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Se n’è andato Gigi Mario, monaco Zen e maestro di alpinismo

Poche ore fa, in un ospedale dell’Umbria, si è spento un grande personaggio dell’alpinismo italiano. A piangere Luigi Mario, Gigi per chi lo conosceva di persona, non sono soltanto gli appassionati dell’Italia centrale, che lo conoscono per le sue straordinarie vie sul Gran Sasso, e per la scoperta, a quasi trent’anni l’una dall’altra, della scogliera di Gaeta e della falesia di Ferentillo. 

Due anni fa, mentre insieme a Fabrizio Antonioli lavoravo al documentario Lazio verticale, ho passato qualche ora ad ammirare l’eleganza in arrampicata di Gigi, a ottant’anni suonati. Da quella giornata, e dalle lunghe conversazioni nelle pause, è uscita anche una lunga e bella intervista pubblicata da Montagna.tv.  

La storia di Gigi Mario, se raccontata sottolineando le gag, potrebbe sembrare la sceneggiatura di una serie televisiva o di un film. Invece è una storia di vita autentica, che dimostra come un uomo possa costruirsi una vita seguendo le sue doti naturali e le sue passioni. Nato a Roma in una famiglia modesta, Gigi ha attraversato da bambino, nel quartiere Appio-Latino, accanto alla basilica di San Giovanni, i mesi terribili della guerra e dell’occupazione nazista. Il suo primo contatto con l’arrampicata, a sedici anni, è stato sulle antiche mura del Colosseo, da cui è stato cacciato in malo modo da un pizzardone, un vigile urbano di Roma. Poco dopo il ragazzo, che aveva in testa una gran chioma di capelli rossi, ha scoperto l’arrampicata autentica. E ha iniziato a disegnare sulle pareti del Gran Sasso delle vie di straordinaria difficoltà ed eleganza, dallo Spigolo a destra della Crepa del Corno Piccolo fino al Quarto Pilastro del Paretone del Corno Grande. 

All’inizio degli anni Sessanta, Gigi Mario ha lasciato un noioso ma comodo posto in banca, ha scelto il mestiere di guida alpina, ha preso in gestione il rifugio Franchetti che la sezione di Roma del CAI aveva inaugurato da poco. Il Gran Sasso, però, non gli ha dato abbastanza per vivere. Anche per questo, il ragazzo di Roma è andato a vivere in Giappone. Nel paese del Sol Levante ha lavorato come maestro di sci, poi è entrato in un monastero Zen. E, come prima di lui Fosco Maraini, e John Lennon qualche anno più tardi, ha trovato la donna della sua vita. Quando è tornato in Italia Gigi si è stabilito in un casale, Scaramuccia, sulle dolci colline di fronte alla rupe e al centro medievale di Orvieto, che è diventato al tempo stesso casa e monastero. Da allora, ha alternato l’attività religiosa, con frequenti corsi di meditazione e di Zen, a quella di alpinista e guida alpina. Ha dedicato il suo tempo alle centinaia di allievi che sono passati per la sua scuola di montagna, frequentando corsi di arrampicata libera, di alta montagna e di sci. Per cinque anni, però, Gigi Mario è stato il direttore dei corsi nazionali per diventare guida alpina. 

In quegli anni ha stretto amicizia con altre guide famose (uno di loro, Alberto Paleari, qualche anno dopo ha pubblicato con le Edizioni Monte Rosa Lo Zen e l’arte di scalare le montagne, la deliziosa autobiografia di Gigi). Tra i suoi allievi sono stati dei ragazzi del Gran Sasso destinati a diventare famosi, come Paolo Caruso, Giampiero Di Federico e i fratelli Cristiano e Fabio Delisi, ma anche decine di forti alpinisti del Nord, che restavano a bocca aperta di fronte ai capelli rasati a zero e all’accento romanesco di “Giggi er bonzo”, che scalava come un treno in scarpette, strumento che molti di loro non conoscevano ancora. E che, nei momenti di riposo, insegnava loro a praticare il Tai Chi. 

Merita di essere ricordata l’invenzione della falesia di Ferentillo, allo sbocco della Valnerina, dove Gigi Mario, che aveva in tasca la tessera del Partito Comunista Italiano, ha coinvolto il sindaco del Movimento Sociale Italiano. Il luogo, anche grazie alla spittatura a regola d’arte delle vie, è diventato ed è ancora la parete più frequentata dell’Umbria. 

Non tutti sanno che, prima di lasciare la dirigenza nazionale delle guide, il ragazzo del quartiere Appio-Latino ha proposto una piccola riforma che ha cambiato il loro nome, e ha indicato a tutti loro una strada diversa. Da allora infatti, proprio grazie a Gigi Mario, le “guide alpine” del passato sono diventate “guide alpine-maestri di alpinismo”. Sembra poco ma non lo è. E aiuta a capire molte cose su come Gigi/Engaku Taino intendesse il suo doppio mestiere e la vita. 

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4 Commenti

  1. Ne ho sentito solo parlare dentro casa del caro Gigi, MI dispiace molto non aver fatto la tua conoscenza Al rif Franchetti.
    RIP

  2. Grazie maestro Taino ,
    ti troverò ogni volta che ritorno in montagna a camminare, arrampicare o sciare .
    Paolo Eijo

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