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Anche la transumanza, patrimonio dell’Appennino e delle Alpi, nel patrimonio dell’UNESCO

La montagna come svago per le élite, la montagna come luogo di fatica quotidiana per molti. La decisione che l’UNESCO ha preso l’11 dicembre a Bogotà, di inserire nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità due attività come la transumanza e l’alpinismo invita a riflettere chi percorre le “terre alte”. 

A unire il mondo di Paul Preuss, Walter Bonatti e Reinhold Messner con quello di Gabriele d’Annunzio (“Settembre, andiamo. È tempo di migrare / Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori / lascian gli stazzi e vanno verso il mare” ha scritto nel 1903 il poeta in Alcyone) e di migliaia di pastori senza nome è innanzitutto il paesaggio. 

Non sono molti, anche a causa della cattiva manutenzione e della poca segnaletica dei tratturi, gli escursionisti che si incamminano a piedi o in mountain-bike lungo gli itinerari utilizzati per millenni dalle greggi. In Molise, alcuni tratturi vengono seguiti a cavallo. Sull’Appennino, chi cammina incontra spesso le greggi accanto ai sentieri, e prima di proseguire tiene d’occhio il comportamento dei cani. Sulle Alpi, chi va ad arrampicare o a percorrere una via ferrata incontra pecore che brucano anche sugli ultimi, ripidi fazzoletti erbosi ai piedi delle rocce.

Tra l’Alto Adige e il Tirolo, all’inizio e alla fine dell’estate, migliaia di pecore affrontano il Passo del Similaun, a più di 3000 metri di quota, superando pietraie e nevai. Ötzi, il viandante di cinquemila anni fa che è morto a poca distanza da qui, apparteneva a una tribù che probabilmente praticava la transumanza. Una visita al Museo Archeologico di Bolzano, dove si conservano la mummia, gli attrezzi e il vestiario di Ötzi, spiega la capacità di quei lontani antenati di lavorare in ambienti che noi affrontiamo protetti da pantaloni termici e pile.

La transumanza tra Abruzzo, Molise e Puglia, o sul versante tirrenico tra Amatrice e la Campagna Romana, è nata tremila anni fa, all’epoca dei popoli Italici. Dopo che Roma ebbe combattuto i Sanniti, furono gli uomini di quel popolo sconfitto ad accompagnare le greggi tra l’Appennino e il Tavoliere. Nell’Urbe la parola “pecunia”, sinonimo di denaro, derivava dalle greggi, che erano un investimento prezioso. Per conoscere la storia dei Sanniti, dei Marsi e degli altri popoli antichi (e transumanti) dell’Appennino si possono visitare decine di musei archeologici, grandi o piccoli. Ma è più emozionante fare una sosta a Sepino, città romana ai piedi del Matese. Il tratturo corre tra i campi fino alla porta del borgo, lascia il posto a una strada lastricata che tocca un tempio e un teatro, poi ritrova il fondo erboso. 

A candidare la transumanza per il Patrimonio dell’UNESCO sono stati l’Austria, l’Italia e la Grecia. E’ uno spaccato dell’Europa, dove le pecore continuano a viaggiare nella Penisola Iberica, nei Balcani e sulle Alpi. Pastori emigrati dal Paese Basco spagnolo accompagnano le greggi in Arizona.  

La presenza delle pecore transumanti, sull’Appennino e non solo, ha plasmato la natura, i centri abitati e il paesaggio. Per fare spazio alle greggi, in Abruzzo e nelle regioni vicine, sono state disboscate intere valli. La presenza delle greggi al pascolo, custodite (ma non al 100%) dai cani ha favorito la sopravvivenza del lupo e dell’orso.  

Nelle città e nei borghi d’Abruzzo, i segni della transumanza sono ovunque. L’Aquila ha tra i monumenti più famosi la Fontana delle 99 Cannelle, inaugurata nel 1272 nel punto dove le pecore iniziavano il loro viaggio sul tratturo. Santo Stefano di Sessanio, una delle “porte” di Campo Imperatore, è stata feudo dei Medici perché la grande famiglia di Firenze aveva tra i suoi business la lana. A Scanno, a Pescocostanzo e in altri borghi, palazzetti e chiese eleganti ricordano che la pastorizia produceva ricchezza. La Fontana San Rocco, a Pescasseroli, in autunno e in primavera, era un punto di partenza e di arrivo delle pecore che si spostavano verso la Puglia. Una vecchia foto in bianco e nero, sistemata accanto alla fontana, mostra un gruppo di donne in attesa del ritorno dei mariti. Sono vestite di nero, come sempre sull’Appennino in passato. Ma sono giovani, sorridenti, felici. 

Quando si parla di transumanza, usare il passato è facile. Nel Seicento, tra l’Abruzzo e il Tavoliere si spostavano sei milioni di pecore. La Coldiretti, prima a festeggiare il riconoscimento dell’UNESCO, ricorda che l’allevamento ovino è ancora una risorsa importante. Tra le Alpi, l’Appennino e le isole (soprattutto in Sardegna) operano ancora oggi 60.000 allevamenti, che posseggono 6,2 milioni di capi, e producono latte, formaggio, lana e carne. Le 38 razze ovine italiane, dalla Bergamasca alla Sopravvissana, sono un patrimonio di biodiversità straordinario. 

Il riconoscimento attribuito a Bogotà è stato festeggiato da amministratori e politici come Teresa Bellanova, Ministra per le Politiche agricole, alimentari e forestali, e Mauro Febbo, Assessore all’Agricoltura dell’Abruzzo. Capofila per la preparazione del dossier UNESCO è stata l’Università del Molise. Ci auguriamo che, nella gestione dei progetti futuri, dall’individuazione di percorsi e sentieri fino alla realizzazione di musei, le Regioni italiane, sulle Alpi e sull’Appennino, operino senza contrapposizioni inutili. 

Qualche settimana fa, pecore e pastori transumanti hanno dato il loro contributo a una festa. Quando ad Amatrice è stata inaugurata la Casa della Montagna, ideata dal CAI e sorta accanto alle rovine del centro, ci sono stati discorsi e brindisi. Il momento-clou, però, è stato l’arrivo di un gregge di pecore, che aveva pascolato in estate accanto al Lago di Campotosto, e che aveva camminato per quattro ore.
In passato, da Amatrice, le pecore della Laga continuavano a piedi verso la Campagna Romana. Quelle scese dal Lago di Campotosto ad Amatrice, dopo la festa, hanno proseguito su un camion fino ad Ardea, al margine della Pianura Pontina. La Casa della montagna, speriamo, diventerà una base per escursionisti, alpinisti, frequentatori dei cammini. La transumanza, che esiste anche nell’Appennino laziale, è un legame con il nostro passato. Non so se qualcuno se ne accorgerà all’UNESCO. Ma i due riconoscimenti di questi giorni, da queste parti, sembrano darsi la mano. 

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2 Commenti

  1. Alpinismo, transumanza, muretti a secco…tutte occasioni di lavoro..ma da affrontare non come capita alla buona.
    Con superamento di corsi intensivi.

  2. Io vorrei che lo Stato non continuasse a mettere paletti burocratici, legislativi e fiscali su queste attività. Altrimenti facciamo solo chiacchiera.
    Sono un po’ arrabbiato.

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