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K2 Next Generation

Lo sperone nord est del K2 è rimasto l’ultimo vero grande problema tecnico del K2. L’ho scritto parecchie volte e in tempi non sospetti, provai anche a pensare di radunare una squadra per metterci il naso sopra.

Lo feci dopo il buon risultato delle spedizioni organizzate per il cinquantesimo anniversario del K2: prima sull’Everest da nord con un target più scientifico e successivamente sui versanti sud e nord del K2. Un’esperienza che ebbe se anche il pregio di coinvolgere una trentina di buoni e ottimi alpinisti, alcuni giovani e alla loro prima esperienza in alta quota. Rientrati a casa, in autunno invitai a Bergamo una manciata di coloro che reputavo tra i più motivati e i migliori. Raccontai del K2 e dello sperone che chiamai nord-est, per distinguerlo dal nord (quello che io stesso salii nel 1983 e che in quel 2004 fu impossibile da superare per i nostri alpinisti nonostante tra loro ci fossero grandi campioni come Nives Meroi e Romano Benet). Raccontai dell’idea dell’ultima sfida tecnica del K2, la più dura, mostrai foto e possibili itinerari, dissi che gli sponsor avevano dato in linea di massima un assenso. Non ci fu nulla da fare: raccolsi un no netto per eccesso di difficoltà. Misi via il pensiero.

In verità non ho mai dimenticato la sfida e di tanto in tanto mi prende la smania rilanciarla. E questo mi pare il tempo per farlo se ci sono oltre alla forza, al coraggio e alla determinazione anche la capacità tecnica e lo spirito sportivo per pensare che la storia alpinistica del K2 non termina con la sua prima salita invernale a cura di un gruppo di bravi alpinisti nepalesi carichi di ossigeno, guidati da un indomito condottiero finalmente convertito all’etica della sfida leale (o quasi) con la montagna. C’è forse altro oltre a ciò che il bravissimo Nims aveva riassunto nella sfida logistica e sportiva dei suoi 14 ottomila: gran tour, formidabile risultato, ma la “nobile arte” dell’alpinismo, non è esattamente solo quella cosa lì. C’è un qualcosa di più che risiede non nella ripetitività, ma nella creazione. Nell’estetica e non solo nella forza. Nell’etica ancor prima che nel coraggio. E lo dico ben sapendo che di spedizioni “classiche” ne ho organizzate parecchie, meno di quelle creative, tra cui conto la Nord del Gasherbrum I e la Nord del GII o come il progetto “UP”.

Parafrasando il tempo mediatico e parossisticamente politicizzato che viviamo, mi si conceda di pensare con leggerezza che la Next Generation del K2 e forse dell’alpinismo possa guardare con interesse anche questa vecchia idea di una via nuova.

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