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In cammino lungo la Via degli Dei

La Via degli Dei è l’itinerario perfetto, un “entry level” per chi aspira a diventare camminatore o non ho mai provato a farlo grazie alle sei tappe di lunghezza accessibile a qualsiasi tipo di gamba senza particolari difficoltà.

Detta Via degli Dei perché attraversa località come monte Adone, Monzuno (Mons Iovis, monte di Giove), monte Venere, monte Luario (Lua era la dea romana dell’espiazione), il percorso è stato ideato alla fine degli anni 80 del ’900 da un gruppo di escursionisti bolognesi. A raccontarlo in tutto il suo fascino è Meridiani Cammini nella nuova monografia che è possibile trovare in edicola. 

L’editoriale del Direttore

A presentarci il numero di Meridiani Cammini “Via degli Dei” il direttore Walter Mariotti.

Una settimana per mettersi alla prova. La Via degli Dei è spietata, perché non consente giustificazioni. È l’entry level perfetto per camminatori aspiranti o recalcitranti, non consente di accampare scuse – di preparazione, di rischio, di difficoltà logistiche, di tempo a disposizione – e ha quella combinazione di caratteristiche che pochi altri cammini, in Italia e non solo, riescono a mettere sul piatto dell’offerta: consente di respirare il fascino dell’avventura, in quanto attraversa territori dove la natura non ha mai smesso di farla da padrona, soprattutto tra i boschi dello “scollinamento” appenninico; eppure consente di contenere questa sensazione di “distacco dal mondo” (che è il bello di ogni cammino) in un tempo limitato, compatibile con gli impegni di vite sempre meno pensate per la fuga e per l’immersione in qualcosa d’altro che non sia la routine.

Sei tappe di lunghezza accessibile a qualsiasi tipo di gamba, in pratica una settimana di impegno incasellabile in almeno nove mesi su 12 (escludendo i periodi a più alto rischio neve), un punto di partenza – Bologna – e una tappa di arrivo – Firenze – servitissimi da qualsiasi tipo di logistica di trasporto e, in mezzo, il dolce fascino di un “piccolo e bello” che non è mai artefatto, ma è il prodotto di un patto tra uomo e natura che affonda le sue radici nei millenni passati. Non è che qui la civiltà non sia arrivata, è che ha saputo rimanere civile, ovvero comprendere prima che fosse troppo tardi che la natura – i boschi, i corsi d’acqua, le distese a pascolo – è elemento di vita e di sviluppo, non impedimento da confinare (o annientare).

Non da ultimo, è una via che non va affrontata con l’idea della fatica (certo, c’è anche quella) o il fanatismo dell’impresa eroica. È un cammino nato quasi per spirito goliardico. Narra la leggenda che nei primi anni 90 un gruppo di amici bolognesi appassionati di trekking e buona cucina dessero vita all’associazione Dû pas e na gran magnè (ovvero, in bolognese, «due passi e un’abbuffata»). Prima impresa della neonata associazione, andare da Bologna a Firenze a piedi, facendo tappa nelle più sfiziose trattorie lungo la via che collega le due città in maniera più diretta, valicando l’Appennino al passo della Futa. È bene che lo spirito con cui si muove il primo passo, ancora oggi, conservi questa impronta originaria.

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Un commento

  1. Ho visto diversi video del cammino su you tube, e sinceramente molti descrivono il percorso come piuttosto difficoltoso. Per sentito dire, altro non so.

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