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Concatenamento dei Gasherbrum, l’avventura di Messner e Kammerlander

La nuova spedizione di Simone Moro e Tamara Lunger, partiti in questi giorni per il Pakistan, ha sicuramente fatto molto parlare per l’innovativa idea di un acclimatamento in camera ipobarica, ma ha a anche avuto il pregio di ravvivare l’interesse su un pezzo di storia himalayana.

Era il 1984 quando Reinhold Messner e Hans Kammerlander riuscirono a fare  qualcosa di incredibile per il periodo: concatenare due  Ottomila, il Gasherbrum I e il Gasherbrum II. Oggi Simone e Tamara prendono spunto da questa impresa per fare qualcosa in più, tentare la traversata delle due montagne nella stagione più fredda. Un’ambiziosa idea in cui si potrebbe leggere la voglia di omaggiare il “re degli Ottomila”.

Traversata o concatenamento?

Quando si parla di traversata tra due montagne si intende il passaggio da una vetta all’altra passando per il punto più alto possibile. Nel caso dei due Gasherbrum Reinhold e Hans sarebbero dovuti passare lungo la cresta che dal Gll porta al colle chiamato Gasherbrum La. I due alpinisti durante la discesa dal Gasherbrum II (prima cima raggiunta) scendono invece per un nuovo percorso fino al loro campo 1. E da qui risalgono poi fino al Gasherbrum La per iniziare la salita del Gasherbrum I. Come infatti scrive lo stesso Messner “al mattino del quarto giorno di scalata non avemmo neppure un attimo di esitazione e partimmo per la sella che si apre tra il Gasherbrum II e il Gasherbrum I”.

La storia

Quella di Messner è Kammerlander fu una vicenda epica. Due uomini soli, senza supporti esterni, in pieno stile alpino che decisero di affrontare due giganti himalayani con l’intento di fare la traversata dall’uno all’altro. Un obiettivo che per l’alpinismo degli anni Settanta sarebbe potuto sembrare folle, ma non per Reinhold. Lo scalatore altoatesino aveva già dimostrato più volte, nel corso degli anni, come l’impossibile fosse solo un concetto da rivedere, un qualcosa da superare che un giorno sarebbe diventato fattibile, se non normale. Nel 1978 arrivò sull’Everest senza ossigeno, andando contro tutti i pareri scientifici del periodo, oltre a realizzare la prima solitaria su un Ottomila.

Era tempo di cimentarsi in una nuova sfida. Non era la sua prima volta sui Gasherbrum, nel 1975 aveva raggiunto la vetta del Gasherbrum I insieme a Peter Habeler e nel 1982 quella del Gasherbrum II. Ma questa era una cosa diversa. “Questa possibilità completamente nuova, un’idea che nel 1975 ritenevo ancora irrealizzabile, era stata solo una conseguenza del mio mutato atteggiamento verso quelle montagne e me stesso” scriveva Messner nel volume “Sopravvissuto: i miei 14 Ottomila”. “In quell’anno, nel 1984, mi proposi di compiere un altro passo avanti, di fare qualcosa ritenuto fino ad allora ‘impossibile’  a quota 8000. Volevo infrangere un altro tabù”.

L’obiettivo era quello di salire sul Gasherbrum II seguendo la via normale e rientrando al campo base per la Via dei suicidi (un tracciato a destra rispetto alla normale), quindi attaccare il Gasherbrum I dal versante nord-est per poi scendere dal lato ovest.

La prima parte della salita andò via liscia e i due alpinisti riuscirono a portarsi a casa facilmente il Gasherbrum II. Dopo la discesa “Hans e io ci sentivamo ancora fisicamente in forma, come al campi base durante le spedizioni precedenti: avevamo utilizzato le energie con parsimonia, senza mai sprecarle, non dimenticando mai che dovevamo risparmiare le forze”. Per salire e scendere la montagna impiegarono tre giorni, il quarto si misero in moto dal campo base per tentare il Gasherbrum I. La prima notte la trascorsero bivaccando al Gasherbrum La per poi iniziare a salire fino a una quota di circa 7400 metri dove vennero presi dal maltempo. “La bufera scuoteva la tenda e fuori non si vedeva più nulla” il racconto di Messner. “Giacevamo lassù abbandonati a noi stessi. Attorno a noi solo neve. Avevamo entrambi delle allucinazioni”. A questo punto la scelta è tra interrompere il concatenamento o proseguire ma, “non avremmo più avuto la possibilità, in quella spedizione, di spingerci di nuovo a una quota così elevata”.

