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Ice Memory, il ghiaccio del Gran Sasso verrà conservato in Antartide

Qualche settimana fa, il 13 e il 14 marzo, un gruppo di ricercatori, in buona parte arrivati dal Veneto, ha lavorato sul ghiacciaio del Calderone, il più meridionale d’Europa, nel cuore del massiccio del Gran Sasso. Anche a causa delle nevicate dei giorni precedenti, e dell’elevato pericolo di valanghe, i ricercatori dell’Istituto di Scienze Polari del CNR e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, insieme ai colleghi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università di Padova e della società Engeoneering Srl hanno raggiungo i 2650 metri della conca ai piedi del Corno Grande con un elicottero dei Vigili del Fuoco.  

Abbiamo svolto indagini geofisiche (con georadar ed elettromagnetometro) e topografiche, abbiamo scoperto che lo spessore massimo del ghiaccio, nel punto in cui la conca lascia il posto al pendio che sale alla Vetta occidentale, è di circa 26 metri. Il vero lavoro inizierà dopo Pasqua, quando porteremo in quota il materiale ed estrarremo una “carota” di ghiaccio da studiare e conservare” spiega Jacopo Gabrieli, ricercatore dell’ISP-CNR. 

I ghiacciai, in tutto il mondo, sono preziosi per misurare il cambiamento del clima. Come sappiamo, però, il riscaldamento globale sta avendo un effetto devastante sulle colate di ghiaccio, che si riducono, si frammentano e a volte scompaiono del tutto. Se il trend attuale continuerà, gran parte dei ghiacciai alpini sotto ai 3600 metri di quota scomparirà entro il 2100. Sarà un grave danno per la nostra disponibilità di acqua potabile, e anche per la nostra conoscenza della storia del pianeta. Gli strati del ghiaccio, infatti, registrano in modo continuo gli eventi e le condizioni del clima. Se non c’è fusione le informazioni restano nella neve, creando a un vero e proprio archivio. Lo scioglimento dovuto al riscaldamento del clima rischia di farle perdere per sempre. Il prelievo della prima “carota” di ghiaccio è avvenuto nel 1960 in Groenlandia. Qualche anno fa in Antartide si è arrivati a 3300 metri di profondità, e quindi a un ghiaccio che si è formato 820.000 anni fa. Nel 2021 Valter Maggi e i suoi colleghi dell’Università di Milano Bicocca hanno estratto dal Pian di Neve dell’Adamello una “carota” di 234 metri, in grado di raccontarci il clima del Medioevo. 

Il progetto Ice Memory, ideato dal professor Carlo Barbante, è iniziato nel 2017 con prelievi oltre i 4000 metri di quota sul Monte Bianco (Col du Dôme) e sul Monte Rosa (Colle Gnifetti)” prosegue Jacopo Gabrieli. Ora ci stiamo concentrando sui ghiacciai più piccoli e a rischio di estinzione, dalla Marmolada al Montasio e al Calderone. A queste quote il ghiaccio si assottiglia rapidamente, l’acqua di fusione può percolare e danneggiare gli strati. Se non facciamo presto a estrarre le “carote” rischiamo di scoprire un manoscritto prezioso, ma con le pagine troppo sbiadite per essere lette”. 

Nel progetto Ice Memory, insieme all’ISP-CNR e all’Università Ca’ Foscari di Venezia, sono coinvolti la Fondation Université Grenoble-Alpes, il Paul Scherrer Institut svizzero, il CNRS che è l’equivalente francese del nostro CNR, l’Institut de Recherche pour le Développement, l’Institut Polaire Français Paul Émile Victor e il Programma Nazionale italiano per le ricerche in Antartide (PNRA). Si sta lavorando coinvolgere l’International Partnerships in Ice Core Sciences (IPICS) e l’UNESCO. Dà un sapore speciale e assolutamente internazionale al progetto l’idea di conservare parte delle “carote” di ghiaccio nella base italo-francese di Concordia, nel cuore dell’Antartide. Sarà un prezioso archivio dedicato al clima, conservato nel luogo più freddo e ghiacciato della Terra. 

Prima di studiare e portare in Antartide la “carota” di ghiaccio del Gran Sasso bisogna estrarla dal Calderone, e sarà un’impresa complicata. Il ricercatore Jacopo Gabrieli ci spiega perché. Crediamo che al ghiaccio siano frammisti terra e ghiaia, e questo ci impedisce di usare uno dei carotieri leggeri, in alluminio, con cui lavoriamo sulle Alpi. Ce ne servirà uno utilizzato normalmente dai geologi, che pesa 45 quintali. Per portarlo in quota avremo bisogno di un Erickson C-64, un enorme elicottero dei Vigili del Fuoco. Per utilizzare il macchinario servirà una piattaforma di 12 o 13 metri per 4”. Il lavoro dovrebbe iniziare subito dopo Pasqua. I ricercatori raggiungeranno al rifugio Franchetti, che si trova 200 metri di dislivello più in basso e fungerà da campo-base, poi inizieranno a spianare la neve per costruire la piattaforma. Il tempo complessivo, meteo permettendo, dovrebbe essere di una decina di giorni.

Contribuiscono al progetto Ice Memory il Comune di Pietracamela, il rifugio Franchetti e quindi la Sezione di Roma del CAI, e due aziende come AKU e Karpos. Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha concesso la sua autorizzazione. 

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Un commento

  1. chi paga (noi contribuenti) – a cosa serve (….) – che vantaggi si avranno per l’umanità (….) – chi eseguirà l’operazione (….) – chi sarà remunerato per l’operazione (…) – quali saranno i costi futuri per gestire questa “memoria” (….)

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