High Summit Cop26

Cosa è la Mountain Partnership della FAO

Intervista a Rosalaura Romeo

Nello scorso febbraio, durante la rassegna Milano Moda Donna, nelle collezioni della stilista Stella Jean è comparso un tessuto solido, colorato e sorprendente. È il feltro, tradizionalmente prodotto dalle donne del Kirghizistan, per realizzare sciarpe, arazzi e tappeti decorati con eleganti ricami. Quattro anni fa, alcune donne di Barksoon, nel nord-est del Paese, hanno formato un gruppo di artigiane, e ora grazie alla collezione di Stella Jean il loro lavoro ha iniziato a diventare famoso. I modelli della collezione, e non è un dettaglio da poco, sono rimasti di proprietà delle artigiane. A fare da tramite tra le donne di montagna di un Paese lontano e il mercato della moda europeo è stata la Mountain Partnership, un programma delle Nazioni Unite che lavora da quasi vent’anni per migliorare le condizioni di vita e il reddito delle popolazioni di montagna del pianeta, a iniziare ovviamente dai Paesi in via di sviluppo.

Rosalaura Romeo, funzionaria della FAO, l’organizzazione dell’ONU che si occupa dell’alimentazione e del cibo, ha un ruolo importante nella Mountain Partnership fin dalla fondazione. Grazie al lavoro suo e dei suoi colleghi, da quasi vent’anni, migliaia di abitanti delle montagne del Kirghizistan, del Nepal, dell’India, dell’Ecuador e di decine di altri Paesi hanno avuto dei benefici concreti. Le abbiamo chiesto di aiutarci a capire il programma, e il modo in cui riesce a raggiungere chi vive nelle aree più alte (e spesso più disagiate) della Terra.

Di questi temi Rosalaura Romeo parlerà all’High Summit COP26, che si terrà il 24 e 25 settembre a Minoprio (CO), con l’intervento “Impatti socio-economici dei cambiamenti climatici nelle regioni di montagna”.

Di solito, quando si lavora per lo sviluppo delle comunità di montagna, si pensa a interventi sull’agricoltura, sulla sanità, sull’istruzione o contro gli effetti del cambiamento climatico. Cosa c’entra il feltro del Kirghizistan con la Mountain Partnership?

“Uno dei temi principali del nostro intervento è lo sviluppo e la promozione dei prodotti di montagna, alimentari e non. Spesso hanno una qualità molto alta, ma rendono troppo poco a chi li produce. Certificare la loro qualità, e portarli sui mercati limitando gli intermediari è una sfida fondamentale”.

Ci riuscite? Oppure quello del Kirghizistan è un esempio isolato?

“Ci siamo riusciti in molti casi, a volte coinvolgendo partner italiani come Slowfood e NaturaSì. Abbiamo affrontato problemi burocratici come quello della certificazione, proponendo un modello basato sull’autocertificazione, e quindi saltando un passaggio che per loro sarebbe troppo costoso. Alcune comunità coinvolte nei nostri progetti hanno visto raddoppiare il loro reddito”.

Quanti produttori hanno beneficiato delle vostre iniziative?

“Nell’ultimo anno il Covid-19 ci ha rallentato, un anno fa avevano beneficiato del nostro lavoro circa 10.000 agricoltori, tra i quali 6.000 donne. Tra i prodotti di cui ci siamo occupati sono il riso viola e rosa del versante indiano dell’Himalaya e il miele di api senza pungiglione delle Ande boliviane”.

Il problema delle montagne, in ogni parte del mondo, sta anche nell’isolamento fisico e politico delle comunità di montagna. Per molti governi, in tutti i continenti, la montagna non è una priorità. E a volte viene proprio dimenticata.

 “È proprio così, e infatti uno degli obiettivi della Mountain Partnership è di far sì che in tutti i Paesi nascano dei “comitati per la montagna”, in grado di spingere perché gli interessi di chi vive ad alta quota siano tutelati. In alcuni Paesi sono nati dei comitati formalmente riconosciuti dal parlamento, in altri si è trovata una soluzione meno ufficiale. In Sudamerica, abbiamo contribuito a far nascere la Iniciativa Andina, una piattaforma di collaborazione tra sette Paesi di montagna delle Ande”. 

Un passo indietro, per favore. Quando è nata la Mountain Partnership?

“Tutto è iniziato nel 2002, l’Anno Internazionale delle Montagne, che ha visto anche il World Summit for Sustainable Development di Johannesburg, il secondo vertice sullo sviluppo sostenibile, dieci anni dopo quello di Rio de Janeiro. La Mountain Partnership è nata per proseguire il lavoro”.

Chi coordina il programma? E quanti Paesi sono coinvolti?

“La Mountain Partnership è sostenuta da un Segretariato ospitato dalla FAO. Oggi i membri sono più di 430, tra loro sono 60 governi nazionali, e poi centinaia di ong e di gruppi economici pubblici e privati. I donatori più importanti sono la Cooperazione allo Sviluppo italiana, il Ministero dell’Agricoltura svizzero e il Governo di Andorra”. 

Di che temi si occupa la Mountain Partnership?

“Abbiamo quattro settori principali di lavoro. Il primo è l’advocacy, l’attenzione per la montagna e la sua promozione. Abbiamo lavorato per inserire la montagna e i suoi problemi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e in altri processi internazionali”.

Vi occupate del cambiamento climatico?

“Sì, e soprattutto attraverso il secondo settore di intervento, quello degli studi e delle ricerche. Per aiutare le comunità occorre favorire il loro adattamento ai cambiamenti climatici, per esempio migliorando la sicurezza alimentare”.

 In molti territori di montagna, sulle Alpi come in Himalaya e nelle Ande, i giovani più intraprendenti e più colti tendono a lasciare la montagna, per andare a vivere e a lavorare in città. Si può limitare questa fuga?

“Sì, e noi cerchiamo di farlo con la formazione. Ogni anno organizziamo dei corsi di due settimane in Italia, in collaborazione con le Università di Torino e della Tuscia. Lo scopo è di formare tecnici, esperti e di responsabili politici sui temi dello sviluppo sostenibile, soprattutto nelle aree più sensibili ai cambiamenti climatici. I partecipanti fino a oggi sono stati oltre 400, donne e uomini, provenienti da aree diverse della Terra”. 

Il quarto e ultimo tema è la comunicazione. O mi sbaglio?

“È vero, ed è un tema che in qualche modo connette tra loro tutti gli altri. È comunicazione far conoscere le buone pratiche nell’agroalimentare, è comunicazione far pesare le esigenze della montagna nelle varie politiche nazionali”.

Una domanda personale. Lei com’è arrivata a occuparsi di sviluppo delle popolazioni di montagna del mondo?

“Mi sono sempre appassionata al tema dei diritti umani, e a quello dei diritti delle donne, che in montagna sono particolarmente colpiti. Le donne di montagna lavorano in modo durissimo, non ricevono formazione, non ottengono credito, quando gli uomini emigrano per lavorare in città restano lì, e a volte vengono abbandonate del tutto. Migliorare la qualità della vita in montagna significa aiutare prima di tutto loro”.  

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