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Sciare il Mount Cook: dal sogno alla realtà

Sulle Alpi non s’incontrano molti romani e gli amici mi prendono in giro per il mio accento. Ci facciamo sempre delle grandi risate“, mi racconta sorridendo Pietro Lamaro, 23 anni, fondatore di Adventure Addicted, appassionato di outdoor e alta quota.

Vado a Cortina da sempre, dove ho partecipato a diverse competizioni di sci. Ho studiato alla Bocconi di Milano e all’inizio è stata dura perché conoscevo poche persone e non avevo compagni con i quali andare in montagna. Anche per questa ragione ho avuto l’idea che ha portato alla nascita di Adventure Addicted, la startup che ho creato proprio per trovare persone con le quali condividere avventure all’aria aperta”, continua Pietro, che conclusa l’Università si è trasferito a vivere per un anno e mezzo nella ‘sua’ Cortina, dalla quale ogni tanto si allontanava per una spedizione: è stato in Georgia, Armenia, Turchia e ha sciato in Iran e Nuova Zelanda.

Probabilmente il viaggio di quest’anno in Nuova Zelanda è stato il più bello che abbia mai fatto. Sono partito ad agosto, da Roma, in bermuda, con gli sci. Se parti da Fiumicino con gli sci le persone ti ‘guardano strano’ già in inverno, figurati in estate“. Quando arriva dall’altra parte del mondo Pietro viene accolto da un Paese culturalmente anglosassone, caratterizzato da un ambiente selvaggio e incontaminato. “Con alcuni ragazzi del posto abbiamo organizzato la traversata di tutta la catena montuosa dell’Isola del Sud, con l’idea di sciare diverse vette durante il percorso. Per calcolare il dislivello, bisogna considerare che lì qualsiasi salita parte da 500 metri. Il primo giorno, per esempio, abbiamo fatto 2.500 metri di dislivello e 25 km di sviluppo, niente male come inizio. È stata dura, siamo partiti alle 4 e siamo arrivati alle 20.30 di sera“, ricorda Pietro, che mi dice che avventurarsi tra le vette della Nazione dei Kiwis è più impegnativo che ‘da noi’ perché, mentre sulle Alpi sei sempre abbastanza vicino alla civilizzazione, in Nuova Zelanda ti trovi in mezzo al nulla, consapevole che nessuno passerà da dove sei. “Non avevamo accesso a internet e non prendeva il telefono. Eravamo solo tra di noi. Dormivamo in bivacchi molto particolari, dislocati lungo il concatenamento di ghiacciai. Impossibile dimenticare il Monte Elie De Beaumont, una delle poche cime sopra i 3.000 della Nuova Zelanda, che in salita ha tratti tecnici, da affrontare con due picche, e diversi crepacci“. Una montagna che Pietro scia integralmente, da solo, dalla vetta.

Siamo rientrati molto soddisfatti a casa ma a me era rimasto il pallino del Mount Cook. Mi sentivo in forma ed ero carico. Con Latham Fairhall, un local, decidiamo di provare la domenica, che era il giorno migliore secondo le previsioni meteo. Io avevo il volo lunedì, quindi non avevo molte possibilità di scelta“. Il Monte Cook è la montagna più alta della Nuova Zelanda, 3.724 m. 2.000 metri di dislivello e una discesa su 50/55 gradi. “Normalmente si scia a novembre. Era il 7 settembre e alcune persone ci chiedevano se fossimo matti, altri ci dicevano che eravamo degli eroi. Siamo partiti a mezzanotte di domenica, al buio. Sbagliamo strada due, tre volte. Saliamo un po’ su neve, un po’ su ghiaccio. Dopo quasi undici ore arriviamo in cima. In vetta Latham decide di non sciare e di scendere a piedi. Guardo la discesa che avrei dovuto affrontare: uno scivolo infinito, dove non è permesso sbagliare. Mi sentivo bene fisicamente. Non so se ha influito di più la poca voglia di scendere a piedi o la voglia di sciare, fatto sta che mi metto gli sci e inizio la discesa. Sapevo che se fossi caduto sarei morto. Se scivoli, se ti si stacca uno sci, fai 2.000 metri di volo. A tratti le condizioni erano buone, mentre dove c’era neve ghiacciata stavo più attento. Dopo 11 ore di salita e un quarto d’ora di discesa arrivo in fondo. Un’impresa importante: il Monte Cook è considerato un vanto per molti sciatori professionisti.

“È stata una delle emozioni più belle della mia vita. Ho messo in atto, in un’unica esperienza, tutto quello che avevo imparato in montagna negli ultimi anni: la parte tecnica e aerobica della lunga salita con le picche, la consapevolezza mentale di quando non ce la fai più e invece devi trovare le forze, e infine la ripida discesa. È stato estremamente soddisfacente. Una notevole prova e un progetto impegnativo, che è servito a Pietro anche per capire meglio la sua attitudine. “Grazie a questa avventura ho messo meglio a a fuoco cosa mi piace fare in montagna, ovvero combinare una salita alpinistica, tecnica, dura e lunga a un’intensa discesa di sci ripido. So di avere ancora molto da imparare ma inizio a essere un po’ più consapevole di quello che faccio e ad avere cognizione delle mie possibilità e dei miei limiti.

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2 Commenti

  1. ma per piacere! l’inizio di questo articolo non poteva essere più pretenzioso… vado a cortina, studio nella Bocconi ma è stata durissima non conoscevo nessuno, come se a Milano non ci fossero tantissime sezioni CAI o club da sci, allora con 23 anni ha aperto una start-up 😀

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