Montagna.TV

Colin O’Brady punta alla prima traversata Everest-Lhotse senza ossigeno

Ci voleva proprio una grande sfida riguardante l’Everest in questa primavera himalayana un po’ sottotono a causa della pandemia. E non stiamo parlando di una sfida qualsiasi, ma della traversata Everest-Lhotse senza ossigeno supplementare. Una chimera alpinistica ad altissima quota tentata da tanti, ma mai riuscita nessuno.

A provarci nei prossimi mesi Colin O’Brady, tornato lo scorso febbraio dal tentativo invernale al K2. Con lui la moglie Jenna Besaw, che ha deciso di seguirlo fino a campo 2. Inizialmente l’alpinista era intenzionata a salire il Tetto del Mondo dal versante cinese, quest’anno chiuso, e così ha preferito partecipare solo assistendo il marito con la logistica, che sarà divisa con Jon Kedrowski, anche lui al K2 questo inverno, e Mike Posner.

La traversata consiste nell’arrivare in vetta a una delle due montagne (Everest o Lhotse, l’ordine è soggettivo), scendere al colle più alto che le unisce, in questo caso Colle Sud a 8000m, e proseguire con la scalata della seconda cima. Il tutto senza ossigeno supplementare. La difficoltà di questa scalata risiede nello stare sopra gli 8000m metri, in quella che viene chiamata la zona della morte, per almeno tre giorni di fila.

O’Brady ha già scalato l’Everest nel 2016 usando l’ossigeno supplementare. Ora ha deciso di alzare l’asticella e non di poco! A dargli l’idea e a incoraggiarlo, racconta Colin, Juan Pablo Mohr. Il cileno infatti, nel 2019, aveva concatenato le due montagne senza ossigeno in 6 giorni: prima la vetta del Lhotse, scendendo a riposare a C2, e poi l’Everest.

Come detto, la sfida senza ossigeno è una prima, sebbene grandi nomi dell’alpinismo ci abbiano pensato e provato, tra i quali: Simone Moro con Anatoli Bukreev nel 1997; poi con Denis Urubko nel 2000 e 2001 e da solo nel 2012. nNel 2107 ci tentò Ueli Steck, il quale però perse la vita durante l’acclimatamento sul vicino Nutpse.

Exit mobile version