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Giornata internazionale della Montagna, Hervé Barmasse: “Dobbiamo imparare a fare un passo indietro per l’ambiente”

“La musica che muove le montagne” è stato il tema che quest’anno ha animato i cuori e le coscienze degli amanti della montagna, ma non solo, durante la Giornata Internazionale della Montagna. A Milano, al teatro dal Verme, è stato il delicato pianoforte di Ludovico Einaudi a chiudere un dibattito su territorio, ambiente e nuove proposte che ha visto nomi noti al grande pubblico dialogare con ricercatori che tutti i giorni fanno i conti con gli effetti del cambiamento climatico alle quote più alte.

La Giornata internazionale della Montagna, istituita nel 2003 dalle Nazioni Unite, si tiene ogni anno con lo scopo di far riflettere che queste rivestono nella vita delle popolazioni di tutto il mondo. Quest’anno è stata indetta una tavola rotonda che ha visto dialogare lo scrittore Paolo Cognetti, l’alpinista Hervé Barmasse, il glaciologo Michele Freppaz, la climatologa Serena Giacomin, l’attivista e idrologa Francesca Casale, l’antropologa Hildegard Diemberger, l’esperta di sviluppo sostenibile Laura Romeo e il fotografo Fabiano Ventura.

Il dibattito

La prima a prendere la parola è stata Rosalaura Romeo, esperta di sviluppo sostenibile delle montagne, che ha tenuto a sottolineare come sia fondamentale iniziare a “cambiare mentalità e non parlare più di cambiamento climatico, ma di crisi climatica”, di cambiamenti in corso che stanno già dando i loro effetti sul territorio e sulle popolazioni. “Comprendere quel che accade in montagna è fondamentale perché questo ha ricadute su tutta la società globale”.

L’ultima parte del suo intervento ha invece toccato il tema del turismo montano che deve perseguire una filosofia di maggior sostenibilità oltre a creare un indotto che rimanga in valle per far si che questa possa continuare a vivere. Un discorso in cui si è andato a inserire lo scrittore premio Strega Paolo Cognetti. Milanese, ma valdostano d’adozione ha esordito parlando di turismo invernale, di sci alpino e impianti. “Molte zone delle Alpi non si sono spopolate grazie al turismo invernale. È una realtà scomoda da ammettere ma chi non ha investito in questo tipo di economia negli ultimi 40 anni ha visto gli abitanti scemare, fino a spopolare i villaggi”. Il turismo dello sci, sottolinea Cognetti, ha un impatto notevole sul territorio e sull’ambiente. “Non sono però d’accordo con i discorsi estremisti contro questa pratica. Penso invece che sia necessario ragionare su come rendere lo sci in pista più ecologico e sostenibile. Tra poco ci saranno le Olimpiadi e possono certamente essere l’occasione per questo tipo di riflessioni”.

Purtroppo, sottolinea ancora, “una pista ha dei costi elevatissimi. Si tratta di un’economia industriale che se ne frega se c’è o meno neve naturale, questa viene comunque sparata ogni giorno. Il problema è che spesso chi frequenta le piste non ha coscienza di quanto stia inquinando con quell’attività. Credo sia giusto che ognuno ne prenda atto, come chi compra un’automobile sa benissimo qual è il suo impatto sull’ambiente”.

Assumersi quindi una responsabilità nei confronti dell’ambiente e della montagna. “Oggi chi va in montagna deve difenderla” afferma Hervé Barmasse. “Il maggior problema degli alpinisti è l’ego che li rende disposti a tutto pur di arrivare in vetta. Dobbiamo imparare a rinunciare, a fare un passo indietro, perché l’importante non è cosa si fa ma come lo si fa. Dobbiamo ricordarci ogni giorno che siamo solo di passaggio e che non possiamo lasciare a chi verrà dopo di noi un territorio irriconoscibile”. Per questo Hervé, da alpinista, ha scelto di non essere più al centro della foto per spostarsi a lato e lasciare che le protagoniste siano le grandi vette della terra. Montagne un tempo immacolate, oggi sempre più minacciate sia dal surriscaldamento globale che dalla presenza di plastica. Tema quest’ultimo molto caro all’alpinista valdostano che in chiusura d’intervento fa un appello alla politica. “Sulle Alpi, sopra i 2000 metri, la plastica dovrebbe essere vietata”.

“Non possiamo lasciare ai posteri una montagna plastificata” è invece l’apertura dell’antropologa Hildegard Diemberger, già collaboratrice dell’associazione EvK2CNR per studi sulle popolazioni himalayane. “Le popolazioni che abitano sotto le grandi montagne della terra si stanno trovando coinvolte in processi molto più grandi di loro. Oltre al tema della plastica è infatti importante ricordare come, con l’aumento delle temperature, ci siano problemi legati alle esondazioni di laghi glaciali. “Le genti dei villaggi stanno provando a gestire questa situazione con i saperi tradizionali: costruendo barriere e dialogando con gli spiriti della montagna. Aiutarli è fondamentale”.

Che le montagne si stiano trasformando è ormai chiaro a tutti, ma osservando le foto di Fabiano Ventura questo mutamento è ancora più chiaro. Servono poche parole a fianco delle sue slide per riflettere, basta osservare come sono cambiati i ghiacciai del Monte Bianco o del Karakorum dai tempi di Vittorio Sella per rendersi conto di quanto siamo riusciti a impattare in un tempo veramente breve. Il problema è che non ce ne rendiamo conto, “e spesso è difficile comunicarlo” spiega la climatologa e divulgatrice scientifica Serena Giacomin. “Stiamo cercando la via più efficace per comunicare e far comprendere il problema. Ma spesso è veramente complesso da far capire in modo chiaro e univoco, soprattutto quando si parla di miglioramento delle condizioni o di soluzioni possibili”. È difficile per tante ragioni, “perché quando si parla di cambiamento climatico si sbatte contro della barriere psicologiche difficili da superare come la lontananza, perché non tutto accade nelle immediate vicinanze; la dissonanza, perché spesso si parla di cose che non vedo e se non le provo in prima persona non riesco a capire; la negazione, ancora oggi abbiamo negazionisti che pubblicano su quotidiani nazionali”. Una soluzione, un modo per fare cultura però esiste ed è quello di parlare ai docenti in modo che possano trasmettere il messaggio ai loro studenti; andare nelle scuole e non stancarsi di farlo; parlare ai giornalisti per dare loro gli strumenti; parlare ai politici, chiedere ai politici, e saper scegliere una classe politica più attenta, disponibile e vogliosa di affrontare queste tematiche”.

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