Storia dell'alpinismo

“In quel vento c’è il diavolo che danza”. Cent’anni fa la prima salita al Colle Nord dell’Everest

Il 23 settembre del 1921, sull’Everest, è una giornata polare. Quando gli inglesi George Mallory, Guy Bullock e Oliver Morshead, con i portatori Ang Pasang, Gorang e Lagay, lasciano il loro campo sul ghiacciaio orientale di Rongbuk, la temperatura è di 20 gradi sottozero. Alle 7 del mattino, quando un pallido sole ha iniziato a scaldare l’aria dei 6550 metri, i sei uomini partono verso il Colle Nord. 

Dove il pendio diventa ripido, Ang Pasang e Lagay iniziano a battere pista nella neve. Si sale verso destra, poi si torna a sinistra, in diagonale, puntando in direzione del Colle. Mallory, nel suo diario, annota con humour britannico che “la salita al Colle Nord consiste solo nel fare un passo dopo l’altro”, e che “non c’è niente di sorprendente, tranne la barba nera di Wheeler che sale subito dietro di me”. Dal pendio, gli sguardi dei tre inglesi sono rivolti all’Everest, all’immensa spalla di neve che sale dal Colle Nord verso la cresta Nord-est e la cima. A George Mallory sembra un percorso facile. “Era chiaro che, per un lungo tratto, questi facili pendii di roccia e neve ci avrebbero offerto un itinerario né pericoloso né difficile” scriverà.       

Tibetani, sherpa e inglesi sono legati in una sola cordata. Dove il terreno diventa ripido, Mallory passa in testa per superare un muretto di neve farinosa. Continua tagliando gradini nella neve, che diventa subito più dura. La fatica causata dalla quota è tremenda, ma il terreno è facile. Quando gli uomini si affacciano sulla spianata del Colle, 7000 metri di quota, vengono accolti da un vento bestiale. Gli inglesi sono alpinisti esperti, sono ad alta quota da tre mesi, ma le raffiche li travolgono. Wheeler ha combattuto nella Grande Guerra, e in una lettera alla moglie paragonerà quel vento, e il suo frastuono, “a una tempesta caotica, come quelle che ho sperimentato in Francia”. Per Mallory, che ha le sopracciglia incrostate di ghiaccio, “in quel vento c’è il diavolo che danza”.       

I sei uomini si riparano dietro a un crinale di ghiaccio. Bullock è allo stremo, Wheeler sta un po’ meglio, Mallory vorrebbe continuare. Sopra di loro, come spiegherà la relazione della spedizione, “si alza una larga cresta, che sale con inclinazione moderata”. Più in alto, fino alla cresta Nord-est, si vedono solo “roccia e neve facile”.

Ha senso continuare a salire? Tutti sanno che per conquistare l’Everest ci vorrà una nuova spedizione. Ma una sfida è una sfida e i tre inglesi, lasciati i portatori al riparo del crinale, provano a proseguire. Riescono a fare pochi passi. Dopo un centinaio di metri, in cui il vento li scaraventa per terra, fanno dietro-front e scendono. Il 29 ottobre, George Mallory s’imbarca a Bombay sul piroscafo Malwa, a metà novembre riabbraccia la moglie Ruth a Londra.   

La prima spedizione all’Everest, esattamente cento anni fa, è una straordinaria avventura dell’esplorazione e dell’alpinismo. Ad avviarla, tra il 1919 e il 1920, è Sir Francis Younghusband, che trent’anni prima ha scavalcato il Passo Muztagh e ha visto per primo da vicino il K2. Quando diventa presidente della Royal Geographical Society, l’esploratore dichiara che la conquista dell’Everest sarà l’obiettivo della sua presidenza. Gli inglesi, che nel 1904 hanno inviato una “spedizione militare” verso Lhasa (in realtà un’invasione, con migliaia di vittime tibetane), hanno un filo diretto con il Dalai Lama e il suo governo. Il 20 dicembre del 1920, un telegramma trasmesso dal Tibet a New Delhi, e subito rimbalzato a Londra, comunica che il permesso c’è.

