Giovanni Segantini, il maestro del Divisionismo che dipingeva le montagne. Guarda i suoi quadri più belli
Originario del Trentino, trascorse la maggior parte della sua vita tra Milano e il Cantone dei Grigioni. Molte delle sue opere raffigurano i monti e personaggi dell’Engadina, dove morì il 28 settembre 1899
“Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero: più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’ aria e la verità”
Giovanni Segantini
Non era un alpinista e nemmeno un esploratore, almeno non nel senso letterale del termine. Giovanni Segantini era un montanaro, nato e morto tra le cime che tanto ha amato. Pittore, tra i massimi esponenti del divisionismo, ha più volte raffigurato su tela le sue amate cime. “Voglio vedere le mie montagne” avrebbe detto poche ore prima della sua fine. Non era uno sportivo e non nutriva desidero di conquista, per lui le aguzze vette e i ghiacci perenni rappresentavano un legame culturale, naturale e artistico. Il talento lo scopre in pianura, in quella Padana, la più piatta d’Italia. Si rafforza però guardando alle imponenti montagne delle Alpi, le stesse che compaiono in una minoranza dei suoi dipinti. Pochi, ma di un significato tale che per molti critici egli è “il pittore della montagna”, ad avvalorare la significativa rappresentazione dell’artista trentino.
La vita
Registrato all’anagrafe come Giovanni Battista Emanuele Maria Segantini nasce il 15 gennaio 1858 ad Arco, ai tempi parte dell’impero austriaco, in una famiglia povera. A sette anni rimane orfano della mamma, Margherita, così il papà, Agostino, decide di inviarlo a Milano dalla sorellastra, Irene. Qui inizia per lui un periodo infelice: estraneo al mondo cittadino e lontano dagli affetti cari non riesce ad ambientarsi e si chiude in se stesso. Fatica a stringere legami e inizia a vagabondare per la città. Nel 1870 viene arrestato e spedito in riformatorio dove rimane fino al 1873 nonostante una tentata “evasione”. Uscito dalla struttura si trasferisce a Borgo Valsugana in affido alle cure di un altro fratellastro, Napoleone. Vi rimane un anno quindi sceglie di ritornare a Milano dove si mantiene lavorando in una bottega e insegnando disegno nel riformatorio in cui ha trascorso parte dell’adolescenza. Il resto del suo tempo lo dedica agli studi pittorici. Segantini ha solo 16 anni ma ha già sviluppato una sua concezione artistica che verrà affinata nei tre anni di corsi serali all’Accademia di belle arti di Brera. Tra i suoi maestri figurano personaggi di primordine in campo artistico mentre nei banchi siedono altrettante future promesse, tra cui spicca Camillo Longoni con cui inizierà una stretta fase di collaborazione artistica. L’unione tra i due dura fino al 1883 quando Segantini sceglie di proseguire da solo alla ricerca di una propria forma espressiva che si distaccasse dagli insegnamenti giovanili.
La comparsa delle montagne
Chiusa questa parentesi artistica Segantini è libero di esprimersi ed è in questo periodo che nascono i primi capolavori, ma la montagna è ancora lontana. I quadri del pittore ritraggono bucolici momenti di vita contadina, istanti quotidiani contornati da scenari imponenti. La sua arte sta nell’immediatezza del messaggio, nell’intuitività con cui si percepisce il significato delle pennellate. Così nasce Alla Stanga, la sua opera più conosciuta e apprezzata, attualmente esposta alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma. Qui compare per la prima volta la montagna, sullo sfondo, quasi a simboleggiare l’infinito che si apre oltre la scena. Quelle pitturate sono le Prealpi lombarde viste da Caglio, piccolo centro del triangolo lariano dove Segantini si ritira per sei lunghi mesi, il tempo che gli richiede l’opera.
A 28 anni decide di trasferirsi in Svizzera, nel cantone dei Grigioni. Per Segantini è un momento importante: la sua espressività artistica va cambiando, discostandosi sempre più da una visione naturalistica in favore della corrente divisionista. Un fenomeno artistico nato in Italia, sul finire dell’Ottocento, che vede i colori scindersi per diventare punti o linee che interagiscono tra loro in senso ottico. In questo periodo dipinge una veduta invernale di Savognin, il paese in cui vive, circondato dalle montagne innevate. Osservando il quadro, appartenente a una collezione privata, è ben evidente la frammentazione della pennellata tipica della nuova direzione artistica del pittore trentino.
Nell’ultimo decennio del Novecento affianca alla pittura divisionista una componente simbolista basata su figure retoriche in cui ritroviamo anche la montagna. Nel 1899, anno della sua morte, realizza il secondo dipinto intitolato Le due madri dove una mamma percorre un sentiero di montagna insieme al proprio figlio, a una pecora e un agnello.
Con il trasferimento, nel 1894, nel piccolo paese di Maloja (Engadina) alla ricerca della solitudine necessaria per una profonda ricerca interiore e mistica, le opere di Segantini si arricchiscono dei paesaggi alpini del territorio. Trae ispirazione passeggiando, ricercando in continuazione nuovi angoli prospettici. Per questo vi trascorre quanto più tempo possibile, spostandosi unicamente nel periodo del gelo invernale che passa a Soglio (Val Bregaglia).
L’Engadina è il luogo a cui il suo nome rimarrà legato per sempre sia perché l’ha ospitato fino alla morte; sia perché a St. Mortiz trova sede il Museo Segantini contenente la più grande raccolta di suoi dipinti; sia perché è qui che nasce l’opera più bella e maestosa realizzata dal maestro: Trittico delle Alpi. Il progetto originale sarebbe dovuto essere una costruzione rotonda con un diametro di 70 metri, raffigurante il panorama engadinese, da presentare all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Un progetto ambizioso e monetariamente troppo dispendioso ridotto quindi al trittico poi realizzato. Lavora all’opera per tre anni, dal 1897 al 1899, e il risultato sono tre quadri che ritraggono lo scenario montano di Soglio, il crepuscolo dello Schafberg, e il passo del Maloja. Pochi mesi dopo avere terminato l’opera muore. È il 28 settembre 1899 e tutto accade mentre sta dipingendo sul monte Schafberg (Pontresina). A portarselo via è un attacco di peritonite. Il suo corpo viene tumulato nel cimitero di Maloja, il borgo che l’ha ospitato negli ultimi anni della sua breve esistenza, dove tutt’ora si trova.
“La sua epica d’alta quota non ha eguali, almeno non tra i paesaggi che allora si presentavano come purissime emozioni, complessi stati d’animo. Di fronte ai suoi quadri si ha la doppia sensazione di contemplare una pietra dura e il vuoto.”
Marco di Capua
Articolo scritto originariamente da Gian Luca Gasca, aggiornato dalla redazione di Montagna.tv il 25 settembre 2024.
Andare in fine settembre al rif Segantini allo Schafberg li a pochi metri morì Segantini l’aria sottile e tersa la profondità della luce e i contrasti riportano al trittico e alla sua presenza e interpretazione.Un onda di emozioni e di silenzio pervade l’osservatore e ti/ci riporta indietro nel tempo quasi vicini al Segantini pittore e accanto alla sua memoria ci si ritrova nella maestosa silente immensa presenza dell’ambiente al quale Segantini attinge e riproduce fedelmente…un emozione unica
Anche a baita Segatini passo Rolle…dalla val Venegia ..in periodo morto dopo la prima nevicata aturistica o a stagione finita..su neve indurita.