Ambiente

Insieme ai ghiacciai sta iniziando a ridursi anche l’acqua

La Terra e i suoi abitanti hanno sete, e il rapido ritiro dei ghiacciai non è una buona notizia. Secondo il Nuovo catasto dei ghiacciai delle Alpi, messo a punto nel 2020, sulla catena montuosa più famosa d’Europa resistono 4395 colate di ghiaccio, con una superficie complessiva di 1806 chilometri quadrati. Oggi i 903 ghiacciai italiani si estendono per 325 chilometri quadrati, ed è un dato che diminuisce di circa l’1% ogni anno. La regione più “glaciale” d’Italia è la Valle d’Aosta, con 133 chilometri quadrati), seguita dalla Lombardia (88) e dall’Alto Adige (85).

Le questioni dell’acqua e dei ghiacciai sono evidentemente correlate, ma non sono la stessa cosa” spiega Claudio Smiraglia, professore dell’Università di Milano e animatore per decenni del Comitato Glaciologico Italiano. “Sul versante italiano delle Alpi, i ghiacciai sono una fonte idrologica importante, ma non la principale. La nostra acqua deriva per il 50% dalle piogge, e per circa il 30% dalla fusione della neve. Dai ghiacciai proviene il 10-15% del totale. Ma è un contributo particolarmente importante, perché arriva nelle settimane più calde, quando le altre fonti calano”. In altre parti del mondo, la riduzione delle colate di ghiaccio ha degli effetti più seri. “Nelle valli aride del Karakorum, dove si vive di agricoltura povera, tutta l’acqua arriva dai ghiacciai, e l’estinzione di questi ultimi potrebbe cancellare la presenza dell’uomo” spiega Smiraglia. “In Svizzera l’80% dell’energia arriva dagli impianti idroelettrici. E la riduzione dei ghiacciai ha già iniziato a farsi sentire da qualche anno”. 

Negli ultimi anni il numero dei ghiacciai italiani è aumentato, ma questa non è una buona notizia. Molte colate si frammentano, dando vita a vari ghiacciai più piccoli. Ma la superficie e il volume complessivo calano. 

Per decenni, sull’esempio di Ardito Desio, il geologo che ha legato il suo nome al K2, il professor Smiraglia e i suoi allievi hanno lavorato in Alta Valtellina, sui ghiacciai dell’Ortles-Cevedale. Dal 2020, con il progetto Idrostelvio, abbiamo monitorato i ghiacciai e i corsi d’acqua del versante lombardo. Ci siamo occupati del ghiacciaio dei Forni, che si è ridotto moltissimo ma resta uno dei tre in Italia che superano i 10 chilometri quadrati. E del ghiacciaio della Sforzellina, molto più piccolo, che è un laboratorio scientifico ideale”. 

Per decenni, a causa del riscaldamento del clima, la riduzione dei ghiacciai delle Alpi non ha fatto diminuire l’acqua nei torrenti e nei fiumi, che invece è aumentata a causa della maggiore fusione. Da qualche tempo, invece, anche l’acqua ha iniziato a calare” prosegue Smiraglia. 

Non tutti i ghiacciai si riducono allo stesso ritmo, e a resistere meglio sono le colate d’alta quota, e quelle esposte a settentrione. Sui massicci più alti d’Europa, dal Monte Bianco al Monte Rosa e all’Oberland, i grandi ghiacciai come il Grenzgletscher e l’Aletsch restano degli elementi fondamentali del paesaggio. Su massicci un po’ più bassi, come l’Ortles-Cevedale o il Grossglockner, dove il ghiacciaio Pasterze attira centinaia di migliaia di turisti ogni anno, la riduzione è più evidente, e alcune colate sono scomparse del tutto. In zone ancora più basse, come il Cuneese, il Friuli e le Orobie, la riduzione ha ritmi ancora più accelerati. Negli ultimi vent’anni, sulle Alpi italiane, si sono estinti ben 180 ghiacciai. 

Non è esattamente un concetto scientifico, ma a me piace pensare ai ghiacciai come a degli esseri viventi, che stanno mettendo in atto dei processi di resistenza e resilienza” sorride il professor Smiraglia. “Il più evidente è la trasformazione in ghiacciai “neri”, coperti di detriti, che rallentano la fusione”.   

In altri casi è l’uomo a tentare di rallentare lo scioglimento. Sul ghiacciaio del Presena, sul confine tra Lombardia e Trentino, o sul ghiacciaio del Rodano presso il Passo Furka, in Svizzera, dei settori della colata sono stati ricoperti da enormi teli bianchi, che qualcosa riescono a fare. Sono stato tra i pionieri di queste soluzioni, ma mi rendo bene conto dei problemi. La copertura costa cara e ha un forte impatto ambientale, perché in quel modo la colata sembra una distesa di stracci” spiega Claudio Smiraglia. “Penso che questi interventi possano essere giustificati da motivi scientifici, o se c’è un forte interesse economico da tutelare, come lo sci al Presena o il turismo alle sorgenti del Rodano”. 

L’ultima questione, sulle Alpi che diventano rapidamente più asciutte, riguarda quel che è successo qualche secolo fa. Nel Medioevo i ghiacciai si erano ridotti un’altra volta, permettendo di traversare senza difficoltà a piedi o a cavallo il Teodulo e altri valichi. Poi, tra il 1350 e il 1850, è arrivata quella che gli scienziati chiamano la Piccola Era Glaciale. L’andamento generale è chiaro, ma la portata di queste trasformazioni va approfondita. Oggi sappiamo che i ghiacciai si sono ridotti in Europa, ma non nel resto del mondo” spiega ancora Smiraglia. La successiva espansione ha cancellato le morene medievali, e quindi non sappiamo quanto i ghiacciai fossero estesi nel Medioevo. E’ vero, in Valle d’Aosta si coltivava la vite oltre i mille metri, ma è possibile che quei vigneti “eroici” siano stati abbandonati per motivi economici. I ghiacciai si riducono, ma noi glaciologi abbiamo ancora molto da studiare”.  

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