“Everest: Missione Fatale”. Un team National Geographic alla ricerca del corpo di Irvine
Questa sera, giovedì 9 luglio, l’Everest sarà protagonista di una serata su National Geographic – Canale 403 di Sky. Alle ore 21.55 andrà infatti in onda “Everest: missione fatale” (titolo originale: “Lost on Everest”). Documentario che cerca di fornire una risposta ad uno dei quesiti irrisolti dell’alpinismo: cosa accadde a George Mallory e Andrew Irvine?
Il film segue le ricerche condotte nella primavera 2019 da un team di scalatori professionisti intenzionati a ripercorrere le tracce di Mallory e Irvine, scomparsi l’8 giugno 1924 mentre tentavano di raggiungere per primi la vetta dell’Everest dal versante Nord. Obiettivo della spedizione: ritrovare il corpo di Irvine e la macchina fotografica che potrebbe riscrivere la storia dell’alpinismo.
Tra i membri della squadra, incaricati di seguire e raccontare attraverso penna e immagini le vicende degli alpinisti, troviamo il fotografo di National Geographic Renan Ozturk e il giornalista Mark Synnott. Proprio a Ozturk si deve il merito di questo meraviglioso documentario.
Una spedizione tra mille ostacoli
Gli ostacoli da affrontare non sono stati pochi. Più volte il gruppo ha rischiato la vita. Venti oltre i 100 chilometri orari hanno sferzato l’accampamento, distruggendolo. Un cameraman e uno degli alpinisti, soffrendo il freddo e la quota, sono stati costretti a ritirarsi per ricorrere a cure mediche. Da annoverare nella lista degli ostacoli anche le immense code in salita verso la vetta dal versante nepalese. Immagine ormai ben nota della stagione 2019. Code che hanno portato il team ad accettare un maggior rischio, attendendo qualche giorno dopo il passaggio delle spedizioni commerciali, al termine ormai della finestra meteo di bel tempo, per salire in vetta dal versante tibetano, in totale solitudine.
“Ci siamo assunti un rischio cospicuo nel voler attendere e non cogliere la prima finestra di bel tempo – racconta a The Adventure Journal Ozturk – . Non eravamo sicuri che ce ne fosse una seconda in arrivo, e mentre procedevamo nella salita, abbiamo ricevuto bollettini meteo contrastanti. I cinesi ci dicevano che fosse in arrivo una tempesta estrema e che avremmo fatto bene a scendere o saremmo morti. Allora abbiamo chiamato il nostro meteorologo che ci ha confermato che fosse tutto ok. E alla fine, il ritrovarsi lassù da soli, come unico team, è stato un qualcosa che resterà nella mia memoria per sempre”.
Dov’è Irvine?
Un documentario ricco di immagini suggestive realizzate, accanto all’abile mano di Ozturk, grazie anche all’impiego di droni. L’utilizzo di tale tecnologia innovativa a simili quote ha consentito di ottenere le immagini a maggior risoluzione finora disponibili del Tetto del Mondo. E ha reso possibile condurre la più accurata ricerca del corpo di Irvine, sulla base di indicazioni fornite dallo storico dell’Everest Tom Holzel, a seguito di un certosino studio di foto aeree. “Abbiamo trovato Irvine – dichiarava Holzel nel 2010, lanciando un appello al mondo per ottenere supporto nelle ricerche -. E’ lui, deve essere lui. Si trova a 8.425 metri sulla parete nord della montagna. I segni sono buoni, ma bisogna verificare sul campo. Servono alpinisti e soprattutto sponsor”.
Nonostante ciò, la spedizione si è conclusa con un nulla di fatto. E la convinzione, da parte di Renan Ozturk, che il corpo sia stato trascinato lontano dal punto originario, “trasportato dalla superficie in un luogo in cui probabilmente non sarà mai ritrovato”.