Nell’inverno la RGS e l’Alpine Club iniziano a raccogliere fondi, a vendere i diritti ai giornali, a scegliere i partecipanti. Con il capospedizione Charles Howard-Bury partono il medico Alexander Wollaston, il geologo Alexander Heron, gli alpinisti George Mallory, Guy Bullock e Harold Raeburn. Si aggregano a Darjeeling i topografi Henry Morshead e Oliver Wheeler (entrambi del Survey of India, che ha misurato l’Everest) e l’alpinista e fisiologo Alexander Kellas. Prima della partenza, che avviene il 18 maggio, vengono arruolati 40 portatori d’alta quota, tibetani e sherpa. Li coordina il sirdar Gyaltzen Kasi.

La prima parte della marcia, nelle piovose foreste del Sikkim e poi sull’altopiano del Tibet, si svolge senza problemi. Poi iniziano i guai. Kellas, che era già stanco alla partenza, muore il 5 giugno. Poi Raeburn si sente male, e viene rimandato a Darjeeling. Gli altri arrivano al monastero di Rongbuk il 26 giugno, e Mallory resta a bocca aperta davanti alla “massa prodigiosa” dell’Everest. A questo punto, com’era stato stabilito, il lavoro prioritario è quello dei topografi. E Mallory e Bullock, gli unici alpinisti rimasti, vivono tre incredibili mesi di avventure. Il 19 luglio, dopo aver risalito il ghiacciaio principale di Rongbuk e costeggiato la parete Nord dell’Everest, si affacciano verso il Nepal dai 6006 metri del Lho La. Poi si spostano nella valle di Kharta, a est del gigante, e dedicano alcune settimane a esplorare il ghiacciaio di Kangshung, sul quale si affacciano l’Everest, il Lhotse, il Makalu e decine di “settemila”.

I due inglesi, in realtà, fanno un errore clamoroso. Quando risalgono il ghiacciaio principale di Rongbuk tralasciano il suo ramo orientale, che invece offre una via verso la cima. Si accorgono dell’errore in extremis, scavalcano insieme a Wheeler e a dieci portatori d’alta quota i 6841 metri del Lhakpa La, il 22 settembre si accampano ai piedi dei pendii del Colle Nord. L’indomani, come abbiamo già raccontato, i tre inglesi e tre uomini dell’alta Asia raggiungono per la prima volta il valico.

Il resto della storia è famoso. Nel 1922 la seconda spedizione britannica, attrezzata con i respiratori progettati da George Finch, raggiunge quota 8320 metri. Nel 1924 Edward Norton e Howard Somervell, senza usare quella che i portatori chiamano “aria inglese”, salgono per le cenge della parete Nord-est, e il primo supera gli 8500 metri. Pochi giorni dopo, George Mallory e Andrew Irvine, con le bombole, tentano lungo la cresta e scompaiono per sempre sull’Everest. Il mistero se abbiano o no raggiunto la cima rimane. Nel centenario della spedizione del 1921, però, vale la pena ricordare quel che accade il 7 giugno dell’anno successivo, su quei pendii di neve del Colle Nord che a Mallory erano sembrati banali. Quel giorno, mentre Somervell sale in testa verso il Colle, l’intero pendio di neve si stacca, trascinando via gli alpinisti. Tra gli inglesi, Arthur Wakefield subisce dei congelamenti (e poi delle amputazioni) alle dita dei piedi. Sei portatori d’alta quota, invece, muoiono in un crepaccio. Al ritorno, nel suo After Everest, Somervell esprimerà il suo dolore. “Solo sherpa e tibetani sono morti, perché uno di noi britannici non ha condiviso il loro fato”

      

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3 Commenti

  1. Vedrò mai una via diritta sulla nord ?
    Nessuno riesce a fare qualcosa magari di nuovo oltre le annose ripetizioni di moltitudine sulle normali ?

  2. Veramente c’è già. E’ la via russa diretta del 2004. Solo nell’ultima parte finale devia dalla linea dritta, ma per il resto …

    1. Appunto, diritta.
      Grande salita quella russa, ma sotto l’ultima fascia sono andati a sinistra a lungo fino a prendere il canale………. la proibita Vodka messa nelle lattine del cibo per averla 🙂
      Un po’ come la cresta giapponese non completa del K2, per andare in cima sono andati molto a destra 🙂
      Magari qualcuno le farà complete !

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