Curiosità

Il silenzio, in montagna, non fa rumore

Il silenzio, in montagna, non fa rumore. L’ho scritto introducendo l’intervista a Mauro Corona e, in questo momento, rappresenta la realtà di molte aree italiane, dalle Alpi agli Appennini. Sarà che in montagna siamo abituati, io forse un po’ meno rispetto a molti miei concittadini, ma in pochi giorni tutto si è adeguato alle nuove regole. Certo, l’impossibilità di uscire dal proprio comune lascia spaesati, ma ha significato nuova vita. Mentre l’Italia delle grandi città si chiude su se stessa qui in montagna le piccole attività sono rinate.

Molti volevano chiudere, impossibile tenere aperto senza clienti e con un sistema di tassazione che non tiene conto delle diversità locali. Oggi sono dei presidi fondamentali per il territorio. Nessuno può scendere a valle, verso centri commerciali o ipermercati. Rinascono così panettieri, fruttivendoli, formaggiai e molte altre attività. File ordinate lungo le vie del centro accompagnano la nuova asettica quotidianità, a cui dovremo abituarci chissà per quanto tempo.

A Crissolo, in alta Valle Po, dove i servizi vanno scomparendo due negozietti si stanno facendo in quattro per rifornire di tutto il necessario gli abitanti. E lo stanno facendo bene perché, nonostante qualche ritardo, alla fine tutti riescono ad avere il necessario alla vita. Mancano però i bancomat, il più vicino dista 22 chilometri e si trova in un altro comune; non c’è un presidio medico e non c’è più la caserma dei Carabinieri; rimane un unico vigile urbano a presidiare il territorio. Ragione per cui il sindaco, Fabrizio Re, ha dovuto chiederne uno in prestito nei giorni delle festività pasquali. Sono questi i problemi del lockdown in montagna: la mancanza dei servizi base e il maggior costo dei prodotti. La rete internet in molte località è spesso carente e di difficile utilizzo, il digital divide rimane come uno dei grandi problemi irrisolti delle terre alte, di chi sceglie la vita in quota. Chi lo fa non ricerca un’esistenza eremitica. Oggigiorno dove la connessione internet è uno dei pochi modi per comunicare, per vedersi a distanza con amici e parenti, la mancanza di segnale si fa sentire ancora più forte. È l’ennesima sconfitta della montagna, ma questa non è una gara. È il grido d’aiuto che associazioni di settore, come UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), e sindaci di piccole realtà stanno lanciando da anni. Un divario tra città e montagna che oggi si fa sentire in modo marcato. Il vero lockdown dei borghi alpini non sta nel restare a casa o nel distanziamento sociale, in quota siamo fortunati e abbiamo spazio anche all’aperto. Molti hanno giardini o comunque la possibilità di passare qualche ora al sole senza violare protocolli o decreti. Il vero dramma – mi ripeto – sta nella mancanza di servizi essenziali, una difficoltà a cui prima si sopperiva prendendo l’auto e puntando dritti verso valle.

Tra i tanti insegnamenti che ci lascia il Coronavirus ci dovrebbe essere anche la necessità di meno convegni sui problemi della montagna e sul digital divide, in favore di un più concreto agire per colmare le differenze e permettere che quei luoghi, per molti meta di villeggiatura, continuino a esistere e a essere popolati. Sono territori importanti che conservano tradizione e che possono portare innovazione.

Il dopo Coronavirus

“Rinascita” è la parola che più di tutte rimbomba in questi giorni sul mass media nazionali. Si pensa al dopo, alla nuova vita quando il 4 maggio (forse) verranno allentate le briglie delle normative messe in atto per contenere l’espansione del Coronavirus (che oggi miete ancora circa 400 vittime al giorno). Si pensa anche all’estate, al mare e alla montagna. Si ipotizzano box plastificati per godersi una giornata in spiaggia e si scrive a più riprese che questo “sarà l’anno della montagna”. Lo può essere, puntando a un tipo di turismo diverso. Un modo di vivere la quota meglio distribuito sul territorio, magari con qualche attenzione in più a quella montagna dove, citando Mauro Corona, “non nevica firmato”. La vera montagna, quella autentica e non costruita su misura. Quella più bisognosa d’attenzione dove vivere esperienze e non pacchetti.

Ben vengano quindi i turisti in quota, nuovi frequentatori delle terre alte, ma con attenzione. Sappiamo tutti che le masse in montagna non portano mai a nulla di buono, ultimamente ce l’hanno dimostrato i focolai di Coronavirus, come quello austriaco di Ischgl. Negli anni passati c’è l’hanno insegnato i luoghi che hanno perso la loro naturalezza, la spontaneità e la tradizione tipica della valli. Distribuiamoci sul territorio, visitiamo le vallate minori, cerchiamo di lasciare qualcosa in montagna. Non frequentiamo le terre alte unicamente per praticare il nostro sport, per goderci la nostra camminata mangiando il panino comprato al supermercato di Torino o Milano. Così la montagna non rinasce, muore. Diventa un substrato da usare per divertirci qualche ora o per un paio di giorni, ma non aiuta l’economia locale. “Compra in valle, la montagna vivrà” è il motto lanciato tempo fa dall’UNCEM, solo così la montagna può vivere la sua rinascita. In Piemonte sono un’ottantina i comuni montani rimasti senza negozi e bar, altri 300 rischiano al desertificazione commerciale. Se è vero che quando chiude una scuola muore un comune è altrettanto vero che la perdita di un negozio mette a rischio intere fasce di popolazione. Porta all’abbandono del territorio, alla perdita dell’identità, e se si annulla la gestione dei boschi, dei pascoli, dei sentieri. Non perde solo la montagna ma anche l’appassionato di outdoor. Ben venga quindi il ritorno a un turismo di prossimità diretto alla montagna, ma che sia consapevole e dia valore ai borghi e ai loro abitanti. Che il nuovo vivere la montagna sia un dare e avere, solo così il benessere può essere di tutti.

Tags

Articoli correlati

2 Commenti

  1. Ricordo di vacanza in ottobre inoltrato..2012.Localita’ in gruppo Pale di San Martino.Turismo quasi zero.-
    Arrivati in zona parco regionale…si udiva il bramito dei cervi.
    Alle ore 8 canoniche comincio’ una scavatrice in piazzale sottostante zona seggiovie in rifacimento e poi viavai di camion…nel bosco alcune motoseghe…il cielo cristallino divenne un foglio rigato da di scie bianche di aerei che non facevano rumore..Ad un certo momento sui bramiti si sovrappose un colpo di arma da fuoco.Ipotesi: qualcuno aveva atteso un cervo finito fuori confine virtuale dei limiti del parco….alcuni minuti dopo alcune sirene:due auto ..Carabinieri e Guardai Forestale ..allora ancora distinti.Ricevetti pure telfonata …con segnale chiarissimo..infatti la zona abbondava di ripetitori di diversi gestori.
    Ora c’e il vero silenzio , anzi..ci sarebbe, ma chi lo nota?E’ la presenza umana che dà significato.Forse meglio il caos di quel giorno, ma abbastanza liberi di muoversi…e con la possibilita’di scegliere zone ancor piu’isolate e senza campo…. senza lavori in corso e corridoio aereo assente…ma anche privi di virus e crisi economiche..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close