Nonostante il tempo avverso i due si misero comunque in marcia, riuscendo a raggiungere la cima della montagna. Da qui iniziò una discesa alla cieca lungo la cresta ovest. “Procedevamo letteralmente a tastoni. Spesso ci perdevamo di vista, spesso non scorgevamo più alcuna possibilità di avanzare su quella cresta, a tratti tagliente come un coltello. Attorno a noi sempre nebbia, bufera, nevischio”. Le corde fisse rimaste sulla montagna furono un grande aiuto, soprattutto nell’orientamento, fino a raggiungere la valle del Gasherbrum e da lì il campo base.

Un nuovo tassello della storia himalayana è stato scritto, un punto importante dove a fare la differenza è stato lo stile utilizzato. Impossibile immaginare un’impresa del genere senza uno stile leggero e veloce, uno stile alpino portato ad altissima quota. Difficile immaginare la stessa impresa da quando “i governi del Pakistan, del Nepal e della Cina non fanno alcuna difficoltà a concedere permessi” sottolinea Messner. Il risultato è che le montagne sono oggetto di più spedizioni che, contemporaneamente, operano su vie diverse. “Volenti o nolenti, si finirebbe comunque per imbattersi in catene di campi, in corde fisse, in altri alpinisti. Il solo fatto che vi sia la presenza di qualcuno, che in caso di emergenza si possa chiedere aiuto, fa perdere valore all’avventura”. Ecco allora che l’idea invernale di Simone e Tamara trova un nuovo valore, non è solo ricerca di condizioni estreme, ma anche di quella solitudine insita nell’avventura, che ormai d’estate non si respira nemmeno più a ottomila metri.

Nives e Romano, concatenamento di coppia.

L’aveva già fatto Erhard Loretan, uno dei più forti alpinisti dell’era moderna e terzo uomo al mondo a compiere la salita dei 14 Ottomila, nel 1983. In soli 17 giorni aveva concatenato 3 Ottomila: Gasherbrum II, Gasherbrum I e Broad Peak. “Quando siamo partiti avevo letto di questo concatenamento” ci racconta Romano Benet. “Se allora avessi saputo chi era Loretan di certo non avrei mai pensato di poter rifare qualcosa di simile a quanto fatto da lui”.

Era il 2003 quando i due alpinisti hanno scelto di cimentarsi in questa impresa. “Tutto è nato molto semplicemente, nel nostro stile. Quell’anno in Pakistan c’era un’offerta: se prendevi due permessi di salita, il terzo era gratuito. Così Nives e Romano ne hanno approfittato insieme a corregionale Luca Vuerich.

Il primo, il Gasherbrum II, è andato velocissimo e senza problemi. Il 19 luglio sono in vetta e nella stessa giornata scendono a campo base. Il 23 luglio iniziano la salita al Gasherbrum I andando direttamente da campo base a campo 2. Il 26 raggiungono la vetta con vento molto forte e temperature di meno 26 gradi, quindi immediatamente iniziano la discesa verso campo 2, il giorno seguente proseguiranno poi per campo base. Il 31 luglio, con due begli zaini pesanti, si trasferiscono al campo base del Broad Peak, su cui iniziano a muoversi solo il 6 agosto dopo alcuni giorni di maltempo. L’8 agosto toccano la vetta per poi iniziare una rocambolesca discesa nella bufera fino a campo 4. Il giorno dopo sono poi rientrati a campo base. “Ricordo che aveva fatto mezzo metro di neve fresca” spiega Romano. “In discesa le tracce erano sparite e non trovavamo più la tenda. Siamo arrivati a campo 4 per intuito. In quel momento ci siamo detti che forse avevamo un po’ esagerato”.

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