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La scoperta della via nepalese all’Everest

L’ultimo giorno di settembre del 1951 la storia della montagna più alta della Terra cambia. Quattro alpinisti lasciano un campo piazzato a Gorak Shep, a 5100 metri di quota, percorrono l’ultimo tratto facile del ghiacciaio, poi attaccano l’impressionante seraccata del Khumbu, che sbarra la strada verso le alte quote dell’Everest. I britannici Tom Bourdillon e Michael Ward provano a passare sulla destra, ai piedi delle pareti del Nuptse. Il neozelandese Earle Riddiford e lo sherpa Pasang tentano al centro della colata di ghiaccio, tenendosi a prudente distanza sia dal Nuptse sia dai pendii della cresta Ovest dell’Everest. Gli ultimi due non lo sanno, ma per il loro itinerario, nei successivi settant’anni, passeranno migliaia di alpinisti. 

Un passo indietro s’impone. La storia dell’esplorazione dell’Everest, che inizia nel 1921, fino alla Seconda Guerra Mondiale si svolge interamente sul versante del Tibet. Nella prima spedizione George Mallory e Guy Bullock risalgono il ghiacciaio di Rongbuk fino ai 6006 metri del Lho La, un valico sul confine con il Nepal. Vedono la seraccata, scoprono che più in alto c’è un anfiteatro glaciale che battezzano Western Cwm, una parola gallese che significa “circo”. L’Everest, però, impedisce loro di scorgere la parete del Lhotse e il Colle Sud. Tra il 1922 e il 1937, altre sei spedizioni britanniche raggiungono più volte gli 8500 metri. Nella più celebre, nel 1924, Mallory e Andrew Irvine scompaiono sulla montagna. Ma la vetta rimane inviolata. 

Le esplorazioni del versante nepalese

Dopo la Seconda Guerra Mondiale tutto cambia. Mentre l’occupazione cinese del Tibet blocca le spedizioni straniere, re Tribhuvan apre le frontiere del Nepal. Nel 1950, la vittoria della spedizione francese sugli 8091 metri dell’Annapurna mostra che gli “ottomila” possono essere saliti. Qualche mese dopo l’inglese Harold “Bill” Tilman e l’americano Charles Houston sono i primi occidentali a visitare il Khumbu. Arrivano ai piedi dell’Ice Fall, salgono sui 5400 metri del Kala Pattar, una facile cima oggi spesso visitata dai trekker, poi tornano a tappe forzate in pianura. Hanno visto luoghi meravigliosi, ma non sono sicuri che l’ascensione da questo lato sia possibile.

La scoperta della via nepalese

Nei mesi successivi, l’alpinista e medico londinese Michael Ward vuole organizzare un sopralluogo con più mezzi. Lo aiuta lo Himalayan Committee, al quale partecipano l’Alpine Club e la Royal Geographical Society. Insieme a Ward partono Thomas “Tom” Bourdillon e William “Bill” Murray. Guida la spedizione Eric Shipton, che è già stato per tre volte sul versante tibetano dell’Everest. Vengono invitati due neozelandesi, Edmund Hillary ed Earle Riddiford. Prima di raggiungere gli altri, i due kiwi salgono il Mukut Parbat, 7425 metri, nell’Himalaya del Garwhal, in India. Completa il team il geologo P. Dutt, del Geological Survey of India. La spedizione lascia Jogbani a fine agosto, sotto alle piogge del monsone. A Dhankuta, dove arrivano a piedi da Darjeeling, si uniscono ai britannici Angtharkay, che Shipton definisce “un vecchissimo amico”, e altri dodici sherpa. Hillary e Riddiford raggiungono gli altri nel villaggio di Dingla. Sono sporchi e bagnati, temono di incontrare degli eleganti esploratori vittoriani. Invece il futuro conquistatore dell’Everest tira un sospiro di sollievo. “Raramente avevo visto un gruppo di persone conciate peggio!”. 

Il 22 settembre, una salita più faticosa delle altre porta il gruppo a Namche Bazaar. “Pensavamo di impiegare due settimane, ce ne sono servite quattro” annota preoccupato Eric Shipton. L’accoglienza degli sherpa è trionfale, e il chang, la birra d’orzo scorre a fiumi. Il 25 si arriva al monastero di Tengboche, il 27 viene piazzato il campo-base di Gorak Shep, poi le due prime cordate tentano la seraccata. Il 30 settembre del 1951 è una data storica anche per un altro motivo. Shipton e Hillary salgono verso il Pumori, superano il Kala Pattar, proseguono fino a uno spuntone a 6100 metri di quota. Il capospedizione, da qui, si commuove rivedendo il Colle Nord e il Couloir Norton. Hillary, più concreto, guarda a destra delle rocce dell’Everest, e resta a bocca aperta. “Tutta la valle si rivelava ai nostri occhi! Dal Western Cwm si poteva salire per la parete del Lhotse, poi un’erta traversata portava al Colle Sud. Certo, era una via difficile. Ma era pur sempre una via!”. 

Gli alpinisti del 1951 sanno di non avere le forze per tentare la cima, ma una ricognizione a fondo si può fare. Nei primi giorni di ottobre nevica, poi torna il sole, e Hillary, Riddiford, Shipton e tre sherpa, affrontano la seraccata. Capiscono subito che qui si rischia la pelle. Nel punto più critico Hillary traversa un ponte formato da blocchi di ghiaccio, supera una parete verticale, raggiunge un pendio di neve affacciato su un gigantesco crepaccio. Qui passa in testa Pasang, che sale in diagonale, tagliando gradini con la piccozza. Quando la corda si tende, Riddiford e Shipton lo seguono. All’improvviso l’intero pendio si stacca e scivola verso il crepaccio. Hillary ferma la caduta degli altri, ma la catastrofe è stata evitata per poco. Nei giorni successivi, Eric Shipton invita Hillary ad accompagnarlo in un’esplorazione nelle valli a sud dell’Everest, mentre gli altri alpinisti fanno lo stesso verso ovest.

Il 23 ottobre la squadra torna nella seraccata del Khumbu. Il sole e il gelo hanno reso più stabile la neve, ma il percorso è completamente cambiato. Finalmente, il 28 ottobre, i quattro britannici, i due kiwi e tre sherpa, Angtharkay, Pasang e Nima, raggiungono la sommità dell’Ice Fall. Bourdillon, scavando gradini con la piccozza, sale su una lama di neve e ghiaccio, da cui si affaccia sui dolci pendii del Western Cwm. L’ultimo ostacolo, però, è insuperabile. “Un enorme crepaccio tagliava il ghiacciaio da una riva all’altra, e sembrava proprio che dietro ce ne fossero degli altri” scrive Shipton. 

Le spedizioni degli anni successivi, per affrontare questi crepacci, costruiranno dei ponti di corda, o piazzeranno tronchi d’albero o scalette di alluminio. Oggi un team indipendente di sherpa, gli Icefall doctors, attrezza ogni anno il percorso e lo ripristina dopo crolli e slavine. Per gli alpinisti del 1951, l’unica cosa da fare è sedersi nella neve, e contemplare per un’ora “i precipizi dell’Everest e del Nuptse, e il meraviglioso panorama oltre la seraccata, verso il Pumori, il Lingtren e il Lho La”. Poi si deve tornare a valle.     

Dopo il ritorno a Londra, Shipton scrive che “il percorso nella seraccata può essere un rischio accettabile per una squadra di alpinisti scarichi. Non è possibile, però, far passare da qui dei portatori carichi”. Anche a causa di questi dubbi, lo Himalayan Committee lo sostituirà con John Hunt, un ottimo alpinista che è anche un colonnello dell’esercito, e sa che a volte bisogna andare all’assalto senza badare alle perdite. 

In Nepal, le regole per affrontare l’Everest sono cambiate. I britannici, al contrario che in Tibet, non hanno più l’esclusiva, e il permesso per tentare il Big E nel 1952 viene assegnato agli svizzeri. La spedizione del 1953, per i britannici, sarà un’occasione da non perdere. La vittoria di Hillary e Tenzing sarà il trionfo dell’intero Regno Unito.

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