AlpinismoGente di montagna

Angelo Dibona

“Dibona racconta nel suo diario di aver tentato con Guido Mayer salite come la cresta sud dell’Aiguille Noire (che fu poi vinta nel 1930) e l’Arête des Hirondelles alle Grandes Jorasses […] Se Dibona avesse fatto anche queste due salite? Soltanto Reinhold Messner potrebbe dire di aver fatto di più”.

Alessandro Gogna – dal libro “Visione Verticale”

Scrivere un profilo di Angelo Dibona è roba da far tremare le dita sulla tastiera. Troppo facile, di fronte alle sue straordinarie ascensioni, è il rischio di cadere nella celebrazione iperbolica del personaggio: il più grande della sua epoca, uno dei più grandi nella storia dell’alpinismo. D’altro canto è un rischio anche quello di volare troppo bassi, relegandolo ad antesignano dell’epoca del VI grado, immaginandolo come un pioniere dotato di pochi mezzi e tanto coraggio, che ancora si muoveva in un’ottica esplorativa, stando alla larga dalle pareti più ripide e repulsive e aggirando le vere difficoltà in arrampicata. Non è così, le testimonianze di quanti, nelle diverse epoche, hanno ripetuto le sue salite parlano chiaro: è meglio stare all’occhio al quinto grado di Dibona!

Una cosa è certa, il cortinese Angelo Dibona è stato uno dei personaggi più significativi nella storia dell’alpinismo, capace come pochi altri di esprimersi ai massimi livelli sui terreni più diversi, dalle grandi pareti di misto delle Alpi occidentali alle rocce delle Dolomiti. Ed è tutt’oggi un simbolo per e una fonte di ispirazione per chi svolge la professione di guida alpina. Le tracce da lui lasciate lungo tutto l’Arco alpino ancora ci stupiscono e ci parlano. Sono divenute dei “classici”, nel senso che Italo Calvino dava a questa parola: sono opere d’arte alpinistica, che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire.

Dai pascoli alle crode

Angelo Dibona, detto Pilato, nasce a Cadìn, una frazione di Cortina d’Ampezzo, il 7 aprile del 1879, dall’unione di Luigi Dibona e Veneranda Dimai. L’alpinismo e il mestiere di guida alpina sono una tradizione in famiglia. Il nonno materno era infatti la guida Angelo Dimai, protagonista dell’epoca esplorativa dell’alpinismo dolomitico.

Il primo incontro di Dibona con la scalata arriva in giovanissima età. Stando al racconto di Severino Casara, Angelo aveva circa 12 anni quando, per la curiosità di scoprire se fosse vera la leggenda dell’oro sepolto nella grotta del Castel de Foses, si inerpicò slegato sulla parete.

Forse per la delusione di aver trovato nell’antro solo rocce e muschi invece del sospirato tesoro, a quella scalata non seguì immediatamente una folgorante carriera di alpinista e guida. Dopo aver abbandonato gli studi presso la scuola d’arte orafa di Cortina, Dibona comincia infatti a lavorare come pastore, fino all’anno 1900, quando viene chiamato al servizio militare nell’esercito dell’impero asburgico, che allora ancora dominava i territori dell’Alto Adige e del Trentino. Viene inviato a Innsbruck ed entra nel corpo dei Kaiserjäger, da cui viene congedato nel 1903.

Tornato a casa decide di dedicarsi alla professione di guida e, nel 1905, ottiene la qualifica di portatore, cominciando così il suo percorso di formazione, che termina nel 1907 quando, dopo un corso di tre settimane tenutosi a Villach, viene ammesso ad esercitare la professione. Nel 1911 si abilita anche come maestro di sci, uno dei primi a Cortina, insieme a Celestino de Zanna e Bortolo Barbaria.

Sul V grado e oltre…

Una volta ottenuta l’abilitazione alla professione Dibona diviene presto una guida stimata e rinomata, che avrà fra i suoi clienti personaggi celebri fra cui Re Alberto del Belgio, appassionato ed abile alpinista. Alcuni di questi, come i fratelli Guido e Max Mayer di Vienna, diverranno i suoi compagni di cordata anche nel corso di molte delle più difficili prime ascensioni.

L’astro nascente Dibona non tarda a farsi notare anche dagli altri grandi protagonisti della scalata nelle Alpi orientali come Sepp Innerkofler, Paul Preuss e Tita Piaz. È proprio quest’ultimo ad indicargli una lista dei “grandi problemi” che ancora attendevano un risolutore: la parete ovest della Roda di Vael, la nord di Cima Una, la sudovest del Croz dell’Altissimo e la nord del Lalidererspitze. Lista che negli anni immediatamente successivi Angelo spunta con determinazione inesorabile, riuscendo a superare con successo anche le difficoltà che avevano respinto i suoi grandi contemporanei.

La progressione geometrica comincia nel 1908, quando con l’altra guida Agostino Verzi e gli inglesi Edward Alfred Broone e Hanson Kelly Corning, sale la Parete Rossa della Roda di Vael. La via affronta la grande pala alla sua estremità destra, lungo una linea di camini che evita le zone gialle e strapiombanti, ma la visione concretizzata da Dibona e compagni è assolutamente innovativa e rivoluzionaria: affrontano un parete inviolata, all’apparenza insuperabile, risolvendo passaggi che toccano il V grado, il tutto con mezzi tecnici primordiali: scarpe con le suole di corda, “canaponi” legati in vita e nessun sistema di assicurazione in sosta, se non le buone spalle del compagno di cordata. E i chiodi? Dibona nella sua quarantennale carriera li pianterà con straordinaria parsimonia: soltanto 15 totale, su oltre cinquanta prime salite!

Il 6 agosto del 1909 lo sguardo di Dibona e del compagno Emil Stübler si affacciano sul vuoto della  parete nord della Cima Grande di Lavaredo. I tempi non sono ancora maturi perché si possa concepire una linea che vinca direttamente quella successione pazzesca di strapiombi, ma non è un caso che sia proprio lui il primo a corteggiarli, anche se a distanza. La via Dibona, risale, infatti, l’elegante spigolo nordest, proprio sul bordo del baratro.

Nella lista dei famosi “problemi irrisolti”, uno dei più ambiziosi è sicuramente la nord della Cima Una. La parete è un appicco di più di 800 metri e si trova nelle Dolomiti di Sesto, il regno della celebre guida Sepp Innerkofler. Questi l’ha tentata più volte senza mai venirne a capo e si è ormai convinto che si tratti di una parete impossibile, tanto da promettere una ricompensa di 100 corone a chiunque riesca anche soltanto ad eguagliare i suoi tentativi, riportandogli il cordino lasciato nei pressi del punto più alto da lui raggiunto. All’alba del 18 luglio del 1910 Dibona, Rizzi e i fratelli Mayer sono al cospetto della gigantesca parete. Attaccano e proseguono inarrestabili, nonostante le difficoltà che spesso arrivano al V grado. Raggiungono e recuperano il cordino di Innerkofler e alle 11 di sera, sotto la pioggia battente, sono in cima. Oltre al superamento di difficoltà che avevano respinto i migliori scalatori dell’epoca, questa impresa mette in risalto un’altra caratteristica di quella straordinaria cordata: l’impressionante velocità di progressione; merito certamente di un approccio che accettava margini di rischio oggi impensabili e non perdeva tempo nella creazione di punti di sosta e sicurezza, ma anche del talento sopraffino Dibona e Rizzi e del loro “naso”, capace fiutare la via più logica anche in un labirinto verticale di quelle dimensioni.

Questa però è solo la prima delle realizzazioni di un anno straordinario. Seguono in agosto la sud del Bec di Mesdì, la sudovest del Sass Pordoi e poi la sudovest del Croz dell’Altissimo.

L’affiatamento della cordata Dibona – Rizzi – Mayer – Mayer è perfetto e il quartetto supera senza bivaccare l’itinerario di ben 1000 metri di sviluppo. Le difficoltà, in particolare nel caratteristico e temibile passaggio del masso squarciato, superano in più punti il V superiore, ma non sono pochi coloro che ritengono che già si potrebbe scomodare un VI grado, con 15 anni di anticipo rispetto alla via di Solleder alla nordovest del Civetta. Pochi giorni dopo questa strepitosa realizzazione, ancora non sazi di roccia e avventura, i quattro sono nelle Alpi della Stiria, dove il 25 agosto, in sole 8 ore di scalata, superano i 700 metri dello spigolo nordovest dell’Oedstein.

Il 1910 è anche l’anno del suo matrimonio: Dibona sposa Angelina De Zanna, dalla quale avrà sette figli, quattro femmine e tre maschi. L’anno successivo il magico quartetto vive una stagione ancora più prolifica: le prime salite sono addirittura 10. Fra queste la via sulla nord del Campanile Ovest del Sassolungo dove a stupire non è la difficoltà dei singoli tratti di arrampicata, ma la grandiosità di un itinerario che si sviluppa per 1400 metri attraverso una parete immensa e selvaggia.

Estreme sono invece le difficoltà che Dibona e compagni risolvono sulla nord del Lalidererspitze, nel gruppo austriaco del Karwenel. La parete si innalza per quasi 900 metri di roccia spesso friabile, che impegna i quattro alpinisti forse più di ogni altra precedente impresa. Lo dimostra il fatto che dopo un’intera giornata di scalata le cordate sono solo a metà della salita e devono affrontare il bivacco in parete. Il giorno dopo devono ancora affrontare 8 ore di durissima arrampicata e piantare addirittura 6 chiodi prima di raggiungere la vetta. Fra gli scalatori austriaci la salita viene salutata come la più grande ascensione su roccia compiuta sino ad allora.

Nelle Alpi dell’ovest

Non contento di aver rivoluzionato gli orizzonti della scalata dolomitica, dimostrando una polivalenza eguagliata da pochissimi altri in tutta la storia dell’alpinismo, Angelo Dibona si avvia a risolvere anche i grandi problemi delle Alpi dell’Ovest.

Nel 1912, sempre in cordata con i fratelli Mayer, vince la temuta parete sud della Meije nel Delfinato, dove aveva trovato la morte il grande Emil Zsigmondy, nel 1885. Quello tracciato da Dibona è ancora una volta un itinerario grandioso: 800 metri di dislivello e difficoltà che arrivano al V grado superiore, superato senza piantare neppure un chiodo! Impressionante è anche la salita della Cote Rouge all’Ailefroide: 700 metri su un versante selvaggio e ai tempi praticamente inesplorato.

Il 1913 è l’anno della parete Nord-ovest del Dome de Neige des Écrins. A differenza della sud Meije, prevalentemente rocciosa, questa è un’ascensione su terreno misto di più di 1000 metri, che si sviluppa nella prima metà lungo un couloir esposto alle scariche di sassi e prosegue per una parete di roccia friabile. L’uomo venuto dalle Dolomiti ne viene a capo con la sua solita decisione e velocità, conquistandosi un posto d’onore anche nel pantheon degli occidentalisti.

Di fronte a queste imprese passa quasi inosservata la salita della slanciata guglia del Pain de Sucre du Soreiller, uno slanciato monolite di granito del Massiccio des Écrins, che ai tempi godeva fama di inaccessibilità. Prima di concludere le sue due stagioni nel Delfinato la guida cortinese riuscì a mettere per primo i piedi anche sulla cima di questa guglia, che poi verrà chiamata in suo onore Aiguille Dibona.

Sempre nel 1913 Dibona lascia il segno anche nel gruppo del Monte Bianco, dove sale da sudest l’Aiguille du Plan e la cresta est-nordest del Dent du Requin, che egli stesso considerava come la sua via più difficile e oggi è divenuta una classica, anche se l’itinerario attualmente in uso segue una linea meno diretta di quella affrontata dai rimi salitori. 

Dalla Prima guerra mondiale alle ultime salite

La cavalcata inarrestabile di Angelo Dibona si ferma solo davanti al baratro della Prima Guerra Mondiale.

Le sue montagne diventano il teatro degli scontri fra le truppe austriache e quelle italiane e lo scalatore ampezzano è richiamato alle armi nel corpo dei Kaiserjäger. Partecipa agli scontri con le truppe degli alpini nei gruppi della Presanella, dell’Adamello e sull’Ortles. Combatte sull’Isonzo e viene più volte decorato, per poi essere trasferito alla scuola militare della Val Gardena come istruttore e guida militare. In questa veste ha modo di far valere ancora il suo eccezionale talento, compiendo imprese come la salita di tutte le cime del Sassolungo, realizzata in assetto da pattuglia, ovvero con fucile a tracolla e scarpe chiodate ai piedi…

Finito il conflitto Dibona riprende il suo lavoro di guida, continuando ad accompagnare i clienti sulle vie più belle delle Dolomiti, aprendo ancora nuovi itinerari e ritornando da capo di cordata, e in età ormai avanzata, su alcuni dei suoi capolavori di gioventù: nel 1932 ripete lo Spigolo nordovest dell’Oedstein e nel ‘33 è sulla nord della Cima Una. Il 28 luglio del 1944, portandosi sulle spalle i suoi 65 anni, apre l’ultima via, sulla parete nord ovest della Punta di Michele, nel gruppo del Cristallo.

Dibona muore nella sua casa di Cortina il 21 aprile del 1956.

Oggi la sua città lo ricorda in piazza con una statua del celebre scultore Augsto Murer e la sua memoria è ben custodita nel cuore e nell’orgoglio di tutti coloro che esercitano la professione di guida alpina e di chi in montagna ricerca l’incontro con l’ignoto e l’avventura.

Le principali salite sulle Alpi

  • 1908, parete ovest della Roda di Vael, gruppo del Catinaccio
  • 1909, spigolo nordest della Cima Grande di Lavaredo
  • 1910, parete nord della Cima Una
  • 1910, parete sudovest del Sass Pordoi
  • 1910, parete sudovest del Croz dell’Altissimo
  • 1910, spigolo nordovest dell’Oedstein
  • 1910, parete ovest della cima sud della Croda dei Toni
  • 1911, parete nord del Campanile Ovest del Sassolungo
  • 1911, parete est del Monte Popera
  • 1911, sperone nord di Cima Popera
  • 1911, parete nord della Lalidererspitze
  • 1911, parete nordest della Croda Rossa di Sesto
  • 1911, parete sud della Punta Grohmann
  • 1912, parete sud della Meije
  • 1912, parete sud della Tofana di Rozes
  • 1912, parete sud del Pain de Sucre du Soreiller (oggi Aiguille Dibona)
  • 1913, prima salita della Torre Leo, gruppo dei Cadini di Misurina
  • 1913, parete nordovest del Dome de Neiges des Ecrins
  • 1913, creta della  Cote Rouge all’Ailefroide
  • 1913, spigolo est-nordest del Dent du Requin, gruppo del Monte Bianco
  • 1913, versante sudovest dell’Aiguille du Plan, gruppo del Monte Bianco
  • 1913, tentativo ala cresta sud dell’Aiguille Noire du Peuterey fermato dal maltempo
  • 1932, ripetizione dello spigolo nordovest dell’Oedstein
  • 1933, ripetizione della parete nord della Cima Una

Libri

Da Cortina d’Ampezzo alle Alpi – Angelo Dibona alpinista e guida, Carlo Gandini, Edizioni ULd’A – Union de i Ladis de Ampezo, 2006

Film

Angelo Dibona – Alpinista e guida, Francesco Mansutti e Vinicio Stefanello, Italia, 2006, 31’

“[…] Mi prese il terrore di cadere e il mio corpo s’arrestò. Staccai dall’imbracarura un chiodo e lo puntai in una piccola crepa. Mentre pieno di vergogna martellavo il ferro di salvamento pensavo a Dibona, che era salito su di là da solo e slegato quasi cento anni prima”.

Mauro Corona – dal libro “Nel legno e nella pietra”

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