018: grossomodo lo spessore che è fuso in 5 anni. Durante quella missione, non avevamo sostituito la palina più in quota, ai 3250 metri del Colle Ciardoney, che era ancora conficcata a 3 metri di profondità e immaginavamo avrebbe retto tranquillamente. Ebbene, il 20 settembre era  caduta a terra…

L’incidente alla Marmolada e la chiusura estiva di molte vie di salita alle principali vette alpine mostrano che il riscaldamento globale ha posto i frequentatori della montagna di fronte a scenari inediti e a pericoli oggettivi nuovi e difficili da interpretare. Voi studiosi siete in grado di suggerire qualche soluzione?

Ho seguito con attenzione il dibattito tra chi afferma che si va in montagna a proprio rischio e pericolo e chi sottolinea che le responsabilità oggettive degli amministratori e i costi sociali di eventuali missioni di soccorso possono giustificare limitazioni e chiusure. In realtà non ho una risposta perché entrambe le posizioni hanno fondamento e non è facile individuare un punto di incontro. Si era ipotizzato, come soluzione, l’istituzione di un sistema di monitoraggio in grado di determinare bollettini di rischio un po’ come si fa in inverno con le valanghe. Personalmente sono contrario perché allo stato attuale non abbiamo sufficienti conoscenze per prevedere eventi gravi come la Marmolada. Quel giorno, le stesse condizioni che hanno provocato il crollo del seracco si stavano verificando in altre decine, se non centinaia, di situazioni analoghe su tutti i ghiacciai alpini. Ma l’incidente si è verificato soltanto lì. Per il momento penso che si possa soltanto lavorare sulla cultura dei frequentatori della montagna e che le istituzioni competenti debbano aggiornare le modalità di trasmissione delle conoscenze alla luce di questi fenomeni che hanno cambiato e cambieranno sempre più il nostro modo di fruire le alte quote.

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