Trekking

Great Himalaya Trail in 99 giorni senza assistenza. Il record di due giovani catalani

99 giorni per percorrere interamente il Great Himalaya Trail (GHT). Questa l’avventura portata da poco a termine da due giovani catalani, senza grande clamore mediatico. Sono partiti in sordina Sergi Unanue e Dani Benedicto. Solo al ritorno a casa, ai primi di febbraio, hanno reso noto alla stampa e al mondo di aver realizzato un’impresa unica. Con i loro 26 anni, risultano non solo i primi catalani ad aver affrontato il trail più alto e lungo al mondo, ma anche i più giovani al mondo ad averlo completato senza assistenza.

I numeri del Great Himalaya Trail

1.700 chilometri per 175.000 metri di dislivello totale, attraversando il Nepal da Ovest a Est, dal campo base del Kangchenjunga, sul confine indiano, alla piccola città tibetana di Tumkot, nel distretto di Humla. Un percorso composto in realtà da 10 sezioni. Brevi trail nel trail, che consentono agli escursionisti di scoprire ambiente e cultura del Nepal. In media chi sceglie di percorrerlo integralmente impiega circa 150 giorni. Anche se il record attuale è di gran lunga inferiore.

Nel 2018 i due sudafricani Ryan Sandes e Ryno Griesel lo hanno difatti realizzato in soli 25 giorni, 4 ore e 24 minuti. Affrontando ogni giornata come fosse una ultramaratona, sono riusciti nell’intento di battere il precedente record, detenuto da un altro atleta sudafricano, Andrew Porter, che aveva chiuso il GHT in 28 giorni, 13 ore e 56 minuti.

Un viaggio alla ricerca di se stessi

Il silenzio mediatico che ha accompagnato la loro avventura, rende ancora più gradevole la lettura del resoconto del trail, riportato da Sergi Unanue sul portale Vila Web, dove dal 2018 racconta i suoi viaggi, a mo’ di capitoli di una serie che ha intitolato avventurosamente “La volta al món sense bitllet de tornada” (trad. Il giro del mondo senza biglietto di ritorno).

“Dopo novantanove giorni e oltre 1.700 km di piste selvagge, con Dani Benedicto siamo riusciti a completarlo. Cosa che solo una manciata di persone aveva fatto prima. Senza alcuna volontà oltre la ricerca dei propri confini e l’aggiunta di una nuova sfida di miglioramento personale, abbiamo iniziato questa avventura che, senza rendersene conto, ci ha anche reso degni di un nuovo record. Non solo siamo i primi catalani a farlo, ma siamo anche diventati i più giovani al mondo a completarlo senza assistenza. Cioè, nessuna guida, nessun vettore, nessuna agenzia turistica dietro. Abbiamo fatto tutto da soli, dall’autunno all’inverno, orientandoci il più possibile, comunicando con le persone in queste regioni inospitali e caricandoci circa 25 kg per zaino”. Inizia così il racconto di Sergi, sottolineando che si sia trattato di un’avventura autogestita, alla ricerca di se stessi.

Un viaggio tra alti e bassi, in cui i meravigliosi paesaggi incontrati hanno aiutato ad affrontare con il giusto spirito le difficoltà quotidiane.

“L’impresa non è stata facile. Abbiamo sofferto di congelamenti, abbiamo dovuto scalare rocce senza corde di sicurezza, evitare mortali valanghe e abbiamo dovuto razionare meno di un litro di acqua a persona per 25 ore in alta montagna. Abbiamo sofferto di mal di montagna, ci siamo persi a causa delle frane, ci siamo inerpicati per colline dove la neve arrivava al di sopra dell’anca e abbiamo trascorso intere giornate in condizioni climatiche avverse. Ma abbiamo anche visto il paesaggio e le culture cambiare ad ogni passo“.

Al termine dei 99 giorni di fatica, tagliare il traguardo li ha portati ad acquisire un senso di pace.

“Quando abbiamo raggiunto la fine della strada, a Humla, una delle parti più isolate del mondo, non c’era traccia dell’euforia e dell’eccitazione che mi aspettavo da settimane. Invece, ero pieno di un senso di realizzazione e un profondo senso di pace interiore. Non erano emozioni temporanee ed effimere, ma erano state tradotte come risultato del successo di un progetto a lungo termine. Erano praticamente strutturali e incorporati indefinitamente nel mio umore”.

Ma come si sono preparati Sergi e Dani per questa esperienza? Sembra assurdo dirlo ma nel loro curriculum non compaiono imprese in alta montagna o preparazioni fisiche specifiche. Si sono gettati a capofitto in questa avventura per vedere anche se il loro corpo avrebbe accettato la sfida.

Una sfida che in fondo si è rivelata mentale più che fisica. “Abbiamo affrontato anche situazioni per cui non eravamo preparati. Guardarci allo specchio per alcune settimane e non riconoscere l’individuo riflesso. Camminare per dozzine di giorni nel perseguimento di un obiettivo che sembra irraggiungibile. Tante ore di cammino in solitudine sono un ottimo modo per mettere in ordine la testa, ma dopo più di un mese con te stesso, la tua mente comincia a vagare su questioni che, in teoria, erano già ben riposte nei cassetti”. 

La bellezza come comune denominatore

Saranno molti i ricordi, che insieme ai pensieri, i due amici catalani riporranno nei cassetti. “Abbiamo attraversato giungle soffocanti, vagato in deserti aridi, respirato profumi delle pinete e messo i piedi nel fango, nella sabbia, in fiumi gelati”. Miriadi di scenari con un unico comune denominatore: la bellezza. “Selvaggia, indisturbata, inespugnabile. Dall’incomparabile spettacolo dell’Everest e dai laghi Gokyo alle colline rossastre Mustang. Dai tramonti sopra un mare di nuvole alle notti accompagnate solo dalle stelle”.

La poesia di questo resoconto, scritto con i ricordi ancora caldi, ha uno scopo ben preciso da parte di Unanue. Stimolare altri giovani a intraprendere sfide, di cui il GHT diventa metafora. “Se due ragazzi inesperti sono riusciti a attraversare l’Himalaya a piedi senza assistenza, di quante cose ci priviamo per paura o per ignoranza?”.

 

 